Meridiani Montagne

Magico Sassolungo

Testo di Paolo Paci, tratto dal numero di Meridiani Montagne “Sassolungo e Val Gardena”

Succedono un sacco di cose nuove, in un luogo antico come il Sassolungo. La montagna-simbolo della Val Gardena è un laboratorio sempre aperto di umanità e di alpinismo, e se chiedete notizie al suo primo custode (custode della montagna e proprietario del rifugio più alto), potreste mettere in conto qualche ora di conversazione. “Il rifugio Toni Demetz è nato per il soccorso” spiega Enrico Demetz, figlio del fondatore Giovanni, “a qualsiasi ora del giorno e della notte siamo qui a ricevere gli ultimi alpinisti, che spesso scendono con il buio, e quando c’è bisogno siamo i primi a chiamare i soccorsi”. Per fortuna, racconta, negli ultimi anni gli incidenti mortali si sono azzerati, grazie al lavoro di pulizia e messa in sicurezza delle soste sulla via Normale compiuto dalle guide alpine, Mauro Bernardi in testa. Bernardi è anche autore delle vie sulla vicina Parëi Demetz, “Climbing Arena” ai piedi delle Cinque Dita, mentre a due passi dal rifugio è stata attrezzata una falesia per arrampicate sportive. “Abbiamo 26 itinerari alpinistici a meno di un quarto d’ora dal rifugio, e lo scorso anno è stata inaugurata una bella ferrata che raggiunge la Furcela del Saslonch” sottolinea Enrico Demetz. La casa costruita da suo padre (una guida leggendaria) sta diventando il più effervescente angolo alpinistico delle Dolomiti.

I nuovi nomi del Sassolungo

Alla parete esterna del rifugio è affisso un cartellone con i personaggi più notevoli nella storia della montagna. La carrellata inizia (giustamente) da Paul Grohmann, pioniere dell’alpinismo dolomitico che conquistò la cima nel 1869 con le guide Franz Innerkofler e Peter Salcher. Segue Eduard Pichl, che diede il nome alla via aperta sullo spigolo nord nel 1918, l’itinerario di IV grado oggi più frequentato del versante settentrionale; e altre stelle del dolomitismo quali Emilio Comici (sua la prima al Salame nel 1940, via di VI grado ancor oggi venerata come un capolavoro), Angelo Dibona, Gino Soldà, Reinhold Messner, tutti autori di grandi itinerari sulla Nord. Ma presto il cartellone dovrà essere aggiornato. Nuovi personaggi, a partire da Bernardi, hanno scritto le più recenti pagine alpinistiche del Sassolungo, un massiccio tanto ricco e complesso, con la sua selva di possenti campanili, da offrire sempre nuovi terreni d’avventura. Il più brillante di questi è Ivo Rabanser, accademico e guida gardenese che ha dedicato la sua vita alla cima, facendone (come scrisse Stefano Ardito in una vecchia intervista) “una questione di famiglia”; ripetizioni, prime invernali e nuove vie come Monumento, Linea Gotica, Principessa di Cuori (tutte tra il VI e il VII grado, con sviluppi di oltre mille metri), spesso legato a Stefan Comploj, ne fanno il miglior interprete contemporaneo della montagna.

Rabanser ha scritto anche un’importante guida al massiccio, Sassolungo, apparsa una ventina di anni fa nella gloriosa collana Guida dei Monti d’Italia (Cai/Tci), che nel solo gruppo principale riporta 143 itinerari, tra vie e varianti, molti dei quali (instancabilmente) firmati da lui stesso. Ma anche questa guida sarebbe ormai da aggiornare, per “colpa” dello stesso autore, inesauribile esploratore di pareti (ultima sua via, del 2017, Il periodo di Sisifo al Pilastro Nord). E di altri avventurieri che in inverno scrutano le pareti in attesa del momento ideale. Per esempio, Adam Holzknecht e Hubert Moroder, che tra il 7 e l’8 gennaio 2013 hanno trovato una effimera linea bianca sulla Nord, un’incrostazione di ghiaccio verticale che si forma solo con il gelo e il giusto apporto di pioggia, e dal tracciato della via Pichl punta dritta alla cima. Avventura estrema, battezzata La legrima (lacrima).

Catores, guide da leggenda

Adam e Hubert fanno parte dello storico gruppo dei Catores (in ladino, le coturnici), nato in Val Gardena nel 1954 (tra i fondatori, Johann Baptist Vinatzer, forse il più grande dolomitista degli anni Trenta) nel segno di due vocazioni parallele: il soccorso alpino e la scuola di alpinismo. E dei Catores sono giovani esponenti Titus Prinoth e Janluca Kostner, guide alpine (Titus è anche elicotterista, in prima linea per i soccorsi e contro gli incendi; Janluca è stato un precocissimo campione d’arrampicata sportiva): 24 anni entrambi e una costante presenza nelle cronache alpinistiche, a partire da quando, diciottenni, si segnalarono per uno splendido exploit alla Nord dell’Eiger. A Titus, insieme a un altro Catores, Alex Walpoth, è da accreditare una prima coraggiosa ripetizione de La legrima, non in perfette condizioni nel 2020, e nell’estate precedente, con Aaron Moroder e Matteo Vinatzer, l’apertura dell’ennesima via sulla Nord (Parole sante, VIII grado). Curricula straordinari, che però non impediscono a Titus e Janluca di legarsi con noi (fotografo e giornalista) nella ri-scoperta della più semplice e frequentata tra le vie del Sassolungo: la Normale. Che tanto normale non è.

Perdersi in una cattedrale

Nella prima metà dell’Ottocento, il topografo austriaco Johann Jakob Staffler definiva il Sassolungo la più meravigliosa delle montagne dolomitiche, che si innalza simile a una cattedrale gotica”. Probabile che il suo punto di vista fosse dalla Val Gardena, dove la parete nord con le sue poderose torri sembra davvero posta lì a sostegno del cielo. Ma anche per noi che penetriamo il ventre profondo della montagna dal suo versante sudovest, che si inabissa nel ripido Vallone del Sassolungo, la sensazione è quella di perdersi in una cattedrale misteriosa. “Non è una via d’autore” ci avverte Titus, che ha percorso questa Normale poche volte in salita e molto più spesso in discesa, provenendo dalla Nord. “Si tratta di un itinerario che si è assestato nei decenni”. Della prima ascensione di Grohmann e le sue guide conserva solo la parte centrale (la sezione inferiore del canalone oggi è pericolosa e del tutto dimenticata, percorsa solo sporadicamente da qualche sciatore estremo), mentre l’attacco moderno si trova poco sotto il rifugio Demetz e percorre la lunga Cengia dei Fassani che traversa la parete fino al Ghiacciaio del Sassolungo, di cui oggi rimane un malinconico lembo di ghiaccio nero. Al Campanile di Venere troviamo alcune corde fisse, la più recente correzione dell’itinerario, da parte di Karl Unterkircher, a cui seguono, più in alto, delle staffe di ferro. Dove un tempo si gradinava nel ghiaccio (Canalone Basso) oggi si deve arrampicare, sulle solide rocce a lato: la Normale del Sassolungo è un termometro dei cambiamenti climatici. Ecco il bivacco verde, che tanti alpinisti ha salvato da temporali e stanchezza, e dopo quattro ore di scalata tra il II e il III grado, traversate sui detriti, cavalcate di cresta, ecco infine l’umile croce a 3181 metri. Titus e Janluca, giovani e felici, si buttano sul libro di vetta come se fosse la loro prima volta. Anche noi siamo felici, ma leggermente in ansia: la discesa, che le nostre guide farebbero in meno di un’ora, si prospetta lunga. Molto lunga. Come solo il Saslonch sa essere.

Altri approfondimenti sul numero 119 di Meridiani Montagne “Sassolungo e Val Gardena”.

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