Ambiente

Ghiacciai alpini: diminuiscono acqua e turismo, aumentano le frane

Quali sono le condizioni presenti dei ghiacciai alpini e cosa aspettarci in un futuro non troppo lontano? Domande che spesso ci siamo trovati ad affrontare negli ultimi anni, in maniera sempre più frequente a causa di quello che è un sempre più rapido peggioramento della salute degli ambienti alpini d’alta quota, evidente conseguenza del riscaldamento globale. Le risposte fornite dagli esperti non sono mai rosee. Il punto della situazione è stato fatto nei giorni scorsi presso la Commissione Territorio del Senato sullo scioglimento dei ghiacciai alpini.

Perdiamo ghiacciai a vista d’occhio

Ciò che emerso dalle parole degli esperti di glaciologia intervenuti in audizione è che stiamo perdendo masse glaciali, lungo tutto l’arco alpino, a velocità vertiginose.

“Ogni anno in Valle d’Aosta perdiamo una superficie di ghiacciai pari al centro della città di Aosta o a 220 campi da calcio – le parole di Jean Pierre Fosson segretario generale della Fondazione Montagna sicura, partendo da un focus regionale, per estendere successivamente il ragionamento all’intero arco alpino. In VDA, “il 3,5 % del territorio è ricoperto da ghiacciai, ma venti anni fa avremmo detto il 5%”, evidenzia Fosson, portando all’attenzione del Senato delle cifre preoccupanti. Nel 1999 i ghiacciai valdostani erano 216, per una estensione totale di 154 km. Nel 2019 sono risultati essere 175, per una superficie totale di 120 km quadrati.

Passando all’intero arco alpino, su scala nazionale Fosson riporta che “nel 1956 sulle Alpi italiane c’erano 1397 ghiacciai che ricoprivano 608 km quadrati. Di questi 531 erano in Valle d’Aosta, 305 in Lombardia e 560 nel Triveneto. Nel 2015 erano 903 ghiacciai per un’estensione di 369 km quadrati. Una riduzione del 40% in 50 anni”. 

Meno ghiacciai significa meno acqua

La progressiva perdita dei ghiacciai porta con sé delle conseguenze in termini di riduzione delle risorse. La prima, naturale, è l’acqua. La seconda, umana, è rappresentata dal turismo, una importante per non dire essenziale, leva economica delle regioni alpine.

In merito alla risorsa idrica, Igor Rubbo direttore generale di Arpa Valle d’Aosta, ha delineato lo scenario che Valle d’Aosta e “sottostante” Pianura Padana si troveranno ad affrontare qualora non si riesca ad arginare in tempi brevi l’aumento della temperatura media del Pianeta. “In Val d’Aosta nel giro di pochi anni si perderanno interi chilometri quadrati di copertura glaciale anche in quote molto alte”, spiega l’esperto. “Si ridurrà non solo la quantità di acqua ma anche la finestra temporale in cui l’approvvigionamento alpino risulta utile. Anche per gli usi primari, come l’acqua potabile o gli usi pastorali. Un rischio che coinvolgerà non solo le aree agricole, ma anche i grandi centri abitati, che sono grandi utilizzatori di acqua”.

Meno acqua per la popolazione ma anche meno acqua per produrre energia. “Se manca la riserva di neve o di ghiaccio diminuisce anche la possibilità di ricavare energia – sottolinea Rubbo – . In un contesto di crisi energetica come quello attuale, il rapido scioglimento dei ghiacciai crea problemi di autonomia sia regionale (il 99% della corrente prodotta in Valle D’Aosta arriva dall’idroelettrico), sia per chi vive ma in pianura Padana”.

Lo scioglimento dei ghiacciai valdostani comporterà al contempo un aumento del rischio di alluvioni. “Per quanto riguarda le alluvioni il rischio non diminuirà. Anzi, aumenterà il numero di giorni in allerta gialla e arancione di 3-4 volte, di allerta rossa 2-3 volte.”

In Lombardia la situazione non appare certo migliore. A prendere la parola per fare il punto sui ghiacciai lombardi Riccardo Scotti, consigliere del Servizio glaciologico lombardo. Come evidenziato da Scotti, lo scenario peggiore da ipotizzare è la scomparsa anche dei ghiacciai maggiori della Lombardia: “Anche i tre più grandi, cioè l’Adamello, il Fellaria-Palù e il Forni, andranno a scomparire entro fine secolo se non vengono ridotte le emissioni e continua l’aumento incontrollato delle temperature.”

Volendo essere un po’ più ottimisti, “se invece saremo in grado di stabilizzare le temperature entro i 2 gradi, seguendo le indicazioni dell’Accordo di Parigi, i ghiacciai maggiori potrebbero trarne un beneficio e conservarsi sul lungo periodo anche entro la fine del secolo.”

Non si fa scrupoli ad associare in maniera diretta lo scioglimento dei ghiacci al surriscaldamento globale il dottor Scotti, sottolineando che ciò cui assistiamo sia effetto dell’eccessivo uso di combustibili fossili e dell’aumento delle temperature “che sulle Alpi è stato di circa 2 gradi rispetto all’era preindustriale, ovvero il doppio rispetto alla media dell’intero Pianeta”. 

“Dalla fine della Piccola Età glaciale del 1850 i ghiacciai lombardi hanno perso il 54% della superficie originaria, una variazione in media con i ghiacciai di altri territori alpini”, continua il glaciologo, riportando come esempio la la lingua glaciale del Fellaria, che dal giugno 2019 all’ottobre 2021, ha perso 18 metri, “quanto l’altezza di Palazzo Madama.”

Una immagine del futuro delle Alpi su scala più ampia è fornita da Valter Maggi, presidente del Comitato glaciologico italiano, che dichiara: “Lo scioglimento dei ghiacciai alpini porterà a una riduzione della disponibilità d’acqua per un quarto degli abitanti europei“.

“L’arco alpino fornisce acqua ai 4 principali grandi bacini idrografici d’Europa, cioè quelli del Danubio, Reno, Rodano e Po – sottolinea l’esperto – . Un bacino come quello del Rodano che prende acqua dai ghiacciai delle montagne avrà una crisi profonda, con una perdita del 40% di forniture di acqua, stesso vale per il Po.”

…e si perde turismo

Maggi pone attenzione sull’impatto che la perdita di ghiacciai può avere sul turismo, portando come esempio il ghiacciaio del Rodano. “Dal 1870, quando la lingua del ghiacciaio arrivava profondamente a valle, è una zona che ha basato il suo turismo sul ghiacciaio. Ad oggi il ghiacciaio è risalito completamente sulla sua valle superiore, quindi dal punto di vista turistico questa area ha perso il suo vero significato, il motivo per la quale è stata costruita”.

Aumenta il rischio frane

La perdita dei ghiacciai comporta anche un incremento in positivo di un fenomeno, che positivo non è: il verificarsi di frane. “Lo scioglimento dei ghiacciai determina un deciso aumento dei fenomeni franosi. L’erosione dei ghiacciai ha poi scoperto molte superfici cosparse da molti detriti non coperti da vegetazione erba e poggianti su roccia levigata, quindi aumentato il rischio di frane”, le parole di Maria Siclari, capo dipartimento del servizio geologico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

Una problematica che va a inserirsi in un contesto già tragico. L’Italia è infatti già alle prese con gravi e diffusi fenomeni di dissesto legati alla instabilità dei versanti in ambito montano, e a erosione costiera al livello del mare.

“In Italia, quasi il 94% dei comuni è a rischio frane, alluvioni ed erosioni costiere – sottolinea Siclari – Un milione e 300 mila persone vivono in aree a rischio frane, mentre 6,8 milioni sono a rischio alluvioni. L’Italia con 625 mila frane è il paese europeo più interessato da fenomeni franosi. Il 28% delle frane censite sono crolli o colate rapide di fango e detriti, caratterizzate da velocità elevate e da elevata distruttività con gravi conseguenze in ingenti danni infrastrutturali e perdita di vite umane”.

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