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Le responsabilità in montagna: il capo gita

Non è una Guida alpina, non ha patentini. Ma è lui che organizza o accompagna l’escursione. E se succede qualcosa?

Nella seconda puntata degli articoli dedicati alle responsabilità dei soggetti che operano in montagna parliamo delle responsabilità del Capo gita, ossia un amico o un volontario che organizza e conduce l’escursione. Pure in assenza di un definizione giuridica, si può definire il capo gita come colui che ha il compito di coordinare, organizzare e curare la realizzazione pratica dell’escursione, oltre che di garantire la sicurezza dei partecipanti. Svolge il proprio operato per amicizia, cortesia o all’interno di una associazione (esempio CAI). Non è una persona necessariamente qualificata, non chiede soldi ne è iscritto ad alcun albo di Guide alpine o Accompagnatori di media montagna. Deve essere persona che abbia capacità tecniche tali da creare affidamento nella persona che a lui si affida, ed assume su di sé una posizione di garanzia nei confronti dell’affidato e le relative responsabilità per la sua sicurezza.
Diciamo che è colui che studia la gita, controlla le previsioni meteo, conosce il sentiero ed ha fondamentalmente delle capacità tecniche superiori agli altri partecipanti. Nell’organizzare la gita deve essere in grado di conoscere le abilità tecniche degli accompagnati per verificare la fattibilità della gita.

Quindi, requisito fondamentale per determinare la sussistenza di profili di responsabilità è la presa in carico del soggetto accompagnato: in particolare è richiesto che vi sia l’accordo tra le parti – che può essere tacito o espresso, scritto o verbale – sull’affidamento; occorre, inoltre, che sussista un dovere di subordinazione dell’accompagnato nei confronti dell’accompagnatore.

Quindi non comporta la nascita della figura del Capo gita o accompagnatore in tutti quei casi in cui si va con una persona che ha le stesse capacità tecniche. In questo caso non ne nascono responsabilità:” nessun rapporto giuridicamente rilevante si instaura fra due coetanei di pari bravura che si alternano a fare il primo di cordata” [Corte d’Appello di Torino, 05.01.83]. Vi sarà solo il normale dovere di solidarietà e di soccorso ma non un vero affidamento.

Perché sorga un’ipotesi di affidamento e la nascita della figura di Capo gita, è necessario altresì che l’accompagnato non disponga di capacità ed esperienza sufficienti a consentirgli di compiere in autonomia l’uscita. Qualora ne disponga, infatti, la presenza di organizzatori o di esperti sarebbe da considerarsi ininfluente e non potrebbe, da sola, determinare l’insorgere di una forma di affidamento e di accompagnamento in senso tecnico-giuridico (vedi esempio giurisprudenziale a fine articolo).

Tra gli altri compiti del Capo gita è il verificare l’attrezzatura dei componenti del gruppo, specialmente qualora la gita si sviluppa in condizioni invernali (controllo Artva, ramponi, imbrago) o su sentieri ferrati o alpinistici, nonché quello di escludere di escludere i partecipanti che non ritiene in grado di affrontare la gita, sia tecnicamente, sia fisicamente, sia per l’equipaggiamento di cui sono dotati.

La responsabilità è limitata. Ma c’è.

Dall’operato nascono delle responsabilità derivanti dall’affidamento che l’accompagnato fa sulla persona e sulle competenze che egli ha. La responsabilità dei Capo gita è limitata, visto il carattere volontario e gratuito con cui agiscono. Di seguito le singole responsabilità:

Esercizio abusivo della professione di Guida alpina (art. 348 cp e art. 18 Legge 6/89): la Guida alpina è legittimata a chiedere un compenso e ad ottenerlo, in forza di un accordo contrattuale intercorso tra le parti. Al semplice Capo gita, invece, è vietato richiedere e ottenere compensi. L’attività di Guida alpina o di Accompagnatore di media montagna, infatti, può essere svolta solamente da chi ha conseguito la relativa abilitazione ed è iscritto nell’apposito Albo (artt. 2 e ss. e 21 L. 6/89).

Omissione di soccorso (art. 593 cp): il soccorso è un dovere generale, grava su chiunque. Tale reato impone un dovere generale di assistenza da cui ci si può astenere solo per cause di giustificazione (es. art. 54 c.p.). Il Capo gita ha il dovere di intervenire in relazione alle proprie capacità e alla situazione, in ogni caso deve avvisare l’Autorità e chiamare i soccorsi.

Omicidio colposo e lesioni personali colpose
(589 cp e 590 cp). La responsabilità penale del Capo gita sussisterà solo se verrà riscontrata la presenza dei necessari elementi soggettivi (imputabilità, dolo o colpa) ed oggettivi (condotta attiva od omissiva, nesso di causalità ed evento dannoso) ed in assenza di cause di giustificazione o scriminanti. Inoltre, è sempre necessaria una puntuale ricostruzione: dei comportamenti tenuti dai soggetti; della riconducibilità o meno dell’evento dannoso alla condotta, attiva od omissiva, del capo gita; dell’assenza dei limiti di responsabilità (forza maggiore o caso fortuito); dell’assenza di cause di giustificazione (es. aver agito in caso di necessità). Solo dopo aver accertato questi punti è possibile esprimere un giudizio di responsabilità penale con le relative conseguenze sanzionatorie. Nei casi di colpa l’onere della prova è in capo all’Accompagnatore Capo gita che deve dimostrare di aver adottato tutte le cautele per il non avverarsi dell’evento.

Responsabilità civile extracontrattuale. A carico dell’accompagnatore Capo gita ai sensi dell’art. 2043 c.c. che prevede: «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno» (responsabilità cd extracontrattuale). Questa responsabilità, che nel nostro caso si aggiunge a quella penale, può essere mitigata attraverso la stipula di un’assicurazione come avviene ogni qual volta si partecipa a una gita organizzata dal CAI, che assicura anche dell’operato dei Direttori di escursioni e/o accompagnatori.

Cosa dice la giurisprudenza

Non c’è molta Giurisprudenza in materia ma il Tribunale di Sondrio, nel 2005, dopo aver riconosciuto la responsabilità per disastro e omicidio colposo in capo ad uno scialpinista che aveva provocato una valanga, ha affrontato il problema della sussistenza di una concorrente responsabilità omissiva di un altro componente del gruppo di scialpinisti, che aveva rivestito di fatto il ruolo di “guida”. Quest’ultimo, essendo il più anziano ed avendo una buona conoscenza della pratica dello scialpinismo, si era assunto un obbligo di protezione e controllo nei confronti degli altri e, di conseguenza, era stato imputato per il mancato impedimento degli eventi verificatisi. Il Giudice ha escluso che a carico dello scialpinista-guida fosse configurabile un obbligo di protezione e di controllo nei confronti di colui che imprudentemente aveva provocato la slavina, poiché quest’ultimo era un abile e valido sciatore. Si trattava, cioè, di un soggetto pienamente capace di svolgere l’escursione e di proteggere se stesso orientando consapevolmente il proprio comportamento; nessuna tutela era dunque esigibile nei suoi confronti e nessun potere impeditivo poteva essere imposto al capo gruppo per la situazione di pericolo che si era venuta a creare. In motivazione viene chiarito che per l’assunzione di una posizione di garanzia non basta essere il più esperto, ma è necessario che il soggetto abbia ottenuto, seppur tacitamente, l’incarico di guidare i componenti del gruppo, i quali, trovandosi in una situazione di inesperienza e incapacità rispetto all’attività intrapresa, abbiano deciso di svolgerla proprio in considerazione della presenza di una persona capace al loro fianco (investita di poteri di guida, cura e direzione).

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Un commento

  1. Articolo dalle intenzioni meritorie, ma che forse non coglie nel segno. Nel senso che potrebbe ingenerare ancor più confusione nel lettore. Mi scuso fin d’ora con l’autore (che non sappiamo se sia un professionista del diritto o un mero cultore della materia), poiché il mio commento non vuole essere una censura, ma una critica costruttiva per il futuro. A mio avviso viene fatta un po’ di confusione fra le fattispecie, trascurando gli aspetti essenziali (gli unici facilmente comprensibili ai più) del discorso, per invece introdurre approfondimenti eccessivi e poco pertinenti (v. per esempio il riferimento alla sentenza citata, abbastanza risalente, e che riguarda evidentemente un singolo caso, e nemmeno molto attinente al principio giuridico dell’ “affidamento”).
    Essendo molto complessa la materia della responsabilità giuridica, ma di grande rilevanza per tutti i frequentatori della montagna, il tema avrebbe forse necessitato un diverso taglio. Cordiali saluti.

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