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Perché si cade in montagna?

Perché si cade in montagna? Tutta colpa della forza di gravità, quell’invisibile forza attrattiva esercitata dalla Terra su qualsiasi corpo, che ci trascina inesorabilmente verso il basso. Quando perdiamo l’equilibrio, quel moto repentino che si attiva in modo accidentale ed inatteso, dall’alto verso il basso, porta con sé conseguenze spesso dannose. Non a caso la caduta dei lavoratori dall’alto è tra i più diffusi infortuni, un terzo di quelli mortali sui luoghi di lavoro, mentre per quanto riguarda la frequentazione della montagna per diletto, le cause d’incidente, riconducibili a cadute e scivolate, interessano quasi la metà degli interventi complessivi di soccorso. Sulla Luna, dove il nostro peso è pari al 16,5% di quello terrestre, le conseguenze di una caduta sarebbero assai meno gravi, decisamente rovinose invece su Giove, dove il nostro peso è 2,5 volte superiore…

Mettere un piede saldo avanti all’altro, su vari terreni e superfici, e afferrarsi alle rocce con un naturale  e spontaneo “radicamento”, pare quindi essere il miglior antidoto utile a prevenire le cadute. Radicarsi significa anzitutto liberarsi da tutte le distrazioni collegate ad oggetti, materiali ed illusioni che, per abitudine o convenzione, ci portiamo in alto. In fondo la nostra miglior protezione sta proprio qui, nel sentire e sentirsi, dai sentieri, alle rupi, ai pendii di neve e di ghiaccio. Capire in anticipo l’adesione e tenuta del passo è la miglior risorsa utile al cammino, perché solo a partire da un buon radicamento nascono indimenticabili avventure.

A cosa serve insegnare complicatissime tecniche se poi quando ci si trova in situazioni critiche si va in affanno e ci si trova a chiudere gli occhi mentre si rotola verso valle? Come il nostro equilibrio fisico è minacciato da mille insidie nascoste? Come l’equilibrio interiore, altrettanto importante per agire delle rapide compensazioni all’imprevisto, è facile preda di condizionamenti e distorsioni percettive? Forse la risposta sta nel rimettere al centro il proprio corpo, che rimane il miglior strumento, la tecnologia più straordinaria utile a ricevere, elaborare, trasmettere, collegare e reagire a una perturbazione esterna. Perché muoversi in montagna si inscrive nei muscoli e nella pelle, è un’azione che riporta costantemente alla condizione corporea, che è quella propria dell’essere umano. Se non si affina un’appropriata recettività ci si infila più facilmente nei guai e non si è in grado di accedere a tutti i mutevoli strati della realtà.

Tutto questo è spesso relegato nel sottoscala delle conoscenze, travolti da regole, decaloghi, tutorial e una mole di informazioni eccedenti che distraggono da un’utile e sensibile messa a fuoco dell’intorno e di sé stessi. L’escursionista e lo scalatore sono pure esposti al pieno vento della loro geografia interiore, che condiziona più d’ogni strumento, scarpone o attrezzo ogni passo verso l’alto. Recuperare l’arte dei sensi, che passa attraverso il coltivare la disponibilità a percepire all’istante le sensazioni vive, è indispensabile per attraversare  spazi imprecisati e terreni non circoscritti. Senza dimenticare di ridimensionare il nostro arrogantissimo “io”, sempre pronto a dare una mano al terreno già insidioso e sdrucciolevole.

Piccoli suggerimenti per il recupero dell’arte dei sensi

  1. Saltuariamente abbandoniamo l’idea di raggiungere per forza una meta, prendiamoci il tempo per camminare  sul greto del torrente, saltando di sasso in sasso.
  2. Vaghiamo per “gande”, con impegno crescente, da asciutte e stabili, sino a lichenose e bagnate…
  3. Per chi arrampica, ogni tanto facciamolo al contrario, si sale per sentiero e si scende “disarrampicando”, su difficoltà abbordabili s’intende.
  4. Perdiamoci consapevolmente, lasciamoci coinvolgere dallo stupore, dalla sorpresa, che ci costringono a fare attenzione.
  5. “La sicurezza dipende non tanto da quanto hai ma da quanto puoi fare senza”, citazione di Joseph Joseph Wood Krutch (1893-1970) critico, autore e naturalista americano, scrittore della natura del Southwest statunitense, biografo di Henry David Thoreau, cultore della storia naturale del Gran Canyon.
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