Meridiani Montagne

Verdon, l’opera verticale

Testo di Matteo Serafin, tratto dal numero di Meridiani Montagne “Provenza, Calanques e Verdon”

Dal 1925, cioè da quando venne inaugurato il celeberrimo sentiero Martel (oggi Blanc-Martel), l’escursione nella gola del Verdon è una delle più spettacolari e frequentate di Francia: migliaia di persone ogni anno raggiungono il panoramico Point Sublime e scendono giù fino in fondo all’abisso, dove le acque del Verdon si mescolano con quelle dell’Artuby, per poi risalire attraverso una serie di scale di ferro passando sotto a quel caleidoscopio di calcari che è la falesia de l’Escalès. Viene da chiedersi allora perché l’epopea dell’arrampicata in questo paradiso verticale sia iniziata solo nel fatidico 1968, quando i primi gruppi di giovani parigini e marsigliesi presero ad accamparsi nelle grotte lungo le rive del torrente come briganti in fuga dalla giustizia.

“Per decine di chilometri si staglia, completamente inesplorato dal punto di vista alpinistico, un baluardo di falesie che per altezza e natura selvaggia rivaleggiano con le pareti più belle del Vercors. In molti punti l’altezza della parete supera i 300 metri. La più bella, però, e anche la più alta di tutte, è la parete del Duc che, ben visibile dalla località Point Sublime, forma come un grande scudo all’ingresso della gola” scriveva quell’anno su La Montagne et Alpinisme il ventiduenne parigino Patrick Cordier. Così, mentre a Parigi altri ragazzi occupavano la Sorbona, sulla parete del Duc nasceva Les enragés, prima “opera verticale” delle gole del Verdon. “Con grande stupore siamo riusciti a superare la metà del percorso in libera” ricorderà Cordier di quei giorni grandi. Per superare i passaggi più strapiombanti i parigini avevano però dovuto affidarsi ai chiodi a espansione. Nella caverna poco lontano, intanto, un’altra banda di giovani marsigliesi “brutti e cattivi”, capitanati da François Guillot e Jöel Coqueugniot, studiava la grande parete de l’Escalès. Ci vollero una dozzina di ore di scalata, martellando nelle fessure appena una ventina di chiodi, per aprire La demande, capolavoro indiscusso di eleganza e sobrietà che segue le linee più naturali senza mai perforare la roccia. È senz’altro la via lunga più classica e ripetuta del Verdon. Guillot e Coqueugniot gli anni seguenti offrirono alla comunità altri gioielli come L’Offre e il Pilier des écureuils, superando con arditi passaggi di sesto superiore la grande placca a gocce de l’Escalès. La via dell’arrampicata libera era tracciata. La California del grande Royal Robbins non era lontana.

Guasconi alla prova del settimo grado

Uno fra i primi a ripetere le vie dei “capelloni” marsigliesi fu Guy Héran. Dopo aver ripetuto La demande, fu lui il primo a osare sulla grande fessura strapiombante di Luna bong, altra tappa iniziatica per le nuove generazioni di arrampicatori del settimo grado. Herén sarà il primo a osare anche sulla grande Paroi rouge, 350 metri di rocce variegate per colori e qualità, superata, con un bivacco in parete, in dieci tiri di corda e con 140 chiodi di varie forme e tipologie. In cordata con lui, questa volta, ci sono due giovani guasconi dal fisico slanciato e dall’aria irriverente, Serge Gousseault e Pierre “Petit” Louise, due tipi di cui si sentirà parlare spesso nelle osterie di la Palud e sulle riviste di alpinismo.

Nel maggio del 1972 i marsigliesi Bernard Bouscasse e Marius Coquillat presero di petto un’altra fessura (6b in libera) de l’Escalès, e poi un grande diedro strapiombante (TD+). Era nata la via Ula, dieci prodigiosi tiri di corda che sarebbero diventati un’altra pietra miliare nella costruzione del mito del Verdon. Via elegante, estenuante, salita in solitaria dal grande Jacques Fouque nel 1975 con un bivacco in parete.

Dove l’arrampicata diventa sportiva

A quei tempi l’arrampicata era appannaggio esclusivo degli alpinisti ed era ancora una faccenda abbastanza “eroica”: le vie si aprivano rigorosamente dal basso, dal fondo della forra, e non si partiva mai senza un sacco di materiale per un eventuale bivacco in parete. E se non si poteva passare in libera? Toccava inventarsi qualcosa. A sinistra della Paroi rouge, i soliti marsigliesi avevano studiato a lungo quel labirinto verticale di tetti e fessure battezzato Castapiagne. E alla fine erano partiti in esplorazione. Le cronache raccontano che, per superare i passaggi più duri, Michel Tanner martellò piombini da pesca e fil di ferro negli alveoli della roccia, affidando poi il suo peso a quell’esile supporto. Era nato il copperhead! Iniziò a proliferare allora quell’altro strumento del demonio chiamato “spit”. A dire il vero, alcuni paladini dell’arrampicata “eroica” tentarono di contrastare la proliferazione degli spit, cimentandosi in aperture ad alto rischio. Ma la guerra contro gli spit era persa in partenza. Negli anni Novanta anche le più famose vie di Guyomar verranno spittate e perfino la super classica Uma… Ma si sa, le mode cambiano, e nel 2011 la comunità degli scalatori del Verdon ha deciso di schiodare completamente Uma, soste comprese.

L’angelo biondo e l’era delle competizioni

Con spit e chiodature dall’alto, la progressione sulla scala delle difficoltà non poteva che esplodere. Così nelle gole del Verdon venne il tempo del mefistofelico ottavo grado. Fu Edlinger ad aprire le danze, nel 1983, attrezzando dall’alto i due famigerati tiri di Sale temps e Papy on sight. Tiri che però non sarà lui a “liberare” bensì, rispettivamente, Manolo e Antoine Le Menestrel. Molte altre vie fino all’ottavo grado superiore furono poi tracciate con la corda dall’alto e il perforatore in mano. Il nuovo gioco divenne quindi scalarle “a vista”, come aveva fatto nel 1984, per primo, l’inglese Jerry Moffatt su Pol Pot (7c+) e altri itinerari. È ovvio che per raggiungere simili livelli bisogna allenarsi seguendo un certo metodo e magari anche una certa dieta, come spiegava il nuovo vangelo di Patrick Edlinger Arrampicare (Zanichelli, 1986). Era finita, dunque, l’epoca dei fienili e degli alpinisti hippie. Ed era iniziata quella delle gare: a scalare con la pettorina addosso nei parterre dei primi rockmaster ritroviamo molti di quei fenomeni incontrati sui calcari di Provenza. Certo non tutti accettarono di gareggiare ma la competizione c’era eccome, anche sulle falesie. A rendere il clima incandescente nei bar di la Palud fu per esempio la disputa tra il parigino J.B. Tribout, il quale aveva liberato il primo 8c Les spécialistes, e il “divo biondo” Edlinger, che dopo aver ripetuto la via aperta da Pschitt l’aveva subito degradata a 8b+… Tra scalatori, si sa, non esiste peggior affronto!

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