Film

Tutta colpa del paradiso: Francesco Nuti alla scoperta della Valle d’Aosta

Una storia intima ma di largo respiro ambientata principalmente in Val d’Ayas. Con Ornella Muti accanto allo sfortunato comico e regista toscano

Protagonista dimenticato del cinema italiano degli anni Ottanta, Francesco Nuti è stato attore per la televisione e il cinema, regista, e pure cantante (nel 1988 partecipò al Festival di Sanremo con “Sarà per te”, che verrà poi incisa da Mina), ma le sue crisi professionali e personali lo hanno fatto sparire dalle scene e dalla memoria del nostro cinema senza troppi sconti.

Amaro, ironico, nichilista ma mai davvero rassegnato, Tutta colpa del paradiso (1985) è il suo secondo film da regista. Il suo esordio dietro la macchina da presa era stato – lo stesso anno – Casablanca, Casablanca (1985), con cui aveva vinto il suo secondo David di Donatello e un Globo d’oro al festival di San Sebastian. Tutta colpa del paradiso, tuttavia, è forse uno dei suoi film più celebri: una storia senza pretese di un uomo che ricerca il suo posto nella società, la sua famiglia, la sua identità, che prova a ritrovare (ma anche qui sta l’amarezza, nel compimento mancato dei propri desideri) durante un lungo soggiorno tra le montagne della Valle d’Aosta.

Un viaggio personale ma che, osservato alla lontana, ci parla soprattutto della prospettiva da cui Nuti vedeva il rampante arrivismo della società italiana degli anni Ottanta: come un outsider alla Charlot in chiave nostrana (il vagabondo per eccellenza), un osservatore divertito che, sentendosi già “fuori dai giochi”, riusciva a descriverne liberamente – e con grandi dose di surrealismo – le evidenti criticità, i sogni fatti di plastica e il benessere ostentato.

Tutta colpa del paradiso, anche se non sembra, in realtà parla proprio di questo: del ritrovarsi nella mancanza. Il suo personaggio è già di per sé irrisolto, e lo troviamo sotto il nome di Romeo Casamonica scontare cinque anni per rapino a mano armata. Niente di più lontano da ciò che suggeriscono la sua gentilezza e la sua espressione goffamente ammiccante. Di quel precedente penale non ci verrà mai detto null’altro (ecco la prima mancanza), ma proprio in virtù di tale premessa assurda, Romeo ci permette di empatizzare con lui mentre lo accompagniamo alla ricerca del figlio di cinque anni che non ha mai conosciuto.

Dopo visioni oniriche di occupanti punk che lo obbligano ad abbandonare quella che era la sua vecchia casa e che ora è stata demolita (seconda mancanza), Romeo trova l’indirizzo dei genitori adottivi del figlio e si reca così nell’incantevole Val d’Ayas, in una baita denominata “Paradiso” dove Celeste e Sandro (Ornella Muti e Roberto Alpi) crescono il piccolo Lorenzo lontano dalla società, in un luogo abbandonato dal turismo e dalla comunità locale (una volta era pieno di vita, dicono nel film) ma che si nutre della bellezza stessa della montagna, dei suoi ritmi.

“Sandro, la montagna è superiore. Più tu sali più è superiore”

Metafora di questo viaggio introspettivo alla ricerca di “pezzi mancanti” è lo stambecco bianco. La creatura che Sandro, in quanto ricercatore, sta cercando di avvistare da anni, e che nasce una volta ogni 400 anni. È stata proprio l’eccezionalità di questo animale a portare Sandro e la famiglia lontano dal paese, in questa baita dove il lavoro, ma anche lo stile di vita, è quello di aspettare. La venuta di Romeo non potrà allora che corrispondere, nel suo carattere di assurda eventualità, a tale presenza.

Nuti è stato in qualche modo la controparte sorniona di Nanni Moretti: sarà per la nostalgia che lo avvolge, o per il suo saper scherzare amaramente su qualsiasi tragedia. Per farlo, diversamente da Moretti (che predilige la parola e il discorso-fiume), Nuti usa soprattutto il sonoro, la sospensione del tempo, dell’incredulità. In Tutta colpa del paradiso, tutto è reale e insieme surreale, sospeso, accennato. Un cinema di mancanze, dove l’assenza serve a richiamare ciò che non c’è.

Le location del film

Ambientato in Valle d’Aosta, il film è stato principalmente nella Val d’Ayas in una baita – quella di Celeste e Sandro – situata in località Alpe Taconet, con splendida vista panoramica sul paese di Champoluc. Alcune scene sono state girate nella frazione Pellaud di Rhèmes-Notre-Dame, a Gressoney-Saint-Jean (AO), precisamente in Piazza Obre e in Piazza Umberto I°; nella Valle di Cogne e nel Parco Nazionale Gran Paradiso.

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