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Troppa folla sulle montagne, gli animali scelgono di vivere di notte

“Delle oltre 500mila foto raccolte in 7 anni di ricerca, il 70% ritrae persone e il tasso di passaggio umano di fronte ai rilevatori è stato 7 volte superiore a quello della volpe (la specie selvatica più comune, ndr) e 70 volte superiore a quello dell’orso”: il succo della ricerca condotta dal Museo delle Scienze di Trento e dall’Università di Firenze sta tutto qui, nelle parole di Marco Salvatori, primo firmatario dello studio.

A partire dal 2015, hanno preso in esame le immagini scattate nel corso delle varie estati dalle 60 fototrappole posizionate in un’area delle Dolomiti del Trentino occidentale altamente frequentata da escursionisti. Come si capisce, è venuto fuori che in montagna ci sono molte più persone che animali. Anche se forse dovrebbe essere il contrario.

Montagne troppo affollate

Lo studio, “Crowded mountains: Long-term effects of human outdoor recreation on a community of wild mammals monitored with systematic camera trapping” è stato pubblicato sulla rivista scientifica Ambio e come si capisce aveva appunto lo scopo di comprendere gli effetti a lungo termine dell’attività umana su un gruppo di animali selvatici monitorati attraverso le fototrappole.

I ricercatori hanno preso in considerazione 8 specie (oltre a volpe e orso, anche cervo, camoscio, capriolo, tasso, lepre e faina) che avrebbero mostrato quella che è stata definita “una chiara risposta comportamentale al disturbo provocato dal passaggio delle persone”. Tanto che nelle zone più frequentate avrebbero negli anni cercato di minimizzare le probabilità di incontro con noi, scegliendo di spostarsi di notte.

Il lato positivo

A voler vedere il proverbiale bicchiere mezzo pieno, la ricerca ha anche evidenziato un trend che farà piacere agli amanti della natura: tutte le specie studiate hanno mostrato tendenze di presenza stabili e in alcuni casi anche in crescita.

E però, resta il fatto che questi nuovi comportamenti (causati da noi, è bene ribadirlo) costituiscono un potenziale costo in termini di maggiori difficoltà di movimento, regolazione della temperatura corporea e utilizzo di aree più produttive. Francesco Rovero, coordinatore dello studio, ha sottolineato che “da parte degli animali è evidente e notevole l’impegno a evitare il contatto con gli esseri umani” e che “ora sta anche a noi umani fare attenzione, adottando misure per limitare l’accesso ad alcune aree dei parchi naturali nei periodi dell’anno più delicati per la fauna, una strategia già ampiamente applicata in molte parti del mondo”. E che forse dovrebbero iniziare ad adottare pure qui in Italia.

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