L’amore di Katia e Maurice Krafft per i vulcani era talmente grande e totalizzante che niente, nelle loro vite, sembrava poterlo pareggiare. Se non quello che provavano l’uno per l’altra.
Nati nell’Alsazia del secondo dopoguerra, i due si legano per sempre ai vulcani dopo due viste particolari, avvenute nelle rispettive infanzie, che li catturano per sempre: per Maurice quella dello Stromboli, per Katia, quella dell’Etna. Due percorsi paralleli ma già fatalmente legati, dal momento in cui, nel 1966, i due vulcanologi si conoscono e si innamorano, suggellando il senso delle loro vite tra fiumi di lava, esplorazioni avventurose e immagini spettacolari e pionieristiche impresse dalla fotocamera di Katia e dalla cinepresa in 16 mm di Maurice.
Immagini di ricerca scientifica ma che, nella loro evidenza straordinaria, testimoniano non solo la magnificenza di tutto ciò che hanno osservato, ma anche quella con cui loro sapevano osservare. Traendone una poesia per immagini di una bellezza mozzafiato.
Diretto da Sara Dosa, che ha vagliato e montato l’enorme materiale d’archivio dei Kraft insieme a Erin Casper e Jocelyn Chaput, Fire of love è un documentario magnifico, che a partire dalla relazione simbiotica tra questi due “matti” vulcanologi declina il concetto di amore in cerchi concentrici sempre più grandi: quello per la conoscenza, quello per la vita, quello per la Terra.
“Preferisco una vita intensa e breve ad una vita monotona e lunga”, dice Maurice. Un leitmotiv che Sara Dosa, attraverso un montaggio incredibile e narrativamente puntuale – fatto di filmati, animazioni, fotografie e un uso attento delle musiche – trasmette a uno sbalordito spettatore attraverso un perenne senso di pericolo: l’idea di rischio che Katia e Maurice hanno sempre calcolato e spesso ignorato. Perché la loro umana curiosità, come quella di Icaro, li spingeva sempre più vicini al sole.
Katia e Maurice sono stati fin da subito delle star della vulcanologia e dei divulgatori prolifici e assidui. Due osservatori a diverso raggio – lei amava osservare i dettagli, e fotografare; lui la grandezza del paesaggio vulcanico, e filmare – che vivevano nella società solo perché costretti a doversi guadagnare da vivere (“Se potessi mangiare rocce, rimarrei sui vulcani e non scenderei mai”) e ritenevano casa non le quattro mura in Alsazia ma ovunque ci fosse un vulcano.
Maurice, ancora più di Katia, era così follemente devoto alla vulcanologia che una volta navigò su un canotto gonfiabile il più grande lago di acido solforico al mondo, il Lago Kawah Ijen (Indonesia). Immagini da capogiro che, come quelle di tutte le altre loro imprese, sono presenti del documentario e ancora oggi abbiamo il privilegio di poter ammirare.
Il sogno però di Maurice era uno solo: riuscire, un giorno, a navigare un fiume di lava. Una missione che pianificò tutta la vita, ma che non riuscì mai a compiere: “Voglio galleggiare lungo un flusso di lava fusa. Katia non vuole. Ha detto che mi avrebbe scattato l’ultima foto mentre partivo”.
La prima volta che hanno sentito la morte vicina è stata nel 1977, dopo aver documentato le conseguenze dell’eruzione del Monte Nyiragongo (Congo): morirono tra le 50 e le 100 persone. Ciò che però ha cambiato il corso delle loro vite è stato toccare con mano la negligenza dell’uomo di fronte agli avvisi della comunità scientifica, e che con l’eruzione preventivamente avvertita dai Kraft del Nevado del Ruiz (Colombia) del 1988, avrebbe potuto risparmiare la vita a circa 23.000 persone. Ma purtroppo, nessuno li ascoltò.
E così la missione dei Krafft si è fatta politica, e la loro tenacia sempre più testarda: da quel momento hanno deciso di specializzarsi nei vulcani grigi (diversi da quelli rossi, magmatici), chiamati non a caso “vulcani killer” per la potenza e l’imprevedibilità delle loro detonazioni. Di cui una, fatalmente, li colse impreparati nel 1991, di fronte all’eruzione del Monte Unzen, in Giappone.
“Vicino al luogo dell’ondata, i segni sulla Terra indicavano che Katia e Maurice erano uno accanto all’altro. Sono stati recuperati due oggetti, una macchina fotografica e un orologio, le cui lancette sono state congelate per sempre nel tempo alle 16:18. Proprio al di sopra del Mar Cinese Orientale, il Monte Pinatubo trema. Una settimana dopo esploderà nella più spettacolare eruzione vulcanica che le Filippine abbiano mai conosciuto. 58.000 persone evacueranno. I funzionari prenderanno sul serio i segnali d’allarme grazie al film di Katia e Maurice sulla comprensione dei vulcani”.
Katia e Maurice, racconta Fire of love, non avevano paura della morte. E ovunque fosse andato uno, l’altro avrebbe seguito. Così è stato. Vicini fino alla fine, tra i fumi del vulcano.
“Ho visto così tante cose belle. Mi sento come se avessi più di 100 anni, con quello che ho vissuto. Quindi, francamente, me ne vado senza paura” (Maurice Krafft).