Film

La tragica corsa al Polo Sud del Capitano Robert Falcon Scott

Nel lontano 1910 prendeva il via una spedizione britannica con intento esplorativo in Antartide: la celebre Terra Nova Expedition (spedizione Terra Nova). Al comando della spedizione, che accanto alla raccolta di dati scientifici e geografici sull’ultimo continente inesplorato del Pianeta, anelava a raggiungere il Polo Sud per la prima volta nella storia, vi era il Capitano Robert Falcon Scott. Fu proprio il sogno del Polo Sud a trasformare l’avventura prima in sfida poi in tragedia. Scott arrivò sì al Polo, ma scoprì di essere stato battuto sul tempo dal norvegese Roald Amundsen. Il Capitano e i suoi uomini morirono sulla via del ritorno al campo base, vinti dal freddo dell’estate antartica. Una vicenda drammatica, raccontata in una pellicola senza età, prodotta nel 1948 e oggi disponibile in streaming su Netflix: “Scott of the Antarctic” (Gran Bretagna, 1948, 110 min, titolo in italiano: “La tragedia del Capitano Scott”).

Il film, diretto da Charles Frend, fu realizzato senza mettere piede in Antartide. Le scene tra i ghiacci furono girate sulle Alpi Svizzere e in Norvegia. E nel montaggio vennero anche utilizzate immagini d’archivio della Terra di Graham realizzate prima della seconda Guerra Mondiale.

La spedizione Terra Nova

Fu l’arrivo di Sir Shackleton nel 1909 a meno di 200 km dalla meta, a instillare in Robert Falcon Scott la voglia di raggiungere per primo il Polo Sud. Con tale proposito fisso in mente, accanto come anticipato a scopi scientifici, partì con il suo equipaggio, composto da marinai e scienziati, a bordo del veliero Terra Nova alla volta dell’Antartide.

In contemporanea partì alla volta del settimo continente anche il norvegese Amundsen che, sconfitto nella corsa al Polo Nord da Robert Peary, sperava di arrivare per primo a piantare la sua bandiera al Polo Sud.

La navigazione della Terra Nova dalla Nuova Zelanda al continente antartico fu tutt’altro che piacevole. Alla fine di novembre del 1910 fu colpita da una vigorosa tempesta da cui fortunatamente l’equipaggio uscì indenne. A seguire, nel mese di dicembre, rimase incagliata nel pack per 20 giorni. Sarà questo ritardo a segnare gli esiti della corsa al Polo Sud.

La caccia al Polo iniziò per la precisione nell’ottobre del 1911, con partenza di Scott e i suoi uomini da Hut Point. Per arrivare a destinazione avrebbero dovuto percorrere 2841 km. Un avvicinamento reso difficile da problemi soprattutto di logistica. Intento iniziale era dividere i 16 membri in 2 squadre, di cui la prima dotata di motoslitte per portare i rifornimenti. Ma i mezzi meccanici si bloccarono e toccò procedere con il carico in spalle a piedi. Nonostante le mille difficoltà, in 5 raggiunsero il Polo Sud il 17 gennaio 1912: il Capitano Scott, Henry Bowers, Lawrence Oates, Edward Wilson e Edgar Evans. E trovarono qui la bandiera piantata da Amundsen.

Se l’andata era risultata complicata, il viaggio di ritornò risultò ben peggiore. Era ormai fine estate in Antartide, la colonnina di mercurio scendeva sotto i -30°C, il freddo penetrava nelle ossa. Nonostante la necessità di accelerare per aver salva la vita, Scott non volle venire meno all’impegno scientifico e ordinò di proseguire con i campionamenti geologici lungo il percorso. Gli uomini si ritrovarono così allo stremo delle forze, in preda allo scorbuto e a congelamenti, sulla Barriera di Ross. Evans fu il primo a morire, Scott l’ultimo.

Sull’ultima pagina del suo diario, scritta in data 29 marzo 1912, si legge:

“Ogni giorno saremmo pronti a partire per il deposito a 11 miglia di cammino, ma fuori dalla tenda imperversa la tempesta. Non credo che possiamo sperare in un miglioramento della situazione. Combatteremo fino all’ultimo, ma ovviamente siamo sempre più deboli e la fine non può essere lontana. È un peccato, ma non penso di poter scrivere di più. Per l’amore di Dio, prendetevi cura delle nostre famiglie”.

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Un commento

  1. Più che i 20 giorni di incagliamento della nave avvenuti quasi un anno prima della partenza per il polo, fu la tattica scelta. Amundsen si affidò al traino dei cani già sperimentato e collaudato, mentre Scott, ostile all’utilizzo dei cani, scelse trazione meccanica e cavalli manciuriani che si dimostrarono entrambe, in tempi relativamente brevi, soluzioni fallimentari costringendo gli inglesi a trainare le slitte di persona per quasi tutto il percorso e facendoli arrivare secondi. Le cause della tragedia, oltre ai motivi sopra elencati sono da ricercare anche nel fatto che, a fronte di un ristretto gruppo di 4 uomini scelto a tavolino per la fase finale, Scott decise di tenere un compagno in più (che fu poi quello che si ammalò e morì per primo) gravando così in maniera decisiva sulle scorte di cibo calcolate per un numero inferiore di persone. A questo si aggiunsero anche condizioni metereologiche difficili e condizioni di salute in deterioramento per quasi tutti i membri del gruppo che resero fatale l’esito.

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