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Storia e arrampicata si sposano sulla nuova falesia della Val di Sole, in Trentino

Quattro settori per 27 vie: la nuovissima "falesia Dei partigiani” si trova all’imbocco della Val di Rabbi. Grazie alle differenti esposizioni delle pareti si può scalare tutto l’anno, anche d’inverno

Viviamo un’epoca dove la prestazione in arrampicata – sia essa l’exploit alpinistico, il grado elevato ma anche la narrazione intimista o iperbolica della propria personale avventura in parete – rischia di obnubilare qualsiasi altra cosa, compresi il piacere della scoperta e la generosità nel condividerla. 

Piacere, scoperta, generosità e condivisione sono invece le parole chiave di chi, “in direzione ostinata e contraria”, è riuscito a lasciarsi guidare lungo sentieri poco battuti, mosso semplicemente da un’intuizione. E seguendola fino in fondo, quell’intuizione, per quasi quattro anni, coinvolgendo amici sempre nuovi e usando sempre il “noi” per indicare anche tutte quelle cose che ha realizzato da solo (e a chiedere di non citare il suo cognome in questo articolo, ndr).

Mattia, 27enne di Pracorno, in Val di Rabbi, ha scoperto le pareti della Falesia dei Partigiani quasi per caso, durante il periodo della pandemia. «Non si poteva andare tanto in giro», ricorda, «e dunque la mia attività in montagna si riduceva all’esplorazione dei paraggi: mi avventuravo nei boschi sopra casa, cercando disperatamente qualcosa di nuovo dentro quei percorsi che ormai conoscevo a memoria».

Era destino allora che, proprio nell’estate del 2020, Mattia s’imbattesse in un enorme blocco di gneiss, su cui la fantasia di questo giovane operaio, oltre che soccorritore alpino e volontario dei Vigili del Fuoco, galoppò ben presto, disegnandovi sopra alcune brevi linee di arrampicata.

«Con Giacomo, uno dei primi amici che coinvolsi nel progetto», continua Mattia, «iniziammo a chiodare questo blocco, senza troppe velleità e completamente ignari di quello che poteva aspettarci appena voltato l’angolo».

Il mistero di quegli antichi giacigli 

Seguendo delle tracce non proprio evidentissime Mattia scoprì infatti che, poco più in là di quei primi blocchi di roccia, esistevano due pareti inviolate, invase dall’edera e dalla vegetazione boschiva.

Di più: «mentre mi apprestavo a sistemare anche questo settore, – prosegue – pulendolo un po’ per capire se era fattibile chiodare, vidi un’enorme crepa, che formava una sorta di insenatura, quasi un vero e proprio nascondiglio naturale». Dentro, Mattia trovò dei giacigli di fieno, riparati dalle intemperie ma che avevano già cominciato a subire una buona degradazione, dovuta al trascorrere dei decenni.

Ed è qui che la storia di questa falesia inizia a seguire due binari paralleli: se da una parte Mattia continua a chiodare, per portare alla luce tiri solidi e di grande soddisfazione, dall’altra comincia anche a documentarsi, ricercando ed esplorando, attraverso le memorie di un’intera valle, la storia di quel posto.

«La conclusione a cui sono giunto», spiega, «è che questo rifugio fosse abitato e frequentato dai partigiani solandri che, dopo l’armistizio del 1943, iniziarono ad operare su queste montagne». Uno dei battaglioni più attivi della zona era il “G. Monteforte”, che si muoveva principalmente nell’Alta Anaunia, nella Val di Sole e, appunto, nella valletta di Rabbi. «Probabilmente però utilizzavano come rifugio i resti di postazioni risalenti alla Prima Guerra Mondiale e quella su cui sorge la falesia potrebbe essere una di queste». Di fatto, la falesia si trova nei pressi della terza linea del fronte, ultimo baluardo difensivo dopo il Passo del Tonale e il paese di Ossana. «Durante i mesi di pulizia», racconta Mattia, «abbiamo trovato chiodi di scarponi, ma anche alcuni proiettili, oltre che resti di zaini e cinture porta-munizioni». 

La moto d’epoca abbandonata nella foresta ha dato il nome al tiro più duro della falesia

Ma non sono venuti alla luce soltanto reperti storici: uno stretto quanto lungo canale che costeggia la parete centrale della falesia veniva abitualmente utilizzato come discarica a cielo aperto. «Fra le varie cose che abbiamo rimosso c’era anche una motocicletta d’epoca, praticamente intera», che è stata lasciata ora alla base del tiro più duro della falesia, non a caso battezzato Motor Crack (8a). E già a partire dai nomi, ogni tiro in questa falesia ha la sua storia: come Gatto Miriam, un quarto grado dedicato ai gattini disegnati sulle scarpette della prima bambina che lo ha provato, figlia di un amico di Mattia. Ma le vie più consigliate, proprio da quest’ultimo, sono quelle che si trovano nel settore successivo: una grande parete che si tinge di un irresistibile rosa chiaro non appena i raggi del sole ne sfiorano le rocce. «Qui consiglio Pangolino Kong (6b), Solide Radici (5c), con una bella fessura da passare in dülfer, e Movimenti Verticali (6a)», spiega Mattia, «senza dimenticare la parete di dry tooling che abbiamo preparato di fronte, con sei vie e una variante, fra le quali mi sento di consigliare Ricordando Andrea Papi (D7), dedicata al ragazzo di Caldes aggredito e ucciso dall’orso lo scorso anno».

Proprio le amicizie, in questa falesia, sono ciò che conta. Tant’è che Mattia, mentre parliamo, non fa altro che citare nuovi nomi, descrivendo il contributo di ognuno: «Guardo ogni tiro di questa falesia – spiega – e per ogni tiro c’è sempre qualcuno di diverso che mi ha aiutato».

Ma soprattutto c’è lui, Mattia, che ha speso tempo, passione, energia e denaro – ogni attrezzatura impiegata è finanziata di tasca propria – in un progetto che senza la sua curiosità non sarebbe nemmeno nato.

«Ora vorrei che le persone venissero ad esplorare questo posto, perché solo così possiamo prendercene cura». Sempre con le dovute attenzioni, però. Come ricordano le righe incise nel cartello di legno posto proprio all’entrata della falesia: “Se sei salito fin qui, cerca di aver rispetto per questo luogo, dove i nostri nonni si rifugiarono e vissero da partigiani. Loro si nascondevano lottando per la libertà, mentre noi oggi, qui, anche grazie a loro, possiamo arrampicare liberi”.

Come arrivare

Parcheggiare l’auto sopra l’abitato di Magras, in Val di Rabbi, e proseguire a piedi lungo il sentiero Val di Sole fino a raggiungere un cartello che indica il Sentiero delle Laste, da percorrere sino ad una corda fissa bianca seguendo poi le indicazioni per la falesia (circa 20 minuti in totale).

Settori, tiri e gradi

Parete LAND TIROL
(la prima parete chiodata nel 2020, sul sentiero di accesso al cuore della falesia)

  • Orange Alps, 6b
  • Escape, 6c
  • Pizzico di follia, 7°

Parete BABY
(4 monotiri molto facili, di terzo e quarto grado, su placca)

  • ABC
  • Primi passi
  • Gatto Miriam
  • Otaki

Settore DRY TOOLING
(6 monotiri + 1 variante) 

  • L’osteopata, D6
  • Land Tirol, D9
  • Ricordando Andrea Papi, D7
  • Gringos, D6+
  • El Mirco dal Denza, D7+
  • Rabbital 2023, D5+

Settore ROCCIA MADRE

  • Follia nera, 6a+
  • On sight, 6c
  • Corona Snake, 7C+ 
  • Motor Crack, 8a
  • Power, 6a

Settore I FIOI

  • Moon Edge, 5c
  • Enervit, 5c+
  • In bilico, 5b
  • Spazio verticale, 5b+
  • Elefante elegante, 6b
  • Gravi-danza, 6a

Settore EL GUARDIAN
(7 monotiri più lunghi, tutti di 30 metri circa, sulla caratteristica parete rosa)

  • Per Andrea, 5c (35m, S2)
  • 6ignoto, 6b
  • Movimento Verticali, 6a
  • Solide Radici, 5c (con fessura da passare in dülfer)
  • Polvere d’inganno, 6a+ 
  • Eclissi, 6a 
  • Pangolino Kong, 6b  
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