Ambiente

Nel cuore dei ghiacci

Un viaggio nella profondità che è anche un viaggio nel tempo, ai piedi dell’Adamello. Si è conclusa la prima fase del progetto ADA270, che prevedeva il prelievo di più di 200 metri di carote di ghiaccio dal Pian di Neve, per avere informazioni atmosferiche, climatiche e ambientali, e la posa di fibre ottiche all’interno del foro per studiare i movimenti futuri e le variazioni di temperatura del ghiacciaio. Ora non resta che attendere i risultati.

Come nasce il progetto

È un progetto che nasce da lontano, circa due anni fa, da unintervista che Lino Zani, come autore e co-conduttore di Linea Bianca, fece a Valter Maggi, glaciologo e professore allUniversità degli Studi di Milano Bicocca. SullAdamello, parlando di ghiacciai, Maggi spiegava come nel 2016 un satellite avesse individuato in quel luogo uno spessore di 270 metri di ghiaccio. “Io non ci credevo, non pensavo fosse possibile ci fosse ancora tutto quel ghiaccio sul Pian di Neve, ormai in questi ultimi ventanni ne era andato via così tanto… Poi mi ricordavo che addirittura quando ero ragazzo e portavo da mangiare a quelli che facevano le misurazioni sul ghiacciaio, mi parlavano di 240-250 metri, ma si trattava di cinquantanni fa”, ricorda Zani, promotore e ideatore del progetto ADA270. Quindi, perché non provare a estrarre questo ghiaccio e studiarlo? Laspetto critico è stato la ricerca dei fondi, inizialmente ci si è rivolti alla Comunità Montana di Valle Camonica, per poi passare alla Regione Lombardia. Infine sono intervenuti anche alcuni sponsor privati che hanno creduto in questo progetto ed è stato possibile realizzarlo.

La spedizione

Il 6 aprile è iniziato lallestimento del campo base sul Pian di Neve, ai piedi dellAdamello, studiato per permettere a una decina di persone – sei ricercatori, due guide alpine più uno o due responsabili del progetto – di vivere a 3100 metri per tre settimane. In realtà la spedizione è stata più breve: 12 giorni per svolgere il progetto, più altri due per smantellare completamente il campo e lasciare il ghiacciaio come era stato trovato. Oltre al lavoro di cura e pulizia il tutto è stato organizzato – dalla cucina ai bagni chimici – proprio per non lasciare tracce: solo mucchi di neve spostata. Inizialmente lidea era di utilizzare dei container, ma pesavano troppo, quindi ci si è affidati alle tende: una tenda mensa, una dormitorio e altre tendine più piccole, soprattutto per consentire liniziale isolamento ai ricercatori svizzeri, per la quarantena tra un tampone e laltro.

Invece delle tre settimane preventivate è servito meno tempo grazie alle temperature molto basse (anche -28°C durante la notte), insolite per il mese di aprile: secondo le previsioni fatte con gli svizzeri si pensava di estrarre 15 metri di ghiaccio al giorno, lavorando solo di notte, invece si è potuto procedere con il carotaggio anche di giorno, arrivando a più di 30 metri di ghiaccio estratti. La quota raggiunta è stata di 225 metri: poco oltre i 200 i ricercatori hanno trovato il primo sasso, ma era di piccole dimensioni e sono riusciti a spostarlo mentre scendevano, quello in cui si sono imbattuti a 225, invece, doveva essere di dimensioni più importanti. Malgrado gli sforzi, non è stato possibile scendere sotto quella profondità, ma la spedizione è stata comunque un successo: l’obiettivo era di arrivare a 200 metri, ogni carota estratta in più è stata motivo di ulteriore gioia.

Anche se, come si vede in foto, le carote sono di una trasparenza quasi irreale, Zani racconta: “Allinterno ci sono bolle daria, stratificazioni molto precise delle nevicate che arrivano dal Sahara, anche a profondità enormi, a 180 metri è stato trovato un ago di pino e a 220 altra sostanza organica: ci sono tantissime cose che daranno risposte”. Il ghiacciaio dellAdamello è posizionato molto vicino alla Pianura Padana, quindi raccoglie informazioni atmosferiche, climatiche, ma ancora più importanti sono quelle ambientali: in pratica raccoglie tutto quello che è successo nel raggio di 100-200 chilometri intorno, ha spiegato Valter Maggi. Verranno fatte analisi di tipo chimico – per capire cosa cè dentro alla carota – , fisico – per avere indicazioni sulle caratteristiche del ghiacciaio stesso -, e biologico – quindi sulla parte “viva” presente allinterno del ghiaccio. Le tecniche per fare queste misure dipenderanno anche molto dalle quantità di materiale trovato. Si spera di riuscire ad andare indietro nel tempo di alcuni secoli, ma finché non saranno iniziate le analisi non potremo saperlo. “Io nello specifico faccio ricerca sulle polveri fini atmosferiche, e sulle Alpi ne arrivano tantissime, specialmente quelle dal Nord Africa. Queste polveri, per esempio, ci danno ottime informazioni sui trasporti: se so da dove parte e dove arriva questo materiale, posso raccontare la storia del suo viaggio e più in generale dei movimenti atmosferici”, ha chiarito Maggi, facendo anche qualche altro esempio. “Ci saranno dei colleghi che lavoreranno sul DNA della vegetazione presente all’interno, e sarà possibile fare la ricostruzione della storia della vegetazione, sia quella endemica che quella che arriva da lontano. Altri ancora studieranno la parte radioattiva, cercheranno di ricostruire la temperatura… Faremo in modo di mettere insieme più informazioni possibili, ci vorranno anni di lavoro”.

Un viaggio nel passato, ma anche nel futuro

Non solo scienza, però. Anche storia. Proprio perché il ghiaccio racchiude nei suoi vari strati materiali – e quindi potenziali informazioni – che vi si sono depositati nel passato, scendere in profondità equivale a fare un viaggio nel tempo. Alcuni periodi significativi potrebbero essere particolarmente interessanti da studiare, e non solo dal punto di vista glaciologico: quello della Prima guerra mondiale, per esempio, visto che l’Adamello faceva parte di uno dei fronti, o quello dell’inizio dellindustrializzazione, per capire quando effettivamente la Pianura Padana è riuscita a contaminare latmosfera e quindi a portare inquinanti anche verso i nostri ghiacciai.

Se le carote permetteranno di viaggiare nello spazio e nel passato, dal foro sono arrivati e arriveranno dati sul presente e sul futuro: terminata l’estrazione, infatti, è stata effettuata anche un’indagine geofisica profonda con l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste. È stato calato un geofono, strumento in grado di ascoltare le onde che si propagano nel materiale, e in superficie sono state generate delle onde con strumenti appositi. Queste misure, come ha illustrato Luca Albertelli, geologo e coideatore del progetto ADA270, consentiranno di ricavare la stratigrafia del ghiaccio e la profondità della roccia, ovvero permetteranno di avere una visione tridimensionale dellandamento dei vari livelli di ghiaccio e della roccia al di sotto – cosa che prima, dalla superficie, si poteva ricavare con maggiore difficoltà e approssimazione.

In più, i ricercatori hanno calato quattro diversi cavi di fibra ottica all’interno del foro. Di solito la conosciamo per le telecomunicazioni, per internet, ma in questo caso non è servita per regalare una connessione al ghiacciaio dell’Adamello… “L’uso della fibra in questo tipo di ambiente e situazione, che si sta facendo con il Politecnico di Milano e con la società Cohaerentia, è sperimentale. Non esistono ad oggi lavori fatti in questo modo per cercare di capire l’entità delle deformazioni e degli spostamenti del ghiacciaio e di ricavare la variazione di temperatura lungo la verticale della perforazione che è stata eseguita”, ha precisato Albertelli. Si dice che la fibra è agnostica, nel senso che è lì, non fa nulla, è la luce che viaggia allinterno di questo filo – dello spessore di un capello – che porta con sé tutte le informazioni. Informazioni che dipendono dallinterrogatore – un dispositivo elettronico in grado di analizzare il segnale di ritorno – e dalle domande che gli fai: è lui a ricavare i dati che cerchiamo”. Le misure, che devono essere svolte sul posto, inizieranno nei prossimi giorni.

Durante la spedizione non sono mancati i momenti di convivialità, e anche quelli ricchi di emozione: dalla condivisione di informazioni e curiosità sulle ricerche e sulla vita a 3000 metri con più di mille studenti interessatissimi, alla decisione di fermare il progetto a 225 metri dopo essere riusciti a estrarre l’ultima carota, alla commozione quando è stato il momento di salutare il ghiacciaio dopo aver smontato il campo. Non è tutto finito, però. Il programma è di estrarre una seconda carota l’anno prossimo, da inviare in Antartide, per il progetto di ricerca internazionale riconosciuto dallUNESCO Ice Memory”, che ha l’obiettivo di raccogliere e conservare campioni di ghiaccio prelevati dai ghiacciai di tutto il mondo che potrebbero scomparire o ridursi moltissimo a causa del riscaldamento globale. Non un addio, quindi, ma un arrivederci all’Adamello.

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