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Il mondo perduto del Monte Roraima

Un’isola tra le nuvole. Un mondo perduto. La vetta più misteriosa della Terra. Sono tante le espressioni con cui viene presentato il Monte Roraima, il più celebre dei tepuy della Gran Sabana, a cavallo tra Venezuela, Brasile e Guyana. Un nome che agli appassionati di alpinismo non suonerà nuovo. Nel tardo autunno 2019 ha rappresentato infatti la meta di una avventurosa, per non dire estrema, spedizione capitanata dal climber britannico Leo Houlding, con l’obiettivo di aprire una nuova via su questa montagna avvolta da un alone di leggenda e da nubi suggestive, dopo aver affrontato 50 km tra tarantole e scorpioni attraverso la giungla. Houlding aveva definito tale spedizione come un sogno coltivato fin da bambino. A cosa si deve tale fascino? Scopriamo insieme i segreti del Monte Roraima.

Una montagna “senza punta”

Il Monte Roraima (in lingua Pemon: “cima verde”) appare come una vetta dalla forma anomala. Agli antipodi della classica immagine a cono con cui ognuno di noi rappresenterebbe su un foglio una montagna, mostra infatti una cima piatta, di 31 chilometri quadrati di superficie su cui si incontrano i confini di Venezuela, Brasile e Guyana (nel cosiddetto “triple point”). Il punto in assoluto più alto del rilievo è detto “Maverick rock”.

Solitamente l’avvicinamento al Monte Roraima avviene dal versante venezuelano, perché si tratta della via più “facile”. Sarebbe la via scelta da Houlding, vi lasciamo immaginare come possa essere l’avvicinamento dal lato del Brasile o della Guyana.

La forma è quella tipica dei tepuy, termine coniato dagli indigeni Pemon (trad.”casa degli dei”) per indicare i suggestivi altopiani che si innalzano nella regione sudamericana della Gran Sabana. Il Monte Roraima è dunque propriamente un altopiano e raggiunge una quota di 2810 metri. Il tepuy più alto della regione è rappresentato dal Pico Neblina, alto 3045 metri, che si trova in pieno territorio amazzonico. Per scoprire l’esistenza di quest’ultima vetta è stato necessario l’utilizzo di tecniche radar in ricognizioni aeree, in quanto la cima è perennemente avvolta dalla nebbia.

Geologia vs leggende

La conformazione del Monte Roraima, al pari degli altri tepuy, è dovuta a millenni di erosione. Il massiccio cui appartengono si è infatti originato secondo le stime, nel periodo Precambriano, tra 2,5 e 1,9 miliardi di anni fa. Gli agenti atmosferici hanno avuto tutto il tempo per erodere la roccia e creare queste fantastiche formazioni che si innalzano nel verde della foresta pluviale. Un po’ come nel caso delle piramidi antartiche, non serve dunque chiamare in causa l’intervento di alieni o civiltà tecnologicamente avanzate per spiegare la precisione di quella cima orizzontale.

La leggenda locale fornisce naturalmente una spiegazione molto più romanzata dell’origine del rilievo, al posto del quale si dice che un tempo vi fosse una sorta di paradiso terrestre pianeggiante, ricco di corsi di acqua. In questo paradiso un giorno nacque un banano e il Paaba (dio creatore) proibì agli abitanti di toccarne i frutti. Un racconto che ricorda un po’ il melo dell’Eden a pensarci bene. Come nel caso di Eva, qualcuno osò toccare l’albero sacro, rubando un casco di banane. Improvvisamente la natura sembrò ribellarsi e, mentre uomini e animali fuggivano, il terreno si sollevò dando origine al Monte Roraima. I corsi d’acqua furono anch’essi sollevati insieme al suolo e infatti lungo le pendici del tepuy si vedono ancora oggi sgorgare rivoli d’acqua, che gli indios definiscono “lacrime di Dio”.

Una isola di biodiversità

Dicevamo in apertura che il Monte Roraima sia definito un’isola tra le nuvole. Basta dare uno sguardo alle immagini sul web per comprenderne il motivo. Spesso e volentieri la cima appare circondata da un mare di soffici nubi bianche.

In termini biologici, tocca ammettere che il tepuy Roraima sia per certi versi davvero un’isola. La posizione remota, l’isolamento indotto dalla presenza della foresta pluviale tutto attorno e le particolari condizioni ambientali, hanno portato l’altopiano a sviluppare una propria biodiversità. Sono state individuate nel corso del tempo centinaia di specie animali e vegetali presenti solo lì. E badate bene, stiamo parlando di un lasso di tempo limitato, durante il quale sono state condotte davvero poche spedizioni a scopo di ricerca. Probabilmente molte specie aspettano ancora di essere scoperte.

La prima spedizione di successo, con il raggiungimento della vetta del Roraima risale infatti al 1884, ad opera di Sir Everard Im Thurn, botanico ed esploratore sponsorizzato dalla Royal Geographical Society. Obiettivo dello studioso, all’epoca 32enne, era di analizzare flora e fauna locali per rispondere ai quesiti di scienza e tradizione.

Il remoto tepuy, impenetrabile a tutti se non agli indigeni Pemón, era infatti visto come un mondo perduto, concetto su cui torneremo a breve. Un angolo di mondo in cui non si escludeva potessero celarsi specie primordiali, persino dinosauri. Im Thurn non ebbe modo di raccogliere molti campioni, già la salita in vetta è da considerarsi una grande impresa, soprattutto per l’epoca. Successivamente maggiori campioni e dunque informazioni sulla natura di Roraima furono raccolte da altri scienziati, come J.J. Quelch e F. McConnelly.

Sì, ma niente dinosauri!

Le prime esplorazioni del tepuy resero subito evidente la ricchezza di biodiversità di Roraima, che come anticipato, si presenta come un’area geograficamente isolata, in cui sono evolute specie che non si ritrovano neanche nella sottostante foresta pluviale. Tra le specie presenti non compaiono dinosauri né altre creature della Preistoria. Nel 1989 l’esploratore tedesco Uwe George, impegnato in una spedizione per la National Geographic Society, scrisse: “Nessuno di noi che ha seguito le orme di Im Thurn sul Roraima ha trovato creature primordiali o loro resti fossili lì, ma il terreno è così difficile che solo una parte del tepuy, di 44 miglia quadrate, è stata finora esplorato.”

L’avventuroso viaggio di Sir Everard Im Thurn alla ricerca della verità (e dei dinosauri) ispirò il celebre romanzo “Il mondo perduto” (1912) di Sir Arthur Conan Doyle, i cui protagonisti sono un gruppo di esploratori che, arrivati sulla cima del Monte Roraima, trovano di fronte a sé un luogo rimasto fuori dal tempo, fermo appunto all’epoca dei dinosauri.

A sua volta tale romanzo ha ispirato le opere di fantascienza di Michael Crichton “Jurassik Park” (1990) e “Il mondo perduto” (1995), alla base poi della saga cinematografica degli anni Novanta diretta da Steven Spielberg di “Jurassik Park”.

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