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Disegnata la “mappa del tesoro” dei meteoriti nascosti in Antartide

L’Antartide è un angolo del mondo particolarmente amato dagli appassionati di UFO e misteri spaziali. Al di là di congetture dalle scarse prove scientifiche di supporto, il continente di ghiaccio presenta effettivamente una sorta di “effetto calamita” per qualcosa che arriva dallo Spazio: i meteoriti. L’Antartide è di fatto l’area terrestre più produttiva in termini di recupero di frammenti rocciosi extraterrestri –  ad oggi, circa il 62% di tutti i meteoriti recuperati sulla Terra provengono da lì – , il cui studio ci aiuta a gettare luce su origine ed evoluzione del Sistema Solare.

In particolare, vengono riconosciute delle “stranding zones”, che potremmo tradurre come zone di arenamento dei meteoriti, delle aree insomma in cui la loro concentrazione appare più elevata. Zone che vengono di norma scoperte per pura fortuna o nel corso di spedizioni costose. Di recente, un team belga-olandese, avvalendosi dell’intelligenza artificiale, ha messo a punto una mappa del tesoro dei meteoriti antartici. Una soluzione low cost, che potrà fornire supporto nella definizione di future missioni tra i ghiacci, andando a scegliere mete ad alta probabilità di successo.

Come si legge nell’abstract del paper che riporta i risultati dello studio, di recente pubblicazione su Science Advances, sono stati combinati dataset in un algoritmo di machine learning, che ha portato alla elaborazione di “stime a livello continentale della probabilità di trovare meteoriti in una determinata posizione”.

“L’insieme risultante di circa 600 zone di arenamento si legge ancora – , con una precisione stimata di oltre l’80%, rivela l’esistenza di zone inesplorate, alcune delle quali si trovano vicino a stazioni di ricerca. Le nostre analisi suggeriscono che meno del 15% di tutti i meteoriti caduti sulla superficie della calotta glaciale antartica sono stati recuperati fino ad oggi. L’approccio basato sui dati faciliterà notevolmente la ricerca per raccogliere i meteoriti rimanenti in modo coordinato ed economico.”

Una mappa del tesoro per limitare i costi

Non è soltanto l’alto numero di meteoriti caduti in Antartide a renderli interessanti per la ricerca spaziale, ma anche il loro stato incontaminato.

“Quando i meteoriti cadono sulla superficie della calotta glaciale antartica, rimangono in genere intrappolati nell’area di accumulo coperta di neve della calotta glaciale, che copre il 98% del continente – viene riportato nel paper – . Durante il processo in cui la neve si accumula, si compatta e si trasforma in ghiaccio, i meteoriti vengono incorporati nella calotta glaciale. Vengono quindi trasportati insieme al ghiaccio che scorre sotto la spinta delle forze gravitazionali verso i margini del continente. Sebbene la maggior parte dei meteoriti finisca nell’oceano, una piccola parte viene riportata sulla superficie della calotta glaciale in alcune aree di ghiaccio blu (BIA).”

In queste aree l’ablazione annuale supera l’accumulo, per cui se il ghiaccio contiene meteoriti, questi prima o poi verranno alla luce, a seguito della sublimazione progressiva del ghiaccio e risulteranno ben evidenti a contrasto con il blu del ghiaccio sottostante. Se un meteorite cade su un BIA, inoltre, non essendoci accumulo di neve, resterà in superficie. “Pertanto, se il flusso del ghiaccio e le impostazioni geografiche e climatologiche specifiche si combinano favorevolmente, una BIA può fungere da zona di arenamento di meteoriti (MSZ).”

La metodologia seguita di norma per la ricerca di potenziali MSZ si basa su analisi visiva dei dati di telerilevamento raccolti in corrispondenza delle BIA, seguiti da esplorazioni delle zone X in motoslitta o elicottero, per verificare la presenza di meteoriti. Ne deriva che la scoperta dei preziosi frammenti extraterrestri dipenda dalla competenza di chi analizza le mappe e le immagini e da costose missioni sul campo. Proprio a causa dell’elevato peso del fattore umano in tale modalità di ricerca, è molto probabile che le principali MSZ debbano ancora essere scoperte. Il team belga-olandese ha dunque optato per una strategia altamente innovativa e low cost per concentrare energie e finanze in ricerche mirate.

Come identificare un MSZ

Gli MSZ sono noti per 3 caratteristiche principali:

  • la presenza di ghiaccio blu;
  • superficie in condizioni di freddo tali da favorire la perdita di massa per sublimazione più che per scioglimento del ghiaccio;
  • basse se non bassissime velocità di scorrimento del ghiaccio per la presenza di barriere al di sotto della superficie.

Per identificare le aree potenzialmente riconoscibili come MSZ, i ricercatori hanno puntato su 4 parametri, valutati su scala continentale, da incrociare tra loro per elaborare la probabilità che in una determinata area si possa trovare un MSZ:

  • la presenza di ghiaccio blu;
  • la temperatura superficiale;
  • la pendenza della superficie;
  • la velocità superficiale.

Senza scendere nel dettaglio della metodologia di machine learning utilizzata, arriviamo ai risultati: secondo il modello elaborato vi sarebbero sulla superficie della calotta glaciale tra i 340.000 e i 900.000 meteoriti. Ne consegue che attualmente ne sia stata recuperata una percentuale molto bassa, che oscilla tra 5 e 13%. Le future missioni di recupero dei frammenti spaziali potranno trovare nella mappa del tesoro elaborata un grande alleato, che potrà consentire la raccolta di un ampio quantitativo di meteoriti, tra cui ci si aspetta di trovare delle tipologie rare, come Angriti, Brachiniti e rocce marziane.

“La raccolta di questo materiale unico e ben preservato – concludono i ricercatori – consentirà di incrementare le nostre conoscenze sul Sistema solare.”

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