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26 dicembre, appuntamento ai piedi della Nord del Camicia

Parte alle 13.30 da Castelli l’escursione organizzata dal CAI verso il memoriale che ricorda Piergiorgio De Paulis, scomparso a 20 anni sul “piccolo Eiger” d’Abruzzo. La cronaca della tragedia

Le pareti del Gran Sasso, negli anni, hanno visto molti incidenti mortali. Nessuno di questi, però, si è impresso nella memoria dei frequentatori del massiccio come la morte di Piergiorgio De Paulis, precipitato durante la prima invernale della parete Nord del Camicia alla fine di dicembre del 1974.

Da allora ogni anno, la sera del 26, Santo Stefano, un folto gruppo di escursionisti e alpinisti parte nel primo pomeriggio da Castelli, raggiunge in auto il bosco di Colle Rustico, prosegue a piedi fino al Fondo della Salsa, la forra alla base della parete.

La Nord del Camicia, “l’Eiger d’Abruzzo” per gli alpinisti, alterna muri di roccia friabile, speroni di calcare solido, ripidissimi pendii erbosi, canaloni battuti da scariche di sassi. In primavera le femmine di camoscio s’inoltrano sulle cenge per partorire dove i lupi non possono seguirle. La prima ascensione della parete, compiuta nel 1934 da Bruno Marsilii e Antonio Panza, entrambi di Pietracamela, è stata una pietra miliare dell’alpinismo appenninico.

La Nord “è alta più di mille metri e larga di più, ha una forma convessa, e quando ci sei dentro capisci il significato della parola “universo”. Non finisce mai, è enorme. La via classica, la Marsilii-Panza, è una delle massime imprese dell’alpinismo italiano”, ha scritto Roberto Iannilli, autore di un centinaio di vie nuove sulle pareti del Gran Sasso.

Qui non contano i gradi che facciamo in falesia. Servono tatto e testa, precisione, leggerezza dei movimenti, concentrazione. Questa è una scalata mistica, bisogna avere fede e credere nella fortuna che aiuta gli audaci”, prosegue presentando “Vacanze romane”, una delle due vie da lui tracciate sulla Nord. Nell’estate del 2016, mentre tenta di aprirne una terza, Roberto precipita e muore insieme all’amico Luca D’Andrea.

Cronaca di una tragedia

La tragedia che si ricorda il giorno di Santo Stefano avviene negli ultimi giorni del 1974. La cordata che tenta la prima invernale della Nord ha tutte le carte in regola per riuscire. Piergiorgio De Paulis, vent’anni, studia Giurisprudenza all’Università di Torino, è legato in maniera viscerale al Gran Sasso, è il migliore alpinista della nuova generazione aquilana.

Carlo Leone, farmacista, è un aquilano che vive e lavora a Roma. E’ un ottimo secondo di cordata, con all’attivo diverse vie nuove sul grande massiccio abruzzese. Domenico Alessandri, “Mimì” per gli amici, è la star del terzetto. Piccolo e magro, è un geologo che insegna matematica in un liceo. E’ nato a Tempèra, tra L’Aquila e il Gran Sasso, ha imparato a muoversi in montagna da ragazzo, nel 1943, quando portava cibo ai prigionieri alleati fuggiti che si nascondevano nei boschi.

Negli anni, Alessandri apre delle vie che fanno storia sulla parete Est della Vetta Occidentale del Corno Grande e sul Terzo Pilastro del Paretone (entrambe le volte con lui c’è Carlo Leone), poi compie la quarta salita estiva della Nord del Camicia. Ha all’attivo molte grandi classiche del Monte Bianco, e varie prime invernali sul Gran Sasso e sui Sibillini.

Mimì sogna da tempo di affrontare il “piccolo Eiger” d’inverno. “Intuivo già allora, e ho capito con certezza più avanti, che l’unico modo per fare quella parete in sicurezza è andarci da solo, in un inverno con neve abbondante e stabile”, mi racconterà molti anni dopo, nel 2010.

All’alba del 23 dicembre i tre aquilani attaccano la parete. Sui primi ripidissimi salti erbosi, ora incrostati di neve e ghiaccio, si sale meglio e con più sicurezza che in estate. Non presenta difficoltà eccessive nemmeno il “corridoio erboso” di Marsilii e Panza, trasformato in una stretta cengia innevata. I tre pensavano di salire con un solo bivacco, capiscono che ce ne vorranno almeno due. Ma il tempo è bello.

Il secondo giorno, 24 dicembre, porta i passaggi più difficili della Nord. Alessandri arrampica in testa, Carlo Leone vola da secondo, si fa male ma può proseguire. Quando Mimì raggiunge una cresta nevosa orizzontale pensa a un secondo bivacco comodo. Resta un passaggio verticale, poi iniziano i facili canali nevosi di uscita.

Invece, mentre i tre stanno preparando il bivacco, Piergiorgio precipita trascinando con sé Carlo Leone. Poi, dopo interminabili minuti di angoscia, prosegue il suo volo fino a schiantarsi alla base. Cos’è accaduto? Secondo la Giustizia italiana, che dedica alla tragedia due processi, la corda si trancia per motivi naturali.

Ad ascoltare Alessandri, che trentacinque anni dopo si lascia intervistare per un documentario da Fernando Di Fabrizio, la corda è stata tagliata da Leone. Una soluzione terribile, ma l’unico modo perché non far morire tutti e tre. L’indomani, Natale, Mimì lascia il dolorante Carlo nella tendina, esce da solo dalla parete, scende per chiamare i soccorsi, infine aiuta il pilota dell’elicottero a recuperare l’amico ferito.

Il corpo privo di vita di Piergiorgio De Paulis giace nel gelo del Fondo della Salsa, la conca alla base della Nord, dov’è piombato dopo settecento metri di volo. A individuarlo è un gruppo di alpinisti dell’Aquila, suoi amici, poi la salma viene recuperata da agenti del Corpo Forestale dello Stato.

Per la famiglia, per gli amici, questo è il momento del dolore. Nei giorni e nei mesi a venire, arriverà quello delle polemiche e dei processi. Il mondo alpinistico aquilano si stringe intorno ai due sopravvissuti. I fratelli De Paulis si sentono emarginati e isolati, quasi fossero dei testimoni scomodi. Il CAI non riesce ad affrontare pubblicamente la questione. La parola deve passare agli storici, ma per questo occorre ancora del tempo.

Qualche mese dopo la tragedia, nel luogo del ritrovamento del corpo, viene fissata con dei chiodi da roccia una lapide che ricorda Piergiorgio De Paulis. Nel corso dell’anno la raggiungono poche decine di escursionisti, che restano a bocca aperta scoprendo un luogo straordinariamente selvaggio.

Il programma dell’evento commemorativo

Il 26 dicembre di ogni anno, invece, la comitiva che sale da Castelli porta fin qui un po’ di vita.

Si canta e si prega, si accende un grande fuoco, qualche bottiglia di vino c’è sempre, anche i partecipanti laici assistono volentieri alla Messa. Poi, quando l’ultima luce è svanita, si scende verso l’auto e il paese alla luce delle pile frontali e delle fiaccole. Quest’anno l’appuntamento a Castelli è alle 13.30, la partenza da Colle Rustico alle 14, e per arrivare al memoriale di Piergiorgio occorre poco più di un’ora di cammino.

Dopo il ritorno a valle, alle 16.30, gli amici scomparsi in montagna saranno ricordati da un brindisi e da un incontro nel piccolo rifugio che il CAI di Castelli ha dedicato a Enrico Faiani, un altro alpinista del Gran Sasso che è scomparso su queste montagne d’inverno.

La quota dell’escursione è modesta (da 800 a 1150 metri), le condizioni del sentiero possono variare molto. Qualche volta il Fondo della Salsa accoglie con uno spesso strato di neve, e il pericolo di valanghe impedisce di proseguire. Altre volte il sentiero è pulito, ma il freddo resta intenso. Quest’anno tutto fa pensare alla seconda ipotesi. Ma è bene vestirsi di tutto punto, e non dimenticare né la frontale né i ramponi.

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