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Il Fodòm diventa Presidio Slow food. E racconta la valle ladina da cui prende il nome

Dai pascoli in quota e dalle stalle di Livinallongo nasce un formaggio eccellente. Merito dell’attaccamento al territorio degli allevatori e della qualità della vita assicurata alle mucche

Livinallongo del Col di Lana, in provincia di Belluno, è un luogo di magia pura. Tre passi – il Pordoi, il Campolongo e il Falzarego – connettono questo cuore della Ladinia agordina rispettivamente con Canazei in Trentino, Corvara in Alto Adige e con Cortina d’Ampezzo. La valle è abbracciata da alcune delle vette più spettacolari delle Dolomiti, dal gruppo del Sella al Pelmo e alla Tofana. Con le sue diciassette frazioni e circa 1400 abitanti, Livinallongo è uno dei comuni più elevati d’Italia: vanta infatti un’altitudine media di 1475 m. E da qualche mese ha anche un altro primato: il formaggio tradizionale fodòm, che nel suo nome racchiude la denominazione ladina della valle, è entrato nel ristretto gruppo dei formaggi Presidio Slow Food.

Egidio De Zaiacomo è il referente del presidio ed è stato agricoltore per una vita, prima di passare il testimone al figlio Erwin. La loro azienda è una delle otto consociate della Latteria cooperativa di Livinallongo che produce il fodòm. «La nostra è una tradizione di comunità, sorta con spirito cooperativistico nel 1932 grazie ai nonni, giunta ora alla generazione dei nipoti», racconta. «Con le nostre mucche, siamo produttori, trasformatori e venditori con punto un punto vendita diretto». Il fodòm viene prodotto con latte crudo opportunamente scaldato a cui si unisce il latte innesto e il caglio, senza aggiunta di fermenti. La stagionatura può durare da un minimo di tre mesi fino a 14 mesi.

Qual è il segreto di questa delizia? Può sembrare banale, ma è il latte. «Le mucche di Livinallongo pascolano d’estate per tre mesi in alta montagna, a quota 2000. Nei rimanenti mesi, vengono nutrite con il nostro fieno speciale che può arrivare a contenere un mix di 100 varietà in un metro quadrato fra piante officinali e spontanee», puntualizza De Zaiacomo. Niente mangimi, né fieno ottenuto da prati seminati: è tutto naturale. E chi conosce il fodòm dice che i sentori dei prati e delle erbe si percepiscono nel formaggio.

La qualità è legata anche al benessere animale. «Le nostre aziende non sono allevamenti intensivi. Abbiamo in media 30-35 mucche, che è la quantità che può supportare il nostro territorio. Per alimentarle al meglio, ogni anno le aziende agricole di Livinallongo sfalciano 300 ettari di prati situati a un’altitudine dai 1400 ai 2200 metri. Da noi si vive in simbiosi con i nostri animali: non sono oggetti da sfruttare, fanno parte della famiglia. Mio figlio ha dato un nome a ciascuna di loro, le chiama per mungerle e loro vengono». Sono mucche felici: la loro longevità ne è una prova. «Se una mucca da latte in pianura vive in media 5/6 anni, da noi arrivano fino a 13 o 14 anni». Il loro latte – 28-30 litri al giorno, contro i 40-50 di una mucca di pianura – è di altissima qualità e questo fa la differenza per il fodòm. A seconda del mix di erbe contenuto nel fieno che varia a seconda della stagione, il sapore del formaggio non è mai uniforme, a riprova della sua artigianalità. «La nostra latteria produce 15 formaggi. Abbiamo anche lo zigher, a forma di pera, fatto con il latte intero seguendo una ricetta dei nonni, che lo facevano in casa. È molto richiesto anche dagli hotel in Alto Adige, che lo acquistano da noi».

Custodi del territorio d’alta quota

Gli agricoltori di Livinallongo svolgono un compito prezioso: oltre a ricavare un reddito per sé stessi con il proprio lavoro, sono anche i custodi della montagna. Da queste parti, l’agricoltura è sfidante: non solo siamo a un’altitudine elevata – il socio più in alto sta a 1751 m. – ma la pendenza dei prati è notevole. «Il lavoro che svolgiamo sui prati stabili per ricavare il fieno è anche un’azione di prevenzione degli incendi e delle slavine. E consente al terreno di assorbire più acqua rispetto a un prato incolto, evitando lo scarico a valle in caso di piogge forti», spiega De Zaiacomo. Aggiungiamo che ha un ruolo importante anche per il turismo: per chi viene in vacanza a Livinallongo, è più piacevole camminare fra prati ben tenuti che in mezzo all’erba alta. Insomma, il contadino di alta montagna contribuisce alla bellezza e al mantenimento del paesaggio. È un ruolo che meriterebbe di essere riconosciuto e valorizzato maggiormente.

Anche perché fare l’agricoltore in quota è ben più difficile che in pianura. «Solo per sfalciare i nostri prati, che sono pendenti, dobbiamo usare macchinari particolari, come le falciatrici in ferro e i trattori idrostatici, che acquistiamo in Svizzera o in Austria, e costano ben di più di quanto si usa più in basso». Ottenere un litro di latte in alta montagna è più costoso.  Le mucche producono meno latte, e la fatica per procurarsi il fieno è superiore: da giugno a settembre si sfalcia un ettaro al giorno a Livinallongo, mentre più in basso si arriva a 10-11 ettari al giorno. E poi, il periodo di produzione del fieno è più corto, perché in alta montagna la neve arriva prima. In pianura, un allevatore può integrare la sua attività con la coltivazione dii mais e altri cereali, qui non è possibile.

Esistono degli aiuti per chi pratica l’agricoltura di alta montagna? «Sì, ma riceviamo poco più rispetto a chi fa l’agricoltore più in basso. Servirebbe un’indennità compensativa per incrementare il mancato reddito, dovuto alle difficoltà che abbiamo e ai costi dei macchinari», commenta De Zaiacomo. «Si tratta di riconoscere il valore sociale del nostro lavoro per la protezione della montagna e il mantenimento del territorio». Come avviene in Svizzera, per esempio. L’agricoltore di alta montagna deve poter vivere con dignità, secondo De Zaiacomo, senza essere costretto a cercare un secondo lavoro d’inverno come maestro di sci o addetto agli impianti per avere un reddito decente. Non si tratta di un problema confinato alla piccola realtà di Livinallongo: anche altre zone in Veneto, come il Comelico, vivono la stessa situazione.

“Siamo come alberi ancorati alla nostra terra”

Le aziende produttrici di latte nel Bellunese sono 250, ma solo il 5 per cento si trova sopra i 1300 metri. Le complicate condizioni di vita hanno già provocato in altre zone lo spopolamento: la gente si trasferisce a valle, cerca altre attività più redditizie e la montagna resta abbandonata a se stessa. «Nel nostro comune questo non è avvenuto», racconta De Zaiacomo. «Siamo come gli alberi, ancorati alla nostra terra. Ma chiediamo solo di aver condizioni di vita sostenibili. La montagna muore senza i contadini, che conoscono la terra. E il primo segnale d’allarme è la diminuzione delle stalle». È importante che la gente di Livinallongo possa continuare a vivere in questo territorio. Non solo per il Fodòm, che adesso grazie al recente riconoscimento di Slow Food sta acquistando anche notorietà internazionale: è già arrivata una richiesta di acquisto dal Belgio. La comunità di Livinallongo garantisce, assieme alle valli Gardena, Fassa, Ampezzo e Badia, la sopravvivenza della lingua e del patrimonio culturale ladino. «Qualcuno ci chiama “contadini eroici”, ma noi non siamo più bravi degli altri», conclude Egidio De Zaiacomo. «Siamo legati geneticamente alla nostra montagna, che è sinonimo di fatica, ma che ci ricompensa con la qualità della vita che abbiamo».

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