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La breve e affascinante storia del rifugio Wolf Glanvell a Cortina d’Ampezzo

Costruito nel 1907, fu distrutto durante la Prima Guerra Mondiale nel 1915. Per raggiungerlo si utilizzava anche la Scala del Minighèl, considerata la prima via ferrata della zona

C’era un rifugio. Un bel rifugio con la base in muratura, le pareti in legno e il tetto a più falde. Ha fatto in tempo ad apparire nelle cartoline d’epoca, con i balconi aperti, quattro gradini prima dell’ingresso, i larici nei pressi, alcune persone ben vestite davanti alla facciata. Era il rifugio Wolf Glanvell in alta Val Travenanzes, la selvaggia incisione posta tra la Tofana e il gruppo di Fanes in territorio di Cortina d’Ampezzo. Una valle nascosta, che conserva il suo fascino e la sua straordinaria bellezza, protetta dall’afflusso eccessivo di escursionisti (fatto salvo per le migliaia di runner che la percorrono in salita durante la Lavaredo Ultra Trail, ma poi torna il silenzio). Non ci sono insediamenti stabili, nessuna fune, nessun traliccio, nemmeno una strada, solo un sentiero. Alzando gli occhi al cielo, se non passa un aereo ti sembra di essere in un tempo indefinito. Un’escursione di cui diremo in seguito.

Wolf Von Glanvell, sfortunato professore-alpinista

Quel rifugio che non c’è più ha avuto vita breve, dal 1907 al 1915. A cancellarlo fu la Grande Guerra e non venne più ricostruito. Era dedicato al professor Viktor Wolf Edler Von Glanvell, che grazie alle sue oltre 1500 salite nelle Alpi austriache e nelle Dolomiti, è considerato uno dei grandi alpinisti a cavallo tra Ottocento e Novecento. Fu lui stesso a sostenere l’opportunità di costruire quel rifugio, perché costituisse la base per escursionisti e alpinisti in Val Travenanzes. Ma Von Glanvell morì l’anno dopo aver espresso quest’idea, nel 1905, travolto da una scarica di sassi sulla parete Sudest del Fölzstein, non lontano da Graz dove nell’Università di quella città era titolare dal 1901 della cattedra di Diritto ecclesiastico. Aveva 34 anni. Fu sepolto nel cimitero di San Vito di Braies. 

Perché proprio Braies? Perché fu nella zona di Braies, che il quindicenne Von Glanvell, nato a Klagenfurt nel 1871, figlio di un maggiore dell’imperial-reggio esercito austroungarico manifestò la sua precoce passione per l’alpinismo. Nel corso della sua vita, arrampicò sulle Tofane, sulla Croda Rossa, sulle cime di Fanis, sulle Cime di Lavaredo, sul Pomagagnon, sul Sorapiss, sugli Spalti di Toro, sui Monfalconi, ma le Dolomiti di Braies restarono sempre nel suo cuore e nel 1890 furono l’oggetto di una sua esauriente monografia alpinistica (alla quale ne seguirono altre su Gruppi diversi) che rappresentò un punto fermo nella pubblicistica del tempo. I più assidui compagni di cordata di Viktor Wolf Von Glanvell furono Karl Doménigg e Günther von Saar. Proprio con quest’ultimo affrontò un’ascensione storica: la prima via sul Campanile di Val Montanaia, il 17 settembre 1902.

Il rifugio che visse solo otto anni

«La Viktor Wolf Von Glanvell Hütte fu costruita negli anni 1906-07 da Luigi Gillarduzzi Minighèl in Val Travenanzes per conto della Sektion Dresden del Deutscher u. Oesterr. Touristenklub», spiega Roberto Vecellio, che della storia dei rifugi ampezzani è un appassionato cultore. «Nello stesso periodo Igi Minighèl ebbe la brillante idea di realizzare un percorso ferrato, la famosa “Šàra” (scala) per agevolare la salita per il Majarié alla Forzèla Fontananégra inserendo nella roccia circa 270 pioli di ferro».

Della “Šàra del Minighèl”, che costituisce di fatto la prima via ferrata in Ampezzo, tuttora utilizzabile per raggiungere il rifugio Giussani dalla Val Travenanzes, diremo tra poco. Qui vorrei ritornare sulle ultime ore del rifugio Wolf Glanvell che era posto a 2080 metri di altitudine. Secondo la testimonianza del Maggiore Franz Spiegel, del 1° Bayerische Jäger, il primo agosto 1915 l’artiglieria italiana (agli ordini del capitano Rossi n.d.a) alle 9 del mattino iniziò a bombardare il rifugio che fino ad allora era servito da sede del comando austriaco e posto di medicazione. A metà luglio un primo attacco non aveva raggiunto lo scopo. Quel giorno invece le granate si susseguirono. Le prime esplosero nei pressi del rifugio, portarono lo scompiglio, tutti correvano e gridavano, i feriti leggeri cercavano di ripararsi all’esterno dietro i macigni e gli avvallamenti, i più gravi venivano portati fuori in luoghi più sicuri. Finché una granata centrò il tetto distruggendolo, un’altra la cucina, altre ancora le camere al piano superiore. Le schegge ferirono alcuni soldati. Un sergente di sanità bavarese venne colpito a morte. A metà giornata gli italiani cessarono il fuoco. Del rifugio restarono le travi spezzate e i muri distrutti. Nessuno lo ricostruirà più.

La Scala del Minighèl, la prima via ferrata in Ampezzo

L’ardita Scala del Minighel, lunga un’ottantina di metri, tutta in verticale, venne anch’essa in parte demolita durante la guerra, togliendo o piegando i pioli di ferro lunghi un metro, arricciati all’insù alla loro estremità, infissi perpendicolarmente sul nero strapiombo della cascata del Majarié (che le passa 100 metri più a sinistra). E rimase inutilizzabile fino alla fine degli anni ’50. 

«Si interessò al suo ripristino Renato Franceschi (1910-1986), di professione geometra», continua Vecellio, «che nel 1958 lasciò una documentazione fotografica e un biglietto in cui spiega i motivi per cui ha voluto sistemare e dare nuovamente la possibilità agli escursionisti di salire a Forcella Fontanégra. Tra l’altro c’è scritto: “ho provveduto personalmente con la preziosa opera degli Scoiattoli Bianchi (Marino Fouzìgora), Strobel (Albino Michielli), Boni (Albino Alverà), Claudio Zardini (de Jino), il fotografo Gualtiero Ghedina. Il fabbro Guido Tògna ha fornito gratis la fiamma ossidrica e del ferro lavorato (spese Lire 106.000) + cena per tutti a Pocòl”». 

Dal 1958 quindi attraverso quella scala, si può compiere l’anello completo attorno alla Tofana di Rozes. La ferrata è certamente singolare, con quella sua lunga serie di infissi. Non presenta difficoltà tecniche di rilievo ma è molto esposta e richiede concentrazione. È divisa in due sezioni. La prima sezione sale in diagonale verso sinistra poi più in verticale. Raggiunta una cengia si riprende a salire lungo la seconda sezione con gli infissi che pendono verso destra e una maggiore verticalità. Ci vogliono circa 20 minuti per percorrerla. All’uscita ci si trova sul Majarié, e dopo un breve tratto di un sentiero segnato per esperti ci si raccorda col sentiero 403 per il rifugio Giussani.

Come arrivare ai ruderi del Rifugio Wolf Glanvell

Per compiere il giro completo della Tofana di Rozes utilizzando la “Šàra del Minighèl” conviene partire dal rifugio Dibona (2037 m), a sud della Tofana di Rozes sul versante ampezzano, raggiungibile in auto. Da qui si intraprende per un breve tratto il sentiero 403 su ampia carrareccia che si abbandona al bivio per il rifugio Giussani. Si prosegue lungo il sentiero 404 che corre sotto la parete sud della Tofana di Rozes raggiungendo la Forcella Col dei Bos (2331 m) da cui ci si addentra dall’alto nella Val Travenanzes. Si scende fino a incontrare i ruderi del Rifugio Wolf Glanvell dove a un bivio sulla destra un sentiero porta all’attacco della Scala del Minighèl. Giunti alla sua sommità, ci vuole un’ora per salire al rifugio Giussani (2580 m) e un’ora per poi scendere al rifugio Dibona e chiudere l’anello (in totale 5 ore, dislivello + 700 m). 

Chi volesse evitare la Scala deve scendere ulteriormente lungo la Val Travenanzes lungo il sentiero 404 fino a un bivio a quota 1865 m per poi risalire lungo il sentiero 403 che porta a una cengia obliqua (attenzione con terreno gelato) attraverso la quale si supera la muraglia rocciosa sotto il Majarié. Ma in questo caso si allunga notevolmente il giro ad anello della Tofana di Rozes (1 ora e mezza in più) con circa 1050 metri di dislivello in salita. A costoro suggeriamo (in alternativa al giro completo della Tofana di Rozes) di percorrere per intero la Val Travenanzes, con una traversata in discesa di 5-6 ore da Forcella Col dei Bos, lunga ma tra le più spettacolari delle Dolomiti. Tutto il percorso è facile e ben segnato. Dopo essere passati per Pian de Loa l’arrivo sarà all’ingresso principale del Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo (1315 m) circa 6 km a nord di Cortina. In questo caso dal rifugio Dibona mettere in conto 7-8 ore, ma con un dislivello in salita di “soli” 300 metri circa e in discesa di più di 1000 metri. 

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