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Il Parco del Circeo compie 90 anni

Macchia mediterranea, rocce, laghi costieri, dune sabbiose, resti antichi, pareti amatissime dai climber. Il terzo Parco nazionale italiano per età racconta una storia affascinante

La parola wilderness, cioè “natura selvaggia”, si usa di solito per l’Amazzonia o l’Antartide, o per le aree più vuote e impervie d’Italia, dalla Val Grande al Supramonte. Nel Lazio, una regione affollata, rientra nella categoria qualche angolo della Ciociaria e dei Monti della Laga.

Ma la wilderness esiste anche al Circeo. E’ il Precipizio, il versante che precipita dai 541 metri del Picco di Circe verso il Tirreno. Sulle rocce cresce la palma nana e nidifica il falco pellegrino, dove la pendenza diminuisce compare un’impenetrabile macchia di lecci. Accanto al mare si alzano scogliere e grotte utilizzate dall’uomo preistorico. Sorveglia la zona una parete calcarea che ricorda la Roda di Vael, una delle più belle delle Dolomiti.

Il Precipizio del Circeo è un paradiso sconosciuto. I sentieri del Parco non lo toccano, e da quello che sale da Torre Paola alla cima la zona non si vede. La posizione in una conca fa sì che la parete sia visibile solo dal mare o dal cielo. Dalla sua base non si vedono né case né strade, e gli unici rumori prodotti dall’uomo sono quelli dei motoscafi. Al largo compaiono Palmarola e Ponza.

Quando si parla del Circeo, il terzo Parco italiano per età (dopo Gran Paradiso e Abruzzo), istituito da un Regio Decreto alla fine di gennaio del 1934, non si pensa di solito alla natura selvaggia. Le immagini più note di questo angolo del Lazio sono le spiagge affollate, le ville sulla duna di Sabaudia, tutt’al più le passeggiate in quel che resta della Selva.

Renzo Videsott, il veterinario e alpinista di Trento che ha fatto rinascere il Gran Paradiso, a proposito del Circeo lo definì, al tempo, un “miserabile parco nazionale nato morto”, chiedendone  la sua abolizione. Voleva più attenzione per le Dolomiti di Brenta e i loro orsi. Evidentemente non aveva visto il Precipizio.

Per capire il Parco del Circeo e la sua nascita, bisogna tornare all’Italia di un secolo fa. Le vecchie mappe dell’Istituto Geografico Militare ci mostrano che a quel tempo, tra il mare e il promontorio del Circeo da un lato, e la via Appia e i Monti Lepini dall’altra, si estendeva la Selva di Terracina con i suoi insediamenti stagionali di boscaioli e pastori.

Poi all’inizio degli anni Trenta, tutto è cambiato. Il regime fascista decise di bonificare la Selva, nacquero le “città nuove” di Sabaudia e Littoria, l’odierna Latina. Si racconta che Benito Mussolini in persona, contro il parere del suo Ministro dell’Agricoltura Giacomo Acerbo, abbia deciso di salvare dal taglio una parte della foresta per tramandarla ai posteri.

Il Parco nazionale del Circeo, nasce per salvaguardare la natura (la Selva, i laghi costieri, il promontorio, la duna) e per promuovere lo sviluppo della zona. Anche nella legge istitutiva dello Stelvio, che nascerà un anno dopo, il turismo affiancherà la tutela dell’ambiente.

Per il Circeo, affacciato su un mare stupendo e a metà strada tra Roma e Napoli, quella promessa di sviluppo è una condanna a morte. Nel dopoguerra intorno a San Felice e a Sabaudia galoppa la speculazione edilizia. Le ville dei ricchi, oltre alla duna, invadono il Quarto Caldo, il versante roccioso del promontorio.

Poi, all’improvviso, nasce un nuovo Circeo. Negli anni Settanta, grazie alle neonate associazioni ambientaliste, a giornalisti come Antonio Cederna e a magistrati come Luciano Infelisi, viene bloccata la speculazione sulla costa, in cui si è affacciata la malavita organizzata.

Viene esclusa dall’area protetta la costa di Latina, ormai urbanizzata. In compenso, grazie a delle Riserve naturali dello Stato, si rafforza la tutela dei laghi costieri, frequentati da una straordinaria avifauna. Nel 1979 entra nel Parco anche Zannone, una delle isole Pontine.

Anche la rinascita, però, si ferma, e il Parco del Circeo resta un progetto incompiuto. Anche se l’afflusso di birdwatcher, escursionisti e arrampicatori cresce, ampi settori della Selva vengono chiusi senza spiegazioni, e accanto ai laghi non esistono capanni per osservare l’avifauna.

Le amministrazioni locali, dai Comuni alla Regione, s’interessano solo dei tre mesi di “tutto esaurito” dell’estate. Anche per questo, i presidenti e i direttori del Parco ruotano rapidamente e non incidono. La Soprintendenza complica il lavoro delle guide ambientali, limitando la possibilità di accedere a meraviglie come la villa dell’imperatore Domiziano e la Grotta Guattari, abitata dall’uomo di Neanderthal.

La nuova rete dei sentieri non comprende vari percorsi classici, a iniziare dalla “direttissima” che riporta dai 541 metri della cima a Torre Paola senza costringere ad arrampicare in discesa. Dal 2020, per tre estati, viene vietato l’accesso alla cima a chi non è accompagnato da “guide esperte” senza specificare cosa questo significhi.

Gli arrampicatori, che sul Precipizio trovano alcuni degli itinerari più lunghi e in ambiente selvaggio del Lazio vengono tollerati, ma l’idea che scalare in un ambiente così bello sia un’attività “da Parco” non sfiora i responsabili dell’ente. Intorno alle vie, ricordiamolo, pareti vastissime permettono ai falchi di nidificare tranquilli. Forse, quando festeggerà il secolo di vita, il Circeo diventerà un Parco normale. Intanto – e non è poco – resta un’area di straordinaria bellezza.

Tre itinerari nel Parco nazionale del Circeo

 

Dal Centro Visitatori al Lago di Paola

(40 m di dislivello, 2 ore a/r, T)

Una passeggiata per tutti, fattibile anche in bici. Da Sabaudia si raggiunge il Centro Visitatori (24 m), lo si aggira e si entra nella Selva accanto a una sbarra, (punto 20 dei cartelli e delle mappe). Si continua su un’ombrosa strada sterrata pianeggiante, si toccano le ricostruzioni di alcuni capanni di boscaioli, si raggiunge un quadrivio (punto 21) e si piega a destra. Superati dei tratti sabbiosi che creano problemi alle bici e ai passeggini si scende al Braccio della Carnarola, (1 ora) un’insenatura del Lago di Paola. Si torna per la stessa via (1 ora).

Da Torre Paola al Picco di Circe

(da 600 a 700 m di dislivello, da 3 a 5 ore a/r, EE)

Il sentiero che sale ai 541 metri della cima è ripido, aereo, e include passi di arrampicata. I panorami spaziano da Ponza all’Appennino. Da Torre Paola, tra San Felice e Sabaudia, si imbocca una stradina, poi si sale per un ripido sentiero (segnavia 750) tra i lecci. Si esce in cresta affacciandosi sul mare, si scavalca il Picco dell’Istria (418 m), si supera una sella e si risale per un canalino roccioso (passi di I grado). Prima della vetta (541 m, 2 ore) si lasciano a sinistra i vecchi segni rossi della “direttissima”. Si può scendere per questa (1 ora, complicato dalla vegetazione), tornare per la via di salita (1.30 ore) o proseguire in cresta fino al posteggio delle Crocette, da cui un sentiero riporta a Torre Paola (3 ore).

Il sentiero del Precipizio

(320 m di dislivello, 2.15 ore a/r EE)

Lo spettacolare percorso, utilizzato dagli arrampicatori, che porta alla base del precipizio. Da San Felice Circeo si seguono le indicazioni per Punta Rossa e il Faro, e si posteggia al termine della strada. A piedi si segue un viottolo a mezza costa e poi, a un bivio con segnavia e ometto (non sempre visibili) si va a destra per un sentiero che si alza a tornanti nella macchia fino a una piazzola (190 m). Fin qui l’itinerario è elementare. Si continua per un sentierino più ripido, indicato da ometti, che supera colate di ghiaia e roccette. Oltrepassato uno spuntone affacciato sul Precipizio, si raggiunge una forcella (280 m, 0.45 ore) ai piedi della parete, da cui un sentierino porta all’attacco delle vie. Il ritorno richiede 0.30 ore. Dal primo bivio si piega a destra, si supera lo scheletro di un fabbricato abusivo, e si raggiunge il Riparo Blanc, utilizzato nella Preistoria e affiancato da palme nane. Occorrono altre 0.30 ore a/r.

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