In montagna gli atti umani insicuri si manifestano ogni giorno
Come possiamo evitare gli errori in montagna? Come possiamo trovare soluzioni innovative e corrette ai problemi e ai pericoli in cui ci troviamo coinvolti? A volte è la paura di fare una brutta figura ad impedirci di rinunciare alla salita
In montagna gli atti umani insicuri si manifestano ogni giorno, su ogni terreno, dalla semplice escursione, alla grande parete.
Quando avviene un incidente, significa che siamo finiti dentro una trappola d’errore, segno del fallimento di difese limitate, o addirittura dalla loro assenza.
Siamo a conoscenza del fatto che, pervasi da condizioni di pericolo, siamo orientati a cercare soluzioni già sperimentate, o a ricercare pianificazioni passate, piuttosto che attivare una risoluzione il più possibile adatta alle circostanze del momento. Le risposte familiari in particolari situazioni ci avvicinano al baratro, piuttosto che metterci in salvo.
Gli errori – ahinoi! – ci inseguono e non possono essere sradicati. Quel che possiamo fare è renderli meno probabili o più facilmente recuperabili. Senza dimenticare che gli errori sono essenziali per il nostro apprendimento.
Come fare?
Nessun attrezzo o strumento, senza la mano ferma e la mente presente di chi lo utilizza può venirci in aiuto.
Solo un’intelligente cautela, il rispetto dei pericoli e prepararsi alle cose che potrebbero andare male ci possono dare una mano.
Spesso parliamo di consapevolezza, dimenticandoci che non riguarda solo la sfera mentale, ma anche quella sensoriale ed emotiva.
Anche le persone migliori, i professionisti più preparati e addestrati, possono commettere gli errori peggiori. I più bravi tendono a spingere al limite e gli sbagli accadono anche quando si conosce quel che si sta facendo.
Dimenticanze, percezioni ambigue e fuorvianti, disfatta dell’attenzione, ci attraversano costantemente.
Non esiste nessuna facile ricetta o regola da seguire per ridurre le trappole d’errore, ma cercare di essere riguardosi nei confronti dei pericoli e coltivare una sorta di “vigilanza spontanea” può essere un buon punto di partenza.
Spesso i nostri desideri superano la capacità di accettare la realtà che si presenta in un determinato istante mentre attraversiamo la montagna. Accettare che la nostra percezione può essere costantemente oscurata dall’ombra della nostra volontà è un altro piccolo grande aiuto.
La paura di fare una figura meschina, di ritornare mesti sui nostri passi, a volte supera quella dell’azzardo inconsapevole nella terra dell’ignoto.
Ammetterlo è un atto di grande coraggio, quello vero, capace di abilitare le nostre debolezze e fuggire dall’arroganza inconscia che ci portiamo nello zaino.
A volte la difficoltà più grande non è quella che incontriamo per superare un grande strapiombo, ma accettare la verità che ci circonda e riconoscere come ci sentiamo realmente in quel frangente.
Solo attraverso quest’accettazione possiamo far fronte a situazioni che si fanno via via più caotiche e avverse.
PS. Grazie a Ken Wylie per aver ispirato questo testo. Tempo fa ho avuto il piacere di scambiare con lui alcuni pensieri. Ken è una guida di Vancouver, da decenni si dedica allo studio della gestione del rischio in ambienti naturali intrisi di pericoli. La sua ricerca ebbe inizio dopo un gravissimo incidente che lo vide coinvolto nel 2003, assieme ad alcuni clienti. La vicenda è raccontata nel suo libro “Buried” (Rocky Mountains Books, 2014).