Ada Blackjack, l’eroina dell’Artico
La giovane inuit fu l’unica sopravvissuta della spedizione sull’isola di Wrangel del 1923. Dopo la salvezza negli Stati Uniti divenne una celebrità. Ma non si arricchì mai
È il 28 giugno 1923. Una donna inuit in compagnia di una gatta sta tagliando a pezzi un animale nella sua capanna. È una foca, la prima che abbia mai ucciso in vita sua, sparandole. Il forte odore attira un’orsa con il suo cucciolo. La giovane è spaventata, ma si fa coraggio: imbraccia il fucile e spara, riuscendo così ad allontanarli. Questo momento di terrore proviene dal diario di Ada Blackjack (1898-1983), l’unica sopravvissuta di una tragica spedizione in uno degli angoli più ostili del globo alla sopravvivenza umana: l’isola di Wrangel, in pieno Oceano Artico, dove le temperature a febbraio sono in media di -22 gradi, ma possono arrivare anche a -44. Ada riesce a resistere per ben 57 giorni da sola insieme alla gatta Victoria detta Vic, fra venti glaciali che sferzano l’isola, nebbie fitte e un freddo che uccide. Quando verrà salvata facendo ritorno nel mondo civile, sarà soprannominata la Robinson Crusoe donna, un’eroina dell’Artico suo malgrado.
Che cosa ci faceva una venticinquenne inuit di lingua iñupiaq originaria dell’Alaska su quest’isola sperduta, al largo della Siberia? Ada non era un’aspirante esploratrice. Rimasta orfana di padre da piccola, era stata affidata ai missionari metodisti, che l’avevano educata con lezioni di cucito e letture bibliche. A 16 anni, sposa un conduttore di slitte di cani, Jack Blackjack, mettendo al mondo tre figli dei quali ne sopravvive solo uno, Bennett, che sarà cruciale nell’epopea da lei vissuta sull’isola di Wrangel.
Un giorno del 1921, il musher sparisce lasciando moglie e figlio in una remota zona dell’Alaska. Il desiderio di salvare il bambino infonde alla giovane madre il coraggio di percorrere 65 km a piedi fino a Nome, dove è costretta ad affidare Bennett, malato di tubercolosi, a un orfanotrofio. Ada è senza un soldo e deve assolutamente trovare un lavoro.
Viene a sapere che un canadese di nome Vilhjamur Stefansson, antropologo ed esploratore artico, è alla ricerca di donne inuit che facciano da sarte e cuoche per una spedizione. Offre 50 dollari al mese: una bella somma, che le avrebbe permesso di far curare al meglio suo figlio. Ada accetta, anche se poi scopre di essere non solo l’unica donna, ma anche l’unica inuit della squadra, composta dallo studente universitario canadese Allan Crawford, capo spedizione, e dagli statunitensi Lorne Knight, Milton Galle e Fred Maurer. Quest’ultimo è l’unico a conoscere l’isola da raggiungere, per esserci naufragato. Benché avesse partecipato ad altre avventure artiche, di cui aveva scritto nei suoi libri, stavolta Stefansson non sarebbe partito: si era ritagliato il ruolo di finanziatore dell’impresa.
La spedizione ha come destinazione l’isola di Wrangel. Stefansson si è messo in testa un’idea bizzarra: vuole strapparla ai russi perché entri a far parte del Canada e dell’Impero britannico. Ha provato a cercare il supporto di entrambi, ma glielo hanno negato. L’isola, che si chiama Wrangel in onore di un barone russo – il primo europeo che nel 1820 cercò di raggiungerla senza riuscirci – era stata conquistata dagli americani nel 1881, che l’avevano dichiarata annessa agli Usa. Ma nel 1911 i russi se ne appropriarono, e da allora malgrado la spedizione di Stefansson, appartiene a Mosca. Nel 1924 i sovietici vi costruirono il primo nucleo abitato, che è stato definitivamente abbandonato nel 2003. L’isola di Wrangel oggi è una riserva naturale e le condizioni climatiche sono così ardue che nessuno si sogna di andare ad abitarci in pianta stabile. C’è solo una stazione meteorologica.
Una spedizione nata male e finita peggio
La squadra di Stefansson sbarca sull’isola nel settembre 1921, portandosi appresso quella che a detta di molti era una quantità insufficiente di cibo. Il finanziatore aveva esortato i quattro esploratori a imparare a cavarsela da soli, usando “il grasso” di foche e trichechi reperibile in loco, ma anche altri animali come fonte di carne. Il primo anno va a gonfie vele per il gruppo, che crea il suo accampamento. Gli uomini cacciano, Ada cucina. Nell’estate del 1922, la nave che doveva raggiungerli non riesce a sbarcare per via del ghiaccio. Così all’inizio del 1923, la situazione precipita: il cattivo tempo ha impedito la caccia, le riserve alimentari sono al minimo. Il 28 gennaio Crawford, Galle e Maurer partono in slitta con i cani con l’obiettivo di raggiungere la Siberia. Il tentativo fallisce e i loro corpi non saranno mai ritrovati.
Ada rimane sola con Knight, che è ammalato di scorbuto. Sono mesi durissimi per lei: deve percorrere una decina di chilometri al giorno per cercare legna, con il rischio di incontrare gli orsi, che la terrorizzano. La cuoca e sarta si deve trasformare in una cacciatrice abile a sparare, ma anche in una raccoglitrice di alghe e radici della tundra. E mentre si sobbarca la fatica quotidiana prima svolta da quattro uomini, deve subire le lamentele di Knight che la accusa di non nutrirlo a sufficienza e di volerlo far morire.
Ada affida al suo diario lo scarno racconto della sua vita in quei primi mesi del 1923: scrive della fame, dei suoi sforzi per intrappolare le volpi senza riuscirci, delle sue prodezze con il fucile, degli insulti dell’ingrato Knight. Scrive della cecità da neve e dei problemi agli occhi, disagi che chi va in alta montagna conosce bene. Pur non avendo ricevuto un’educazione inuit, la ragazza riesce a costruirsi una barca rivestita di pelli, che le facilita gli spostamenti e la caccia. Poco alla volta, il suo dna riemerge: è una donna eschimese, l’Artico è la sua terra. Dimagrisce, ma acquista fiducia in se stessa e nella sua capacità di sopravvivere.
Il 23 giugno 1923 Ada prende la macchina da scrivere di Galle per annotare su un foglio la morte di Lorne Knight. Non le resta che sperare che qualcuno venga a salvare lei e Vic da quella gelida prigione a cielo aperto. Nel frattempo non si scoraggia. Continua a cacciare, si sposta in un’altra costruzione per non dover subire l’odore del corpo di Lorne in decomposizione e costruisce una piattaforma per avvistare gli orsi polari. Impara anche a usare la macchina fotografica della spedizione. A darle forza nei 57 giorni in cui vive da sola sull’isola è il pensiero costante di suo figlio Bennett. Vuole resistere per riuscire a tornare in Alaska e prendersi cura di lui. Quando il tempo non le consente di uscire, cuce ciabatte per il ragazzo, oppure legge la Bibbia. Il 19 agosto 1923 la nave Donaldson raggiunge l’isola di Wrangel, portando finalmente in salvo Ada e Vic.
La fama, non i soldi, dopo la salvezza
Al ritorno, Ada Blackjack è un’eroina: i giornalisti la inseguono, ma lei rifugge questa improvvisa notorietà. Vuole solo ricevere i suoi soldi per poter andare a Seattle a far curare la tubercolosi di Bennett. L’equipaggio della Donaldson contribuisce ad accrescere la sua fama, raccontando che Ada era così ben organizzata quando l’hanno ritrovata che avrebbe potuto resistere anche per un altro anno. Stefansson compra il diario di Blackjack e lo usa per scrivere il suo libro The adventure of Wrangel island. Si era impegnato a versarle una parte dei diritti, ma non lo farà. Poco male per Ada, che non è avida. A Seattle incontra il suo secondo marito, dal quale avrà un altro figlio. Ma quando divorziano, lei ritorna nella sua terra natale per dedicarsi all’allevamento delle renne. Morirà nel 1983, all’età di 85 anni, ricordata come “eroina della spedizione all’isola di Wrangel” sulla lapide in pietra della sua tomba.
Oggi Wrangel è l’isola dei mammut, che qui sopravvissero fino a 4000 anni fa, e l’isola della biodiversità vegetale riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco ma sarà per sempre anche l’isola di Ada Blackjack.