Forse spiegata l’origine delle Blood Falls in Antartide
Le tracce di ferro sotto forma di nanosfere da poco individuate sarebbero all’origine delle spettacolari “Cascate di sangue” che da oltre un secolo appassionano gli studiosi
No, almeno per una volta non è colpa delle alghe. Dal 1910, anno in cui furono scoperte e descritte per la prima volta dal geologo australiano Thomas Griffith Taylor, si pensava che le Blood Falls (le Cascate di sangue) dovessero il loro colore a delle particolari alghe rosse. Una tesi forse troppo semplicistica che non ha mai convinto del tutto gli studiosi. Così le ricerche su questo fenomeno che caratterizza un settore del Ghiacciaio Taylor, in Antartide, non si sono mai fermate.
Una svolta è arrivata nelle scorse settimane grazie a Kenneth Livi, un ricercatore della Johns Hopkins University. Livi e il suo team hanno Analizzando l’acqua raccolta sul posto, Livi e il suo team non hanno trovato alghe ma soltanto tracce di ferro sotto forma di nanosfere (100 volte più piccole dei globuli rossi umani) create da microbatteri che risiedono nei laghi subglaciali. Queste ossidandosi darebbero all’acqua che scorre verso le Blood Falls quella colorazione che tanto colpisce scienziati e semplici viaggiatori.
Come potevano essere sfuggite a precedenti ricerche lo spiega lo stesso Livi: «Per essere un minerale, gli atomi devono essere disposti in una struttura cristallina molto specifica. Ciò non si verifica in queste nanosfere, che non sono cristalline. Quindi i metodi precedentemente utilizzati per esaminare i solidi non le hanno rilevate”.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Frontiers in Astronomy and Space Sciences e gli scienziati stimano che la loro scoperta possa avere applicazioni anche oltre la Terra. Il lago subglaciale che nutre le Blood Falls è estremamente salato, senza luce o ossigeno, quindi simili, almeno in teoria, a quelle che si possono incontrare su Marte in corrispondenza della sua calotta polare sud, dove è noto trovarsi a 1,5 km di profondità sotto la calotta glaciale marziana si estende un lago di acqua liquida ad alta salinità che potrebbe ospitare un sistema microbico simile a quello del lago sottostante il ghiacciaio Taylor. L’ipotesi è senza dubbio affascinante, ma mancano conferme, sottolinea Livi, ricordando che per capire veramente la natura delle superfici dei pianeti rocciosi sarebbe necessario un microscopio elettronico a trasmissione. Che al momento non è ancora stato posizionato su Marte.