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Un libro ricorda Claudio Ghezzi, re della Grigna

Più di seimila volte in vetta alla “sua” montagna, che poi gli fu fatale il 12 giugno 2022. La sua vicenda umana e sportiva è raccontata nel libro Claudio della Grigna da poco in libreria

Era uno di poche parole Claudio Ghezzi. Uno di quelli che preferiva i fatti. Non amava la fama e la notorietà, ma quel rapporto che potremmo definire, con affetto, “dolcemente patologico” con il Grignone e il rifugio Brioschi, lo avevano reso famoso. Per i frequentatori della Grigna, Claudio era una istituzione. Salire in vetta senza incontrarlo, dal momento che per lui era una “scampagnata” quasi quotidiana, era praticamente impossibile. Da quando era andato in pensione, poi, raggiungeva la vetta quasi ogni giorno, registrando il numero di salite mensili su bigliettini “volanti”, poi raccolti e riordinati dai famigliari dopo la sua scomparsa.

Il libro sulla sua figura, fortemente voluto dall’amico Paolo Bellavite (proprietario dell’omonima casa editrice), è stato presentato nei giorni scorsi nella sede CAI di Lecco  nell’ambito dell’iniziativa “Monti Sorgenti Off”. Intitolato “Il Claudio della Grigna” e edito da Bellavite, il libro cerca di andare oltre. Oltre la Grigna e le sue guglie, nel tentativo di mettere in luce l’uomo, l’alpinista, l’amico. Presenti alla serata l’autore Domenico Flavio Ronzoni, che abbiamo intervistato, e l’editore Paolo Bellavite.

Fisico atletico, tirato e con la muscolatura in vista, carnagione abbronzata, volto sorridente, il “guardiano della Grigna” è mancato a pochi giorni dal suo settantesimo compleanno. Sulla sua morte non ci sono misteri: dopo avere raggiunto come di consueto la cima, era sceso per andare incontro ad alcuni amici che stavano affrontando la Ferrata dei Carbonari. Un attimo di distrazione, un eccesso di confidenza, probabilmente una presa mancata e un volo di 15 metri che gli è stato fatale. Niente di più. Claudio se ne è andato così.
Ci piace pensarlo con quel sorriso sereno sulle labbra, nel luogo che più amava. E, questo il particolare che fa davvero rabbrividire e riflettere, a poche centinaia di metri di distanza dal luogo in cui, anni addietro, aveva perso la vita precipitando con il parapendio l’amico Giacomo Scaccabarozzi. Un nome famoso tra gli amanti della corsa in montagna perché, proprio in suo onore nacque il celeberrimo Trofeo Scaccabarozzi. Giacomo e Claudio, legati da un profondo legame di amicizia, in vita e anche oltre. Amanti delle stesse montagne e venuti a mancare, quasi nello stesso luogo. Il medesimo in cui, ogni autunno anticipando la prima nevicata, Claudio si recava a togliere dalla sua sede la piccola croce in memoria di Giacomo, per evitare che sassi o valanghe potessero rovinarla. Per poi ovviamente tornare a metterla al suo posto, ogni primavera. Un gesto fatto in silenzio, del quale forse pochi erano a conoscenza, ma che molto poteva raccontare di questa straordinaria amicizia. Scontato dire che per anni Claudio fu volontario del Trofeo Scaccabarozzi, il cui percorso è oggi riproposto dalla Grigne Skymarathon.

Il ricordo di Flavo Ronzoni

“Raccontare Claudio nelle poche pagine di un libro non è stato semplice”, racconta Flavio Ronzoni. “Era una figura particolare e conoscerlo, andare talvolta in montagna con lui, è stata una fortuna. Così come un onore aver potuto raccogliere in questo scritto testimonianze e racconti da parte di chi lo ha vissuto da vicino come i rifugisti del Brioschi, dove era di casa e di cui aveva addirittura le chiavi. Oppure come i tanti amanti della montagna, la sua famiglia oltre alla madre a cui era attaccatissimo, che vedevano in Ghezzi un mentore. Che senso aveva per lui andare in Grigna quasi ogni giorno e con ogni condizione meteo? Qualcuno ha detto cattiverie, tipo che aveva tempo da perdere… In realtà era il suo modo di utilizzare la sua libertà, soprattutto una volta raggiunta la pensione. E poi, non dimentichiamolo, Claudio non era solo ‘quello della Grigna’: aveva salito più di 40 dei 4mila delle Alpi, aveva partecipato a spedizioni extraeuropee in Bolivia, Karakorum e Himalaya, pur senza mai riuscire a raggiungerne la cima. Questo lo ricordava sempre. Mai in vetta a un Ottomila nella sua carriera di alpinista perché era cosciente dei suoi limiti e aveva capito che l’aria sottile (o meglio, quella troppo sottile!) non faceva per lui. Era un buon alpinista ma non un alpinista ‘di punta’. Lo sapeva e capiva quando era il momento di fare rientro al campo base e continuare a sostenere la spedizione aiutando da laggiù”. Come, ci piace immaginare, continua a fare con tutti coloro che si avventurano sulle pendici della “sua” montagna.

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Un commento

  1. Tatiana, la mia copia l’ho comprata a dicembre 2022.. Insomma non proprio “da poco in libreria”… 🙂
    Comunque articolo che resta una buona occasione per ricordare il “nostro” Claudio.

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