Trail running

Il Tor des Géants di Jonas Russi è una grande storia di amicizia

L’arrivo a Courmayeur, sotto la pioggia, l’abbraccio con l’amico/rivale Franco Collé, la sfilata sul tappeto del Tor des Géants, fino all’arco, fino all’ultima salita. Jonas Russi ce l’ha fatta, si è preso il suo posto tra i giganti. Dopo un secondo posto, dietro al valdostano Collé, nel 2021 quest’anno è lui a piangere di gioia davanti ai tifosi, a lasciare andare le sue gambe stanche e quasi senza più controllo. 330 chilometri e 24mila metri di dislivello positivo sui sentieri della Valle d’Aosta inseguendo un sogno, inseguendo una passione più forte di ogni cosa. Più forte della stanchezza, del desiderio di fermarsi a riposare, della fame e della fatica. Tutto per qualcosa di interiore, per un amore che si concretizza chilometro dopo chilometro, passo dopo passo. Perché al Tor finisce sempre così: vai, lo vivi e solo dopo capisci quanto è grande quello che hai fatto. Per Jonas, classe 1985, è stato uguale. Con un palmares fatto di gare su lunghe distanze non poteva rinunciare all’attrazione del Tor.

Nel 2021 ci prova per la prima volta. Si ritrova a gareggiare, spalla a spalla, con il re del Tor: Franco Collé. La sfida è accesa, vanno via insieme per buona parte dell’itinerario. Quando Franco va in crisi lui prova ad allungare, ma la guerra è ancora dura da vincere. E quando Collé ritrova le energie non c’è più battaglia. Quest’anno lo scenario iniziale si ripete, ma l’esito è diverso. Alla fine della prima giornata di gara un problema fisico costringe Franco a ritirarsi, lasciando campo libero al ragazzo svizzero. Lui va, un colle dopo l’altro. Prima in salita, poi in discesa. Ancora una salita, una piccola pausa e di nuovo via, fino a Courmayeur. A ogni pausa l’amico/rivale Collé, non più impegnato nella gara, c’è. È lì per aiutare e supportare Jonas nella sua gara. Una competizione con sé stesso, con i propri demoni e con le proprie paure. Quelle che di notte, nella solitudine di un freddo sentiero, vengono a galla e si insinuano nella mente. Una notte, due notti. Poi la fine: il Col de Malatrà. Oltre solo la discesa verso Courmayeur, è finita! “È difficile credere che sia vero mentre lo vivi” ci rivela durante l’intervista. Lasciamo che siano le sue parole a raccontarci cosa significa vivere l’endurance trail più duro al mondo.

Jonas, com’è stato vincere il Tor?

“Ho iniziato a chiedermi cosa potesse significare vincere il Tor quattro anni fa, durante una vacanza a Courmayeur. La cittadina mi ha subito trasmesso una sensazione adrenalinica che mi ha trasportato sui sentieri dei giganti. Oggi faccio ancora fatica a comprendere quanto ho realizzato. Vincere il Tor è qualcosa di incredibile. Un obiettivo, un sogno, che si trasforma in realtà.”

Quali emozioni hai provato all’arrivo?

“Difficile dirlo. Erano molto confuse. Un misto di gioia, orgoglio e stanchezza. Ricordo che ero esausto, troppo per gioire con esuberanza.”

In questo viaggio sei stato supportato anche dal tuo rivale/amico Franco Collé, dove vi siete conosciuti?

“Ho incontrato Franco per la prima volta alla SwissPeaks 2020. Una gara combattutissima, che non ha concesso tregua fino all’arrivo e che alla fine ci ha portati a condividere il più alto gradino del podio. Da lui ho imparato molto. È stimolante vedere quanta passione abbia dentro quel ragazzo valdostano, quale fiamma lo animi per la corsa su lunghe distanze.”

Quest’anno, purtroppo, non c’è stato il duello magico che ha animato l’edizione 2021 del Tor…

“Fa parte della gara. Avrei preferito duellare nuovamente con Franco e, ovviamente, speravo di batterlo. Sfortunatamente si è dovuto ritirare, stravolgendo gli equilibri della gara.”

Ti aspettavi il suo supporto durante la gara?

“Ho pensato che avrebbe potuto farmi visita in due o tre punti lungo l’ultima parte del tracciato. In realtà ci siamo incontrati con molta più frequenza, anche nel cuore della notte. Oltre a lui Giuditta, la compagna, era ancora più presente. Anche i genitori di Franco e sua sorella. È stato speciale, mi commuovo ogni volta in cui ripenso ai loro volti stanchi lì, davanti a me, nel cuore della notte, con il freddo.”

Sarai di nuovo al Tor il prossimo anno?

“Non ho ancora pianificato il 2023. Ora sto cercando di riprendermi dalla stagione, che si è conclusa con una vittoria all’UTLO. Di sicuro mi piacerebbe, si è creato un legame particolare tra me è questa gara.”

Torniamo indietro di qualche anno, cosa ti ha portato alla corsa in montagna?

“La passione per la montagna arriva da piccolo, quando con mio papà andavo a pascolare le capre. All’età di 13 anni poi mi è stato permesso di partecipare a una maratona alpina sulle montagne di casa. Oltre 42 chilometri, me ne sono innamorato all’istante. Così tanto che l’ho fatta 5 volte, anche se la corsa non è mai stato il mio sport principale. Fino a 22 anni ho fatto sci a livello agonistico.”

Qual è stata la tua prima gara su lunga distanza?

“La prima vera lunga distanza quando avevo 31 anni. 200 chilometri, la ricordo come fosse ieri. Qualche anno prima mi ero cimentato invece su un itinerario di 80 chilometri, ma non ero per nulla preparato.”

Qual è la gara più lunga corsa fino a oggi?

“La SwissPeaks, con i suoi 365 chilometri. È anche stata la gara che ha cambiato il mio approccio alla corsa. Dopo quell’esperienza ho iniziato ad allenarmi in modo sistematico e regolare, con l’obiettivo di migliorare le mie performance.”

Come affronti competizioni come il Tor? Hai il tuo rituale pre-gara?

“Non ho un rituale. Penso che la cosa più importante sia allenarsi regolarmente, diminuendo il carico una settimana prima. Ecco, la settimana prima di iniziare una gara come il Tor mi alleno poco e cerco di dormire molto.”

Corpo o mente, cosa conta maggiormente in queste competizioni?

“Non puoi correre senza un corpo sano. Allo stesso modo senza una testa forte non puoi pensare di raggiungere il traguardo. Servono entrambe le cose, anche se su una gara lunga la testa gioca un ruolo fondamentale. Anzi, più e lunga e più l’aspetto mentale si fa importante.”

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