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Napoleone Cozzi: alpinista, irredentista, pittore

Scomparve il 22 dicembre 1916 una figura luminosa dell’alpinismo triestino, che ha raccontato alcune delle sue avventure con preziosi acquerelli. Lo smacco subito dagli austriaci sul Campanile della Val Montanaia

Personalità poliedrica, acquerellista, scenografo di carnevali, decoratore di teatri, ginnasta e schermidore provetto, lasciò una traccia indelebile dei suoi talenti e del suo carisma vulcanico, generoso e creativo negli ambienti, triestini e non solo, ai quali intrecciò le sue attività, tutte connesse a doppio filo con la causa irredentista che reclamava Trieste all’Italia.

Il suo nome, nella storia dell’alpinismo, è rimasto legato all’amara sconfitta incassata nella salita al Campanile di Val Montanaia nel settembre del 1902, quando gli austriaci Victor Wolf von Glanvell e Karl Gunther von Saar, che si trovavano negli stessi giorni di Cozzi e compagni nelle Prealpi Clautane (oggi Dolomiti Friulane) riuscirono a scovare la sottile cengia risolutiva per aggirare lo spigolo tra la parete Sud e la parete Ovest e a guadagnare la cima di quell’obelisco di pietra.

Napoleone lo aveva tentato due giorni prima, superando le maggiori difficoltà lungo la fessura che porta ancora oggi il suo nome e avvantaggiando gli avversari con i segni al gessetto rosso lasciati lungo la salita, allo scopo di ritrovare l’itinerario arrampicando in discesa.

Gli austriaci, all’indomani di quel tentativo, avevano già notato l’ometto di pietre eretto da Cozzi e dal compagno di cordata Alberto Zanutti alla base della fessura scrutando il Campanile con il binocolo e individuando la cengia che Cozzi non aveva potuto vedere, ma non rivelarono nulla delle loro intenzioni ai triestini, e così l’incontro casuale avvenuto fra loro nella locanda di Cimolais completò il passaggio di informazioni che portò gli austriaci alla vittoria.

L’urlo di un dannato

Chi non ricorda la famosa definizione del Campanile di Val Montanaia come pietrificazione dell’“urlo di un dannato”? Ebbene, è di Cozzi, che raccontò i due tentativi di salita al Campanile in un testo visionario, dalla prosa ridondante e carica di metafore, ma coinvolgente e poetico.

Se l’urlo di un dannato potesse venir figurato, se l’imprecazione di un genio malefico potesse tradursi in forma visibile, l’immagine di quella figura, l’aspetto di quella forma non sarebbero diverse da quella che la natura ha piantato lassù in fondo alla Val Montanaia, segnando un confine a quel mondo di stranezze alpine che sono le Prealpi Clautane, oltre il quale non si va colla immaginazione più fervida, né col volo della fantasia più sbrigliata”.

Nato il 5 febbraio del 1867 a Trieste, Cozzi era figlio di emigranti originari della pedemontana friulana da poco acquisita al Regno d’Italia, che avevano trasferito la propria residenza in territorio asburgico per trovare lavoro nella città portuale dell’Adriatico. Il padre era fabbro.

È a Trieste che Cozzi sviluppa fin dall’età di 15 anni il proprio talento artistico, formandosi con il pittore Eugenio Scomparini – un fondo di studi e progetti di Cozzi è custodito al Museo Revoltella di Trieste – e dedicandosi al tempo stesso a numerose attività sportive, tra cui corsa, canottaggio, pattinaggio, scherma, con la Società Ginnastica Triestina, vero e proprio covo di irredentisti.

Negli anni Ottanta Cozzi scopre la speleologia e la montagna, che ha occasione di frequentare anche durante il servizio militare tra gli Alpini. Affermare l’italianità di alcune montagne fa incorrere Cozzi e i suoi compagni in spiacevoli incontri con la polizia asburgica, e in conseguenti arresti per “spionaggio”, come accadde nel 1907 durante un tentativo di salita alla Chjanevate dalla Val Valentina.

Si raccomanda l’eleganza”: così Napoleone Cozzi era solito ricordare a chi arrampicava con lui sulle pareti della Val Rosandra, dove fu tra i primi ad aprire vie e dove portava a sperimentare salite i suoi molti ammiratori e seguaci, tra i quali c’era anche la nipote Albina che sposò nel 1915.

Quella per la montagna divenne la passione più travolgente – Cozzi definiva le proprie escursioni alpine “ardimenti e incantevoli ozi”, titolo del primo libro a lui dedicato – che lo portò a compiere un vero salto di qualità all’interno della Società Alpina delle Giulie (l’associazione alpinistica a cui era iscritto, la più antica di Trieste), dove inizialmente frequentava il gruppo dei camminatori.

Si deve a lui la creazione della “Squadra Volante”, il gruppo di arrampicatori che si distingueva dalla cosiddetta “Squadra Pesante” dei semplici escursionisti per la ricerca di nuovi itinerari di salita su roccia e soprattutto per il fatto di essere dei “senza guida”.

La Squadra Volante era dotata di una bandiera con disegnate le lettere “SV” di colore bianco, rosso e verde – era sotteso il messaggio irredentista – e programmava con entusiasmo “scorribande” di uno o più giorni tra le Alpi Giulie, le Carniche e le Dolomiti partendo in treno da Trieste in piena notte, proseguendo in carrozza e a piedi almeno finché non arrivò l’automobile.

Preziosi acquerelli raccontano le scorribande

A partire dal 1898 queste escursioni sono documentate da straordinari taccuini di acquerelli, un vero e proprio unicum nel mondo dell’alpinismo. I carnet all’acquerello di Cozzi sono infatti istoriati, e raccontano passo a passo i momenti più salienti delle avventure alpinistiche compiute tra i monti a partire dal viaggio, con i protagonisti ripresi nel pieno dell’azione.

Cozzi faceva degli schizzi sul posto (mentre Zanutti scattava fotografie) e poi completava le tavole dei suoi taccuini al rientro. Sfogliarli oggi significa avere la possibilità di capire quali erano le tecniche di arrampicata, quali erano gli incontri, i luoghi, i punti di bivacco, i manufatti e le modalità con cui si svolgevano le avventure, in una sorta di modalità cinematografica ante litteram del racconto.

Reinhold Messner ne aveva compreso la straordinarietà e avrebbe voluto esporli in uno dei suoi musei, come ha dichiarato durante un incontro avvenuto con la sottoscritta a Belluno nel 2004. Invece i carnet sono stati esposti solamente una volta, in una mostra tenutasi nel 2007 nel suo paese di origine, Travesio (“Da Trieste alle Alpi. Napoleone Cozzi artista, alpinista patriota” a cura di Melania Lunazzi).

Un’esposizione che ha fruttato una approfondita ricerca a più voci sulla sua figura, confluita in un ricco catalogo dove sono stati riprodotti tutti i documenti, le opere, le fotografie e gli acquerelli allora ritrovati.

A Cozzi si devono i nomi della Torre Trieste e della Torre Venezia nel gruppo del Civetta, toponimi che rivelano il pulsare sempre più forte del messaggio dell’irredentismo, che la Squadra Volante salì tra 1909 e 1910.
Ai piedi di queste torri, in Val Corpassa, quando il ghiacciaio esisteva ancora, la Squadra Volante era riuscita a svolgere una storica missione di soccorso alpino, rivelatasi poi vana per il ritrovamento dello scomparso, l’udinese Giuseppe De Gasperi, ormai privo di vita sullo stesso ghiacciaio.

A Cozzi venne dedicato in piena temperie fascista anche un rifugio alpino sotto il Monte Tricorno (l’odierno Triglav), inaugurato dalla Società Alpina delle Giulie il 19 ottobre 1930 e successivamente distrutto da una frana.

Per l’occasione venne stampato un libretto a lui dedicato con l’elenco di tutte le salite compiute dalla Squadra Volante, invernali ed estive, mentre la stampa dell’epoca ne richiamava la funzione di baluardo dell’italianità nelle Alpi Giulie orientali, usando il suo nome ancora splendente e conosciuto nei cuori di chi frequentava le montagne, con altri scopi.

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