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A tu per tu con Nicolò Bongiorno: regista e sceneggiatore innamorato del Cervino

Di casa da sempre ai piedi della Gran Becca, Bongiorno ha girato e prodotto film e documentari sui grandi temi della montagna e dell’ambiente. La recente opera dedicata al Tour du Rutor

Si mimetizza perfettamente tra i Vótornèn, Nicolò Bongiorno, con scarpe da trail running, camicia a quadri e aria dimessa. E, in fondo, Valtournenche è anche un po’ casa sua, dato che la frequenta da sempre insieme al papà Mike. 

“Mio papà iniziò a frequentare la Valtournenche già dal dopoguerra. È lui che mi ha trasmesso la passione per questa valle. Ci era molto legato e raccontava sempre di questi luoghi nel suo lavoro”.

Anche Nicolò racconta storie. Non in televisione, ma sul grande schermo e tante di queste sono storie di montagna. Lo abbiamo incontrato al Cervino CineMountain dove ha presentato il suo reportage sull’ultima edizione del Tour du Rutor. 

Innanzitutto, la domanda più importante: sul Cervino ci sei andato?

Sì! Nasco come sciatore ma poi verso i trent’anni mi sono appassionato all’alpinismo e allo scialpinismo. È un altro modo di conoscere la montagna. Quando posso, lavoro permettendo, vado a fare qualche ascensione in alto. Conosco bene l’ambiente delle guide locali, ma la maggior parte delle salite le ho fatte con François Cazzanelli.

Hai all’attivo diversi film a tema montagna e natura?

Sì, anche se ho tendenzialmente uno sguardo più antropologico e umanistico. Mi piace raccontare storie, ho un grande interesse per i popoli e per la trasformazione dei popoli in questo momento di transizione culturale. La montagna è un luogo essenziale per capire i cambiamenti culturali, climatici, ideologici. E i festival di montagna, come il Cervino CineMountain, servono anche per riflettere su come immaginarci il futuro delle montagne. 

Per i tuoi film sei stato sulle Alpi ma anche in Ladakh, Buthan…

Sì e i popoli di montagna alla fine si assomigliano un po’ tutti. C’è sempre questa dimensione dell’uomo che si confronta con Madre Natura. L’uomo che si confronta con gli elementi. L’acqua, la roccia, la terra, il coltivare la terra sono tutte cose universali. L’unica differenza è che, qui, c’è stato uno sviluppo tecnologico. 

Veniamo al film che hai presentato martedì scorso.

Conosco Marco Camandona, l’organizzatore del TDR, da diversi anni e l’esigenza di questo film è nata per testimoniare la tappa storica di La Thuile. Il Tour du Rutor, in effetti, nasce con quella tappa e poi per moltissimi anni non era più stato possibile organizzarla. Quest’anno ce l’hanno fatta e questo reportage ha un valore storico. 

Negli anni trenta si chiamava Trofeo del Rutor

Abbiamo trovato dei filmati dell’epoca che ho inserito nel film. È interessante vedere come la montagna è cambiata in cento anni e come è cambiato il nostro approccio ad essa, i materiali… 

Oltre al materiale d’archivio, ovviamente c’è il racconto per immagini della gara di quest’anno. Realizzare un film su una gara di questo tipo richiede uno sforzo logistico non indifferente. Innanzitutto, per seguire lo scialpinismo devi farlo con le due gambe. E poi c’è il meteo, le partenze a orari impossibili. È tutta questione di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. 

A che progetti lavori ora?

Da qualche anno ho intrapreso una trilogia sull’esplorazione. È iniziata con un film sul Cervino (Cervino – La montagna del mondo), il secondo film tratta di immersioni subacquee (I Leoni di Lissa). E ora sono anni che cerco di completare il terzo capitolo che sarà in Africa, nel deserto. 

E poi seguirò il cantiere della ristrutturazione della Capanna Carrel sul Cervino.  

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