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Clienti senza ramponi? La responsabile del rifugio Sebastiani li fa portare a valle dal Soccorso Alpino

Il 3 gennaio, una quindicina di escursionisti saliti senza la corretta attrezzatura al rifugio del Velino, è stata riportata a valle dagli uomini del CNSAS e del SAGF. Una scelta giusta. Ma che ha scatenato polemiche

I gestori dei rifugi, da sempre, hanno uno stretto rapporto con le operazioni di soccorso in montagna. In passato, prima degli elicotteri e dei telefoni cellulari, erano loro a partire alla ricerca di escursionisti e alpinisti feriti, dispersi o peggio. A dare loro una mano, se c’erano, provvedevano guide alpine e volontari. In tutti i rifugi, in un apposito armadio, c’erano corde, carrucole imbraghi e un kit di pronto soccorso.

Oggi il mondo è cambiato, e gran parte delle richieste di soccorso viaggia direttamente, via cellulare, tra l’infortunato (o i suoi compagni di gita) e le centrali del Soccorso in fondovalle. Molte volte, però, prima di decollare o di mettersi in cammino via terra, i responsabili del CNSAS, del Soccorso della Guardia di Finanza e di altre strutture, per avere qualche informazione in più, fanno una chiamata al gestore del rifugio più vicino.

La mattina del 3 gennaio, in Abruzzo, è accaduta una storia diversa. Eleonora Saggiorno, gestore del rifugio Vincenzo Sebastiani del Velino, ha ospitato per la notte una quindicina di escursionisti saliti da Campo Felice o dai Piani di Pezza. La mattina il tempo era brutto, la neve sui pendii intorno al rifugio era poca e ghiacciata. Da giorni, sulla pagina Facebook del Sebastiani compariva la frase “per salire al rifugio servono i ramponcini, o meglio ancora i ramponi”.

Gli escursionisti al rifugio, però, non avevano l’attrezzatura corretta, e tra loro c’erano tre bambini. Eleonora li ha invitati ad aspettare, si è consigliata per telefono con i responsabili del SAGF, il Soccorso Alpino della Guardia di Finanza, e del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, e questi hanno deciso di intervenire. Gli escursionisti sono stati riportati a valle grazie ai ramponi prestati dai soccorritori, i bambini sono stati legati in cordata. Per loro è stata un’esperienza memorabile.

A dare la notizia, poche ore dopo, sono stati due siti d’informazione locale, Assergi Racconta (“Equipaggiamento inadeguato, in 15 bloccati a duemila metri”) e Il Capoluogo d’Abruzzo (“Bloccati in 15 a quota 2mila metri, recuperati dal Soccorso Alpino al rifugio Sebastiani”). Sui social, come sempre in questi casi, i commenti sono stati pesanti. La sera del 3 gennaio, per chiarire cos’era accaduto, ha preso la parola Eleonora Saggioro.

Ci tengo a puntualizzare che gli escursionisti che hanno pernottato al rifugio non hanno chiamato i soccorsi, ma l’ha fatto la sottoscritta dopo essersi consultata con i tecnici del soccorso; nessuno degli escursionisti aveva infradito ai piedi; non c’era un’emergenza ma solamente l’esigenza di far scendere le persone in tranquillità, vista anche la presenza di bambini”, ha scritto Eleonora, che gestisce il Sebastiani da lungo tempo.

Gli ospiti del rifugio erano tranquilli e al caldo e potevano anche restarci aspettando un miglioramento” prosegue il post, “da quando abbiamo aperto il 27 dicembre ho visto salire persone con ai piedi Converse, doposci, scarpette varie, montoni, pellicciotti e borsette a tracolla, tutti sono saliti e ridiscesi senza farsi male per pura casualità: questa mattina per la prima volta c’era ghiaccio tutto intorno al rifugio e per buona parte del sentiero a scendere e quindi è andata come è andata. La verità è che questo inverno che, come sento dire continuamente, non sembra inverno, in realtà lo è. E quindi bisogna avere attrezzatura e conoscenza”.

I follower di Eleonora e del rifugio Sebastiani hanno capito, ma sono rimasti critici. “Sprovveduti, incoscienti e anche irresponsabili”, scrive M.A. delle persone accompagnate a valle dal Soccorso. “Attrezzatura adeguata, controllo delle condizioni climatiche, altrimenti affidatevi ad una guida” aggiunge T.S.

Sono sempre propenso a far pagare il servizio in casi come questo, perché di servizio e non soccorso si è trattato” prosegue S.L. “Dovrebbero vergognarsi semplicemente i genitori, inadeguati” conclude A.V.

Paolo Passalacqua, luogotenente della Guardia di Finanza e responsabile del SAGF dell’Aquila, ha aggiunto una ricostruzione pacata e tranquilla degli eventi. “Con senso di responsabilità e lungimiranza, chi gestisce il rifugio (da sapiente montanaro), ha “sconsigliato” ad alcuni escursionisti di ripartire subito, per via delle condizioni ambientali del momento, ed aspettare”.

Eleonora Saggioro, quarantott’ore dopo gli eventi, resta convinta di aver fatto la cosa giusta. “Gli escursionisti del 3 gennaio avevano abbigliamento e calzature corrette, ma come tanti altri hanno ignorato l’invito a salire con i ramponi. Non potevo dire loro “arrangiatevi!” e salutarli, il mestiere del gestore di un rifugio non si esaurisce nel preparare minestre e polente”.

In realtà, soprattutto nella parte iniziale dell’inverno, per percorrere in sicurezza l’Appennino oltre i 1000/1500 metri di quota, è bene avere con sé la piccozza e i ramponi. La norma, oltre ai rifugi abruzzesi, riguarda, naturalmente, gran parte delle strutture che restano aperte d’inverno anche sulle Apuane, sulle Prealpi e sulle Alpi.

Le condizioni particolarmente “asciutte” di questi giorni spostano la quota verso l’alto, ma la norma di sicurezza rimane. Gran parte degli escursionisti, però, la ignora, come dimostrano gli incidenti, a volte gravi, che riguardano chi si spinge con le ciaspole ai piedi (se non con i moon boot) su pendii di neve dura o ghiacciata.

Mentre le ciaspole, però, sono “sexy” e compaiono ovunque nella comunicazione sulla montagna, di piccozze, ramponi e ramponcini non si parla mai. Queste parole salvavita non compaiono in molte guide di sentieri in commercio, né tantomeno in “Abruzzo Neve”, una guida di Repubblica pubblicata da pochi giorni e sponsorizzata dalla Regione Abruzzo. La giusta iniziativa di Eleonora Saggioro, e l’ottima risposta del CNSAS e del SAGF, colmano un silenzio pericoloso e sbagliato.

Tre anni fa, quando abbiamo ristrutturato il rifugio, uno degli obiettivi era proprio di renderlo accogliente d’inverno”, continua Eleonora. “Abbiamo fatto un buon lavoro, il CAI nazionale e la Sezione di Roma hanno investito molti soldi, altri sono stati raccolti con un crowdfunding. Noi, con il nostro lavoro, riusciamo a tenere il rifugio aperto. L’unico modo per evitare imprudenze e incidenti sarebbe rinunciare ad aprire, ma sarebbe una soluzione dolorosa e sbagliata”.

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