ArrampicataNews

Protezioni in parete: fin dove si può spingere il rispetto dell’etica?

La recente tragedia della Val di Mello, tempio dell’arrampicata pulita, ripropone un quesito: rendere più sicure le soste (e solo quelle) intacca davvero l’essenza di vie e pareti?

Il dibattito è antico. Proteggere le soste (e solo quelle) con gli spit rende meno pulita una via? Lo ripropone Gabriele Pagliariccio, chirurgo vascolare e alpinista che ben conosce le pareti della Val di Mello, in una articolata lettera inviata alla redazione. La pubblichiamo integralmente. Un contributo utile per riflettere e tornare ad affrontare un problema che non ha mai smesso di essere d’attualità.

La lettera

La recente scomparsa di tre giovani in Val di Mello mentre arrampicavano su una via del Precipizio degli Asteroidi sembra non aver lasciato segno nella comunità alpinistica né aver suscitato reazioni degne di nota oltre al dovuto cordoglio per le vittime. A mio parere impone invece alcune riflessioni proprio per il grande rispetto che si impone alle famiglie dei ragazzi e per riflettere se sia possibile fare qualcosa perché queste tragedie non si ripetano. Queste righe – senza alcuna pretesa di giungere ad una soluzione – sono solo il frutto delle considerazioni di un medico che pratica alpinismo non professionistico e che giornalmente convive con la responsabilità della vita degli altri.

La riflessione deve partire dal presupposto che l’attività alpinistica comporta dei pericoli oggettivi intrinsechi alla disciplina stessa. Ma alcune vie di arrampicata possiedono in sé un più alto coefficiente di rischio legato alla scarsa efficienza delle soste. Il core della questione è proprio questo: la tenuta della sosta, che garantisce la sicurezza di tutta la cordata. Se è costruita solo con protezioni veloci (friend o nut) o chiodi a pressione può anche saltare se non viene protetta in modo adeguato lungo i tiri di corda, specialmente se sono presenti lunghi run out scarsamente proteggibili anche con protezioni veloci. In caso di caduta si verifica una forte sollecitazione della sosta con il conseguente rischio per l’intera cordata e non solo per il capo-cordata.

Il core della questione è quindi la sicurezza della sosta: basterebbe in questi contesti – ove sono presenti lunghi tratti improteggibili e non viene concesso alcun margine di errore – aggiungere un punto di sosta sicuro (es. un fittone resinato) per garantire la sicurezza dell’intera cordata. Questo permetterebbe di aumentare la sicurezza della cordata senza snaturare l’etica degli apritori non aggiungendo protezioni lungo i tiri di corda che andrebbero ad alterare il senso dell’itinerario. Chiaramente non in tutti i contesti: alcune vie – penso ad esempio al Risveglio di Kundalini – non ne hanno necessità: pur avendo soste aleatorie permettono il posizionamento di una grande quantità di protezioni veloci lungo i tiri, garantendo la sicurezza della cordata.

Si tratta di un argomento complesso e dibattuto da molto tempo – soprattutto in contesti particolari come quello della Val di Mello – ma non possiamo esimerci dall’affrontarlo. L’etica della Valle, celebrata da decenni, prevede un assoluto rispetto della montagna non comportando la possibilità di forare la roccia. Questa stessa etica ha permesso alla valle di diventare un gioiello unico al mondo con le sue bellezze naturali unite al rispetto assoluto della natura sino a farla diventare un luogo leggendario nella storia dell’arrampicata moderna. Perseguire il rispetto per la natura – “senza miglioramenti permanenti, senza l’impronta dell’uomo, senza segni di passaggio” – ha comportato il divieto di forare la roccia per introdurre chiodi (spit o quant’altro) tanto che non è raro vedere sulle vie classiche della valle i resti di alcuni spit distrutti dai locals.

Ma tutto va contestualizzato e così anche l’etica che deve, a mio parere, essere adeguata a principi di ragionevolezza e soprattutto di sicurezza. Senza peraltro snaturarsi: non credo che aggiungere una protezione fissa in alcune soste delle vie classiche, senza mettere nulla lungo i tiri di corda, possa snaturare l’etica, ma potrebbe permettere di salvare vite umane.

Certamente queste considerazioni non riguardano il rischio obiettivo che si assume chi frequenta la montagna: un itinerario estremo di sci alpinismo od una via di arrampicata affrontata in free solo comportano un rischio intrinseco – chi le percorre se lo assume in tutto e per tutto – che non è in alcun modo emendabile. Nel caso sul quale stiamo riflettendo il rischio potrebbe invece essere annullato in modo semplice ed a mio parere intaccando ben poco l’etica degli apritori.

Immagino che questo contributo darà adito a molte polemiche, ma al di la di tutto il core del problema rimane solo uno: fin dove si può spingere il rispetto dell’etica?

Tags

Articoli correlati

6 Commenti

  1. E’ un principio, quello proposto nell’articolo, pericoloso da applicare perchè darebbe la stura a risvolti incontrollati che, fatalmente, degenererebbero in un’attrezzatura incondizionata delle vie di salita. E poi chi decide quale via debba essere attrezzata e quale no? Le guide alpine? Le stesse (alcune, non tutte) che per lavoro vorrebbero itinerari sicuri anche, per esempio, sulle vie storiche di aree mitiche come le pareti del Monte Bianco? E poi l’etica è etica. Se una via è stata aperta senza ancoraggi fissi, attrezzandola si tradirebbero gli intenti degli apritori e si sottrarrebbe terreno d’avventura ai ripetitori futuri. Tale considerazione non vuole essere una mancanza di rispetto per il valore della vita umana, sia chiaro, ma vuole essere un monito per difendere la libertà che la montagna sta sempre più rischiando di perdere in nome di una sicurezza che sembra essere il solo fine della società moderna. Il caso specifico dei tre ragazzi non lo conosco dettagliatamente e non voglio esprimere giudizi in merito, ma il riferimento alla sosta che salta perchè non sostiene un volo di ampiezza importante, a mio avviso, attiene più alla capacità di chi organizza la sosta nel valutarne la tenuta anche in funzione del tiro successivo piuttosto che alla fatalità, così come chi decide di salire una parete che scarica l’affronta nelle ore più idonee se ci tiene alla vita. La certezza assoluta non si avrà mai, ma fa parte del gioco. Poi, i casi di fato avverso esistono e sono sempre esistiti, a cominciare da chi viene colpito alla base della parete dall’unica pietra che cade a chi dall’unico fulmine etc., ma questo rientra nell’imponderabile che da sempre esiste nella vita di ogni persona. In fondo nessuno ci obbliga ad andare in montagna o scegliere per forza determinate vie di salita.

    1. Tutto corretto non fa una piega , quando si va in montagna ci si prende il rischio fa parte del gioco e dell avventura stessa, ci sono vie spittate e non anche in val di mello ma di base proprio li deve rimanere l’avventura , sosta compresa, la stessa come la via va protetta nel modo adeguato, è l’alpinista che li decide a suo rischio e pericolo …..

    2. Quoto in tutto e per tutto.
      Se uno vuole fare vie attrezzate e sicuro ha mille altri posti dove andare. Nulla obbliga le persone ad andare a scalare per forza in Val di Mello.
      Inoltre la notorietà della Val di Mello è dovuta proprio al suo ambiente pressoché immacolato che l’ha resa nota in tutto il mondo alpinistico e non solo. Attrezzarla, per quanto in minima parte, le farebbe perdere il pregio che l’ha resa famosa, rischiando di farle perdere l’appeal. Se si vuole scalare in Val di Mello, e certe vie in particolare, bisogna avere il grado e le capacità alpinistiche per farlo. Io non ho il grado per cui serenamente me ne sto lontano dal Precipizio degli Asteroidi. Senza remore e lamentele.
      Hai detto bene: alla società moderna sembra interessare una sola cosa, la sicurezza. Il libero arbitrio, l’assunzione di responsabilità sembrano principi impronunciabili. La balia l’abbiamo abbandonata in tenere età. Vogliamo libertà e andiamo in montagna per quello. Basta vedere come stanno riducendo il Trofeo Kima (che farò sabato). Da questa edizione c’è obbligo di caschetto dal Ponti al Gianetti. Che vuol dire fare quasi 20 km con quell’affare sulla testa. Per fare dei passi attrezzati… La difficoltà del Kima è il suo impegno fisico. Non la sua pericolosità. E correre per 20 km con un caschetto di certo non aiuta ad arrivare più freschi al Passo del Camerozzo.
      Tutti noi l’abbiamo fatto in questi mesi senza, ma per la gara, per pararsi le spalle di fronte le autorità ne impongono l’obbligo. Se questa è la motivazione non li biasimo. Ma a quel punto va aperta la discussione con le Autorità Pubbliche che poco o nulla sanno di montagna e, ancor meno, di Diritto.

  2. Quello che mi lascia di stucco è la difesa totale della Val di Mello mentre grosse voci contro il pesante progetto di richiodatura di Grigne e Medale (2002) non mi risulta ci siano state (sbaglio? ). Sembra quasi che si siano dei luoghi dove si può fare di tutto e altri dove anche solo smuovere una pietra sia considerato sacrilegio.

    Non è con il fanatismo che si può affrontare la questione sì spit/no spit.

    In val di Mello quasi tutte le vie sono state aperte a chiodi, è vero, ma bisogna tener conto del contesto attuale dell’arrampicata: alta frequentazione e tipologia dell’arrampicatore.
    Oggi, in una domenica di bel tempo, si trovano svariate cordate sulle stesse via e nessuno è pronto a rinunciare. Questo genera situazioni pericolosissime dove agli stessi chiodi si appendono più persone e in caso di una caduta le conseguenze possono essere terribili.
    Inoltre, pur ammettendo che solo persone preparate affrontino le vie, è lecito che non siano tutti sassisti con l’ottavo grado nelle dita. Questo non vuol dire accettare l’impreparazione delle persone, ma accettare il fatto che non c’è più solo un piccolo gruppo di giovani superpreparati che scalano, ma persone normali che non vanno oltre il 6a.
    Trovo che i concetti di “terreno d’avventura” e “libertà” siano stati uccisi da relazioni che spesso si spingono a dirci come risolvere il passo duro e l’abbondanza di video e foto oggi disponibili in rete…

    Due spit alle soste non stravolgono la via, evitano solo le tragedie. Che sono sempre tali, non solo quando ci toccano direttamente.
    non parliamo di “terreno d’avventura”

  3. Io credo che se una via è molto ripetuta le soste vadano rese sicure. Non banali, ma sicure. Non ha senso tenere li i chiodi piantati da matusalemme ormai verdi. Che senso ha?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close