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Stefano Cascavilla: i viaggi, i cammini e il Dio degli incroci

Viaggiare a piedi non significa soltanto far fatica, o esplorare dei luoghi fisici come valli, borghi, foreste e montagne. Stefano Cascavilla, architetto, alpinista e camminatore romano, ha alle spalle migliaia di chilometri, lungo percorsi famosi come il Camino de Santiago e l’Appia Antica, o molto meno noti come la Via Egnatia, la strada antica che conduceva dall’Adriatico a Istanbul. Nei suoi itinerari a piedi, un passo dopo l’altro, Cascavilla ha imparato a guardare, a capire, a unire la curiosità del viaggiatore con la scienza dell’urbanista, la filosofia con la voglia di andare oltre l’ovvio. Lo dimostra Il Dio degli incroci, il suo primo libro, pubblicato dalla casa editrice Exorma. Un libro agile, ben scritto, suggestivo, che riesce a citare Le Corbusier e Jung, Aristotele e Flaubert senza annoiare il lettore, ma coinvolgendolo nelle sue riflessioni.  

Nel mondo di Stefano Cascavilla, che vive in una grande città come Roma, il rapporto tra l’uomo e ciò che lo circonda conta molto. “Se non abitiamo in un contesto rurale, la Natura è al massimo un vaso di gerani, il gatto, un dente quando duole” spiega nel libro. Invece “in una foresta traboccante di vita sotto il diluvio caldo del monsone, riparato a malapena dentro il cavo di un tronco, percepirsi come frazione insignificante dell’Universo è l’unica opzione”.

Da alpinista, Stefano ha percorso decine di vie sul Gran Sasso e sulle Alpi, ed è istruttore della scuola Franco Alletto del CAI Roma. D’inverno, sul ghiaccio e sul misto del Terminillo, ha tracciato diverse vie nuove con l’amico Pino Calandrella. Nel 2014, insieme a Calandrella e a Marco Chiaretti, ha salito una elegante cima inviolata in Karakorum, nella valle di Hushe, che in onore della cittadina del Lazio è stata battezzata Leonessa Peak. “Da alpinista hai un unico modo di guardare alle cose” spiega Cascavilla. “In Mali, ai piedi della falaise di Bandiagara, una parete interminabile, verticale e stupenda, l’ho osservata pensando a scalare. Poi ho capito che per i Dogon, il popolo che vive ai suoi piedi, la parete è un luogo dello spirito, e il cimitero dei propri antenati. Andarci per arrampicare è impensabile”. In Mali, come racconta ne Il Dio degli incroci, Stefano ha anche imparato ad assistere “alle conversazioni serali tra anziani, che per spirito e saggezza avrebbero tenuto testa a qualunque interlocutore occidentale. Queste – pensai nel silenzio – dovevano essere le serate di Socrate e Plotino”. 

Prima di diventare architetto, Cascavilla ha lavorato nell’industria dell’auto. Per i suoi colleghi di allora, i siti dove costruire delle nuove fabbriche erano solo dei greenfield o dei brownfield, cioè dei campi verdi o dei terreni già industrializzati. Lo spirito del luogo alla cultura di oggi non interessa. “Al luogo non attribuiamo un’anima. Possiamo accanirci su di lui, e ridurlo a una spianata inerte per farci un parcheggio” scrive Stefano. Ma non è sempre stato così. Nella Roma repubblicana, prima di far legna in un bosco, ci saremmo chiesti quale dio vi abitasse, e quanto ci autorizzasse a tagliare. Avremmo cercato un sacerdote, fatto dei sacrifici e poi, con attenzione, tagliato solo quanto concesso”. 

La passione di Stefano Cascavilla per i viaggi a piedi è iniziata qualche anno fa, camminando con suo figlio sedicenne verso Santiago de Compostela. Ha proseguito sul Cammino di San Benedetto, sulla Francigena del Sud e sull’Appia Antica, che ha percorso per secondo, dopo il viaggio compiuto nel 2015 da Paolo Rumiz, Riccardo Carnovalini e compagni. Poi è arrivata la Via Egnatia, l’arteria romana lunga 1120 chilometri che traversava da ovest a est i Balcani fino a Costantinopoli, l’odierna Istanbul. Una strada percorsa da eserciti, predicatori e mercanti. Il tracciato che ha portato l’Asia a Roma, e viceversa. “Ho iniziato nel 2019, camminando da Durazzo, sulla costa dell’Albania, fino a Salonicco, in Grecia, attraverso il Montenegro e la Macedonia del Nord. L’anno scorso avrei voluto proseguire, ma il Covid-19 non me lo ha permesso” spiega Cascavilla. “Ripartirò tra qualche settimana, dovrei riuscire ad arrivare al confine tra Bulgaria e Turchia, poi non so. Il mio sogno, in futuro, è di arrivare a Gerusalemme come i pellegrini medievali. Ma sarà necessario evitare la Siria e il Libano. Vedremo”. 

Viaggiare a piedi da solo, senza incontrare altri camminatori come accade sulla via di Santiago o sulle Dolomiti più note, insegna ad apprezzare i paesaggi semplici, e l’ospitalità spontanea della gente. Camminando lungo l’Egnatia sono arrivato varie volte in dei villaggi albanesi senza locande né alberghi, e sono sempre stato invitato a dormire in una casa. Percorrendo a piedi l’Appia Antica ho scoperto quanto spazio e quanto silenzio esistono tra la Basilicata e la Puglia, in delle lande dove non si incontra nessuno”.  

Camminando, in qualunque parte del mondo, è bene fare molta attenzione agli incroci. Nei boschi della Boemia sono segnalati anche oggi dalla statua di Jan Nepomucký, il nostro San Giovanni Nepomuceno. Nella Grecia antica al suo posto sorgeva una statua di Hermes, le strade romane erano presidiate da Giano, il dio bifronte delle soglie. In Africa, anche oggi, gli incroci sono dei luoghi speciali. “L’incrocio non è un luogo qualsiasi” spiega Stefano Cascavilla nel libro. “Puoi cambiar percorso, hai delle scelte, accade o potrebbe accadere qualcosa. La corrispondenza tra dio e luogo è palesemente percepibile, visibile, annusabile, udibile”. 

Lo sanno i mercanti, le donne accanto ai sacchi di pesce secco, i ragazzini che giocano con una ruota. Lo sanno tutti, non c’è niente da capire” conclude l’architetto e camminatore romano. Ritrovare il fascino, lo spirito, il dio è possibile anche dalle nostre parti, anche su un sentiero o un cammino. Basta avere gli occhi aperti, e guardare.  

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