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Mary Varale

Ripercorriamo la vita e le imprese della formidabile scalatrice che nella prima metà del secolo scorso incise segni indelebili in un mondo dell’arrampicata ancora quasi esclusivamente maschile

“In questa compagnia di ipocriti e di buffoni io non posso più stare
Mary Varale 

Parole dure e pesanti come granito quelle che citiamo qui sopra. Parole che mettono in chiaro, senza se e senza ma, quale fosse la tempra di Maria Giovanna Gennaro coniugata in Varale, al secolo Mary Varale.

Parole ancor più dirompenti, se si tiene contro dell’indirizzo a cui sono rivolte e del tempo. Costituiscono infatti il climax della lettera – una vera e propria invettiva – che Mary spedì all’indirizzo di Francesco Terribile, presidente della sezione di Belluno del Club Alpino Italiano, per comunicare le proprie dimissioni. Era il 1935. Bisogna ponderarla bene questa data e trarne tutte le conseguenze. Si era, infatti, nel pieno del ventennio fascista e rassegnare le dimissioni dal CAI, in aperta polemica con la dirigenza, significava alienarsi le simpatie del regime di cui i vertici dell’associazione erano espressione diretta. Mary Varale lo sapeva e sapeva quali sarebbero state le conseguenze: quella lettera segnò la fine della sua carriera alpinistica.

Forse ci furono altre salite e altri giorni grandi fra le montagne dopo quel 1935, ma lei stessa non ne volle tenere traccia alcuna, quasi per una sorta di “damnatio memoriae” rivolta a quel mondo che le era stato tanto caro e che l’aveva delusa e rifiutata.

È durata poco più di dodici anni la vita di Mary Varale scalatrice, ma, in quelle intensissime stagioni di montagna, la ragazza in giacchetta rossa ha fatto abbastanza per passare alla storia come una delle più emancipate e talentuose scalatrici italiane e come la “talent scout” di alcuni fra i più grandi nomi dell’alpinismo italiano degli Anni 30.

La vita

Maria Giovanna Gennaro nasce a Marsiglia, il 24 giugno del 1895, secondogenita di Pietro Gennaro, torinese di nascita e Olinta Pizzamiglio, originaria di Sustinente, un paesino in provincia di Mantova.

Poche e frammentarie sono le notizie relative all’infanzia e alla giovinezza. Unica testimonianza degli anni trascorsi in Francia è una sua foto scattata in occasione della prima comunione. Non molto tempo dopo, probabilmente, la famiglia rientra in Italia, stabilendosi a Milano. Qui Mary vive la sua “prima vita”. Chi la conobbe allora la descrive come una ragazza alla moda, elegante e nello stesso tempo originale ed emancipata. Racconta infatti la nipote Maria Luisa Volpe, intervistata nel corso delle riprese del film “Con le spalle nel vuoto”, a lei dedicato: “Portava i tacchi alti, lo smalto sulle unghie e il rossetto, le gonne appena sotto il ginocchio. Era una figura decisamente diversa dalla tipica signora bene della borghesia milanese”.

In quegli anni la montagna non compare per nulla fra i suoi interessi. Poi, improvvisamente, eccola catapultata in una nuova vita. Persino questo fondamentale passaggio resta avvolto nel mistero. Ancora non è chiaro con chi, come e quando abbia cominciato il suo percorso di alpinista. Unica certezza è quella lista di 325 salite, che lei stessa volle allegare alla lettera di dimissioni inviata al Cai, e che porta come prima data il 1924.

In quell’anno Mary appunta salite in alta quota tutt’altro che banali per l’epoca, dal gruppo del Monte Rosa fino all’area dell’Ortles e del Cevedale. Si tratta degli exploit di un’autodidatta improvvisata e un po’ scavezzacollo o dell’approdo di un lungo percorso di crescita? Impossibile determinarlo. Di sicuro la metamorfosi è ormai completa e la signorina con unghie laccate e gonna corta è già divenuta la donna che “osava portare i pantaloni in città, fumare per strada e fischiare per richiamare il cane”, come ricorda ancora la nipote.

Affinché Maria Giovanna Gennaro diventi la Mary dell’alpinismo manca ancora un piccolo, ma essenziale particolare: l’amore. Di nuovo non ci sono date precise e luoghi, ma è certo che di lì a poco avverrà l’incontro con l’uomo della sua vita vita, il giornalista Vittorio Varale. Penna raffinata della cronaca sportiva nazionale, Vittorio è un appassionato di ciclismo, che nulla conosce di pareti e scalatori. Ad introdurlo in quell’ambiente è proprio la nuova compagna. Così comincia la loro avventura di coppia nel mondo dell’alpinismo. Ben prima di convolare ufficialmente a nozze (nel 1933), per gli scalatori delle Grigne e degli ambienti dolomitici i due diventano un binomio indissolubile: “Mary e Vittorio Varale”. Lei protagonista di salite importanti assieme ad alcuni dei migliori capicordata dell’epoca, lui cantore degli eroi del sesto grado e delle loro gesta.

Fra i torrioni della Grignetta Mary è di casa e compie innumerevoli ascensioni, spesso da prima di cordata, diventando abituale compagna del gruppo emergente degli scalatori lecchesi degli Anni 30. È però nelle Dolomiti che realizza le sue salite più significative. Con Emilio Comici e Renato Zanutti, nel 1933, apre la via dello Spigolo Giallo sulla Cima Piccola di Lavaredo, destinata per bellezza ed esposizione della scalata a divenire una delle più ambite classiche delle Dolomiti. L’anno successivo, con Alvise Andrich e Fulvio Blanchet sale un nuovo e grandioso itinerario di V e VI grado sulla parete Sudovest del Cimon della Pala.

Sembra solo l’inizio di una carriera che promette altre grandi avventure e soddisfazioni, ma, proprio a seguito di quella salita, nasce un conflitto insanabile con la dirigenza del CAI. Nella sua schiettezza Mary non può sopportare l’ipocrisia di chi rifiuta di assegnare la medaglia al valore atletico a Andrich e Blanchet, probabilmente proprio per aver portato a compimento la salita in cordata con lei, una donna, che, invece di adeguarsi all’ideale fascista di madre e angelo del focolare se ne va in giro a scalare pareti, alla pari e forse anche al di sopra di tanti blasonati alpinisti maschi. Se ne va quindi dal Club Alpino Italiano e dall’ambiente della montagna sbattendo la porta e mandando coraggiosamente a quel paese “ipocriti e buffoni”.

Per Mary comincia un’ulteriore fase della vita, che, ancora una volta, la vede completamente trasformata: “Nel dopoguerra – racconta sempre la nipote – ricordo una cuoca provetta e una perfetta casalinga, quasi ossessionata dalla pulizia fino all’esasperazione, tanto da lavare le zampine dei cani alla fine delle passeggiate”. Alla fine degli Anni 50 un’altra metamorfosi, questa volta non per sua scelta: forse a causa del fumo eccessivo è colpita da un ictus cerebrale che la lascia paralizzata su una sedia a rotelle e incapace di parlare, per cinque lunghi e terribili anni. Una condizione per lei insopportabile di cui solo l’affetto e la dedizione di Vittorio riesce parzialmente a lenire la pena.

La coppia si trasferisce definitivamente nella casa di vacanza di Bordighera, sulla Riviera ligure, dove Mary Varale muore il 9 dicembre del 1963.

Le principali salite sulle Alpi

Quegli alpinisti che non sanno di esserlo

Mary Varale approda nelle Grigne alla fine degli Anni 20. È un momento molto speciale, perché segna il passaggio di testimone fra gli alpinisti milanesi e la nuova generazione degli scalatori lecchesi, quella di Riccardo Cassin, Mario Dell’Oro (detto Boga), Vittorio Ratti, Gigi Vitali e tanti altri, destinati a portare definitivamente il VI grado fra le montagne lariane e poi a divenire protagonisti della storia dell’alpinismo a livello mondiale.

Il ruolo che lei e il marito Vittorio giocano nella formazione e nel destino di questi ragazzi è fondamentale. I giovani lecchesi sono per lo più scalatori autodidatti, dotati di enorme talento e potenzialità, ma praticamente ignari di ciò che avviene al di fuori delle guglie della Grignetta e quasi completamente digiuni di conoscenze rispetto alle tecniche e alle attrezzature che in quegli anni, soprattutto nelle Dolomiti, stanno vivendo una straordinaria evoluzione.

In un articolo datato 1932 lo stesso Vittorio Varale li descrive come straordinari atleti, che però non sanno neppure di esserlo. Sarà proprio grazie alla loro frequentazione che quei ragazzi prenderanno consapevolezza dei propri mezzi e verranno indirizzati verso orizzonti sempre più ampi.

Durante le scalate in Grigna la signora di Milano, come i lecchesi chiamano Mary, racconta ai compagni delle esperienze vissute nelle Dolomiti, spesso a fianco delle grandi guide alpine come Tita Piaz o addirittura del vate nazionale del VI grado, il grande Emilio Comici. Per questi figli della più umile classe operaia è come immergersi in un sogno: si parla di personaggi mitici e luoghi per loro inarrivabili. A trasformare le fantasie in realtà ci pensano proprio Mary e Vittorio che, nell’estate 1933, riescono a portare Comici proprio in Grignetta, per farlo arrampicare con i lecchesi e insegnare loro le tecniche più evolute del VI grado, dalle malizie nell’utilizzo di chiodi e moschettoni alla progressione con la doppia corda a forbice.

Di quella visita restano diverse testimonianze fotografiche, ma una più di tutte immortala il momento. È un immagine di Comici che posa appoggiato ad un parapetto. È slanciato, elegante, con un allure da eroe omerico. Ai piedi ha un paio di eleganti pedule da roccia. Alla sua sinistra c’è un giovane Riccardo Cassin e alla sua destra il Boga. Loro hanno una faccia da ragazzacci di strada, piccoletti e tarchiati rispetto allo statuario Comici. Uno veste una canottiera sbrindellata, l’altro sembra indossare i vestiti buoni, quelli che le persone di modesta estrazione sociale tirano fuori dall’armadio solo per le occasioni più importanti. Entrambi calzano un paio di scarponacci improbabili. Eccoli gli atleti che non sanno di esserlo.

Però è l’immagine di un capitolo che si chiude: i ragazzacci lecchesi la metteranno subito in pratica la lezione appresa da Comici. Da quell’estate in avanti, la loro progressione sarà inarrestabile. Geometrica.

I coniugi Varale saranno ancora al loro fianco. Vittorio diverrà il cantore delle loro gesta, attraverso le pagine dei quotidiani nazionali su cui scrive. E pure nelle scelte degli obiettivi alpinistici non mancheranno di far sentire la loro influenza, come dimostra quella famosa cartolina della parete Nord delle Jorasses che fece da “bussola” a Cassin, Ugo Tizzoni e Ginetto Esposito nella loro vittoriosa salita dell’inviolato Sperone Walker. Cartolina inviatagli, guarda caso, proprio da Vittorio Varale.

È un “mecenatismo” dettato dalla comune passione per la scalata e dalla simpatia di un’amicizia nata e cresciuta fra le pareti. Ma c’è anche dell’altro… Tanto Mary quanto Vittorio sono entrambi vicini agli ideali del fascismo e la promozione delle imprese dei giovani lecchesi, in gran parte intruppati nelle fila del GAFNI (Gruppo Arrampicatori Fascisti Nuova Italia), è un servizio che ben si presta alla propaganda di regime.

A testimonianza di questa vicinanza c’è un curioso episodio, che la stessa Mary non manca di menzionare, proprio nella sua famosa lista delle salite. Si tratta dell’erezione del grande fascio littorio in metallo sulla cima della Torre Costanza, in Grignetta, voluta e finanziata proprio dai coniugi Varale. Nel 1931 Mary si occupò personalmente del trasporto in vetta del manufatto, assieme a Cassin e Mario Dell’Oro, nel corso della prima ripetizione della difficile via aperta dallo stesso Boga. Due anni più tardi fu ancora lei a erigere un secondo monumento al littorio, questa volta pagato dal segretario politico di Lecco, dopo che quello precedente era stato sbullonato e gettato nei canaloni sottostanti da ignoti guastatori…

Tale era la simpatia e la dedizione di Mary per i valori fascisti. Una simpatia, come abbiamo visto, non esattamente ricambiata dalle gerarchie del partito che – come dimostra la vicenda della medaglia al valore atletico rifiutata a Andrich e Blanchet – mal sopportavano l’ingombrante figura di quella donna perennemente fuori dagli schemi, libera e coraggiosa, ostinatamente determinata ad essere artefice e padrona del proprio destino.

Libri

Film

Con le spalle nel vuoto. Vita di Mary Varale, Sabrina Bonaiti e Marco Ongania, Italia, 2010, 30’

“Ci parlava del grande arrampicatore triestino (Emilio Comici – Ndr), lo chiamava il suo Maestro. Un giorno ci disse: bisogna farlo venire in Grigna. Voi imparerete da lui quello che ancora non sapete, lui vi apprezzerà per il molto che valete

Dall’articolo “I nostri ricordi della cara Meri” (Notiziario CAI di Lecco, 1964)

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