Impianti e sostenibilità: un equilibrio possibile?
Collegare i comprensori di Breuil-Cervinia, Valtournenche e Zermatt (Svizzera) con quello della Val d’Ayas, i cui impianti già si collegano con quelli di Gressoney e Alagna, creando così uno dei più grandi comprensori sciistici al mondo. È questo l’obbiettivo dell’operazione che intende inglobare le ski aree “Cervino Ski Paradise” e “Monterosa Ski”: un investimento previsto di circa 66 milioni di Euro – tra i più significativi della Valle d’Aosta degli ultimi anni in impianti di risalita – due nazioni coinvolte (Italia e Svizzera) e ben cinque comprensori (Zermatt, Cervinia-Valtournenche, Champoluc, Gressoney e Alagna). Il collegamento permetterebbe di raggiungere sia in inverno che in estate il Piccolo Cervino, Zermatt e viceversa. Le ripercussioni sarebbero notevoli, sia in termini di opportunità economiche per l’aera coinvolta sia per quanto riguarda l’impatto ambientale, considerando che il Vallone delle Cime Bianche gode della tutela ambientale a livello europeo (identificativo “IT1204220 – Ambienti glaciali del gruppo del Monte Rosa”), che prevede l’esclusione di nuove infrastrutture. Ci siamo confrontati con gli attori coinvolti e i local, cercando di ascoltare quante più voci possibili, da una parte e dall’altra, per offrire un’analisi seria su un argomento delicato.
Pro e contro dell’operazione
Secondo Giorgio Munari, Amministratore Delegato Monterosa Ski: “Questo progetto – a medio termine – è antecedente la pandemia, e per questa ragione abbiamo deciso di portarlo avanti comunque. C’è bisogno di questa iniziativa perché i cambiamenti climatici ci dicono che dobbiamo spostarci più in alto per poter mantenere un turismo legato allo sci, che credo avrà ancora un certo appeal nel futuro: alzarci in quota ci consente di sperare di avere ancora neve naturale. Inoltre i comprensori di una certa ampiezza hanno un’attrattiva importante sul mercato estero: persone che, arrivando da una distanza considerevole, si fermano per più tempo, facendo aumentare il lavoro in loco, creando ricchezza e indotto sul territorio. È un’idea pensata non per un turismo mordi e fuggi ma settimanale: non bisogna aumentare il numero di persone ma la capacità di spesa dei turisti. Sembra che la montagna sia l’unico posto dove si deve portare avanti un’economia soft e sostenibile. Perché questo discorso non vale per le banche e le industrie? Perché non riduciamo gli stipendi di chi lavora nella finanza? È chiaro che amiamo le nostre montagne e vogliamo preservare l’ambiente, per questo da dieci anni collaboriamo con l’Università di Torino e abbiamo studiato le sementi più indicate da utilizzare quando facciamo dei lavori sulle piste in modo da restituire alla natura la tipologia corretta in rapporto alla nostra altezza. Facciamo molti sforzi in un’ottica di economia sostenibile, non siamo ottusi. L’impianto a fune, se quando viene progettato viene previsto di smontarlo una volta che non viene più utilizzato, è il sistema di trasporto che ha meno impatto ambientale in assoluto. Per le piste è diverso, perché prevedono un escavatore. In generale dobbiamo trovare un equilibrio tra il rendere sostenibile la vita delle persone che vivono in montagna e la tutela della natura, e non è sempre facile. Certe scelte non le prendiamo solo per noi, ma per le prossime generazioni, per permettere ai nostri figli di poter continuare a vivere in montagna”. Secondo i favorevoli si tratterebbe di una valorizzazione del territorio di grande portata economica. Le popolazioni dei paesi interessati si sono dimostrate favorevoli, con un referendum sulla questione dall’esito positivo.
Ma non tutti sono dello stesso avviso e molti local si sono mobilitati per mettere in guardia sulle conseguenze del piano, e non solo. Secondo la Guida Alpina Stefano Balbo: “Le persone sarebbero attratte da questo progetto. Lavorando nella zona di Gressoney vedo però che spesso a causa del vento o di una cattiva gestione gli impianti sono chiusi, quindi temo che non faremmo una gran figura se prima non risolviamo questi problemi. Forse sarebbe meglio concentrare le energie nel gestire le strutture già presenti e nel rinnovare o smantellare quelle vetuste. Non credo che costruire nuovi impianti equivalga sempre a un errore, però in questo caso ritengo ci siano altre priorità sulle quali investire. In generale mi sembra che sulle Alpi nessuno si interroghi su come smantellare i vecchi impianti: pensano tutti solo costruirne di nuovi”. In base alle informazioni raccolte dal Comitato “Ripartire Dalle Cime Bianche” il progetto dovrebbe comportare una sequenza di quattro cabinovie, di cui tre nel cuore del Vallone delle Cime Bianche, con la posa di piloni ogni 150 metri, 55/60 piloni da Frachey al Colle superiore delle Bianche, senza contare le stazioni intermedie.
Parola d’ordine: destagionalizzare
Il Sindaco di Alagna Roberto Veggi offre un punto di vista interessante e un’analisi accurata del contesto. “Sono a favore del progetto, ma credo bisognerebbe rispettare dei criteri ambientali e di sostenibilità molo rigorosi: la presenza di un’area protetta è un aspetto importante da tutelare. Forse però, facendo un lavoro ben fatto e investendo soldi non solo nel mettere piloni e cemento, il ritorno economico di quest’operazione potrebbe essere davvero rilevante per il territorio. Penso non solo allo sci ma al fatto che si tratterebbe di un collegamento tra cinque valli alpine: al momento ogni volta che dobbiamo parlare con i comuni vicini dobbiamo fare quattro ore di macchina, se va bene. Permettere di visitare le valli senza inquinare, vedendo posti che altrimenti non si riuscirebbe a visitare perché ci vorrebbe troppo tempo, sarebbe un’opportunità unica. Per l’economia della diversificazione stagionale essere collegati a Zermatt è intelligente: significherebbe vendere la settimana sul comprensorio intero. La possibilità di comprare il giornaliero solo per Alagna o il Monterosa Ski rimarrà comunque, ma a questa si aggiungerà l’opportunità di comprare il biglietto per l’intero comprensorio. Sarebbero garantite presenze non solo nella stagione dello sci ma tutto l’anno. Se si vuole fare una transizione dallo sci ad altre attività più slow ci vorranno almeno venti o trent’anni per vivere con gli stessi numeri. L’alternativa è invertire la tendenza odierna di un ripopolamento della montagna, andando a vivere tutti in città. Mercalli dice che con il cambiamento climatico bisogna spostarsi più in alto, se però togliamo le uniche opportunità di lavoro che abbiamo in quota non verrà nessuno: le persone si muovono dove c’è lavoro. Io faccio solo tre giorni di sci all’anno e per il resto scialpinismo e cascate, però so che se togliamo lo sci alpino in montagna non esiste più niente, che piaccia o no è così. Il sistema si può cambiare, integrando con altre attività e ampliando l’offerta, ma ci vorranno vent’anni perché sono cent’anni che andiamo avanti con la gestione degli impianti sciistici. È come se ci dicessero dall’oggi al domani che non si può più usare l’automobile. L’economia dello sci comunque non è più impattante di spiagge con centinaia di ombrelloni”. In una direzione simile a quella indicata da Veggi si colloca anche il parere di Pietro Giglio, Guida Alpina e Giornalista, Presidente delle Guide Alpine Italiane e Presidente dell’Unione Valdostana delle Guide Alpine fino allo scorso 4 marzo: “La mia percezione è che in Valle d’Aosta la maggior parte delle Guide Alpine sia favorevole. Lo sci ha bisogno di alzarsi di quota a causa dei cambiamenti climatici. Purtroppo le persone non ragionano in termini di prospettiva di lungo periodo, ma vivono la quotidianità. E la politica persegue la contingenza, l’immediato, perché ha bisogno del consenso.Personalmente amo fare scialpinismo e potrei dire che preferisco che il Vallone delle Cime Bianche rimanga così com’è, ma dall’altra parte mi rendo conto che chi vive in montagna ha bisogno di lavorare e far girare l’economia. Prima che si crei un mercato che apprezza formule alternative allo sci alpino, come ciaspole, scialpinismo e fondo, ci vorrà molto tempo, sono processi lunghi che prevedono che si remi tutti nella stessa direzione. Nel frattempo si può solo fare della filosofia perché intanto le persone devono mangiare e tutti aspiriamo a uno standard di vita accettabile”.
Una manna dal cielo?
Secondo i fautori del progetto, infatti, dall’opera deriverebbe un’importante ricaduta economica non soltanto sulle valli interessate ma su tutta la Valle d’Aosta, che porterebbe un maggiore afflusso di turisti, con un notevole incremento di indotto che ne conseguirebbe. Un’iniziativa di marketing che darebbe visibilità all’Italia intera. Già ma quale turismo attirerebbe, di qualità e attento all’ambiente o che andrebbe a incrementare “l’assalto alla montagna” che vediamo concretizzarsi ogni anno durante i periodi festivi? La Guida Alpina Roberto del Col ha le idee chiare. “Gli impianti costano tanta energia elettrica, il costo di manutenzione e servizio degli operatori è notevole e per costruirli è inevitabile deturpare l’ambiente. È innegabile che questa struttura darebbe la possibilità a tante persone di usufruire di un collegamento importante, ma credo che lo sci alpino piano piano morirà e quindi sono scettico sull’investire così tanto in questo progetto, persino la Skyway alla fine dell’anno è in rosso. Bisogna poi considerare l’aspetto ecologista: per fare un impianto di sci bisogna andare su con i bulldozer e l’impatto sul territorio è considerevole. Inoltre se non c’è abbastanza neve bisogna spararla e, per creare i fiocchi, nell’acqua si aggiungono additivi. Aspetto non meno rilevante, le imprese che lavorerebbero alla costruzione non sarebbero valdostane. È un progetto anacronistico, sarebbe andato bene negli anni ’70. Ha senso solo perché porta un sacco di turisti che riempiono gli alberghi e le strutture. È chiaro che la Valle d’Aosta lavora con il turismo legato allo sci e senza quello faremmo la fame, ma quel comprensorio è un’idea con costi insostenibili, anche perché la maggior parte di famiglie non potrebbero permettersi un giornaliero. Poi anche volendo in giornata non si riuscirebbe ad andare dall’altra parte e tornare indietro”.
Impianti o non impianti, questo è il problema
Secondo i favorevoli al piano, le quote elevate su cui si svilupperebbe il collegamento consentirebbero di allungare la stagione dello sci. In estate sarebbe possibile sciare sul ghiacciaio di Plateau Rosà, che con questo comprensorio sarebbe raggiungibile non solo da Cervinia ma anche dalla Val d’Ayas. Con il ritorno alla cosiddetta normalità però riprenderebbe anche l’inquinamento atmosferico, che, secondo il The Guardian, ogni anno uccide più di quanto abbia fatto finora il Corona Virus. La previsione, a causa dei combustili fossili, è di una riduzione del 70% della neve sulle Alpi nei prossimi ottant’anni e nessun ghiacciaio importante entro la fine del secolo. Molte stazioni sciistiche di tutta Europa potrebbero chiudere entro il 2050.
Ha davvero senso investire ancora sugli impianti? Imprenditore locale, oltre che Assessore al Turismo, Sport, Commercio e Trasporti di Gressoney La-Trinité, Paolo Viganò racconta la sua esperienza personale. “Oltre che assessore sono anche un ristoratore, e sono sicuro che questo comprensorio porterà slancio e crescita economica al territorio e conferirà un prestigio internazionale alle valli e ai comprensori già esistenti, portando a un aumento dei fruitori. Non sarà solo una fusione tra l’area del Cervino e la Monterosa Ski ma aumenterà la visibilità di entrambi e quindi le potenzialità, allargando il bacino di utenti. Ci sarà un forte ritorno economico per tutte le attività, aumenterà il lavoro. L’attività commerciale di una località non ha come primo scopo deturpare l’ambiente ma valorizzarlo. Questa nuovo impianto si integrerà con la natura, nessuno vuole distruggere le montagne, solo migliorare la nostra condizione economica”. Una questione da non sottovalutare è legata all’educazione dei turisti al rispetto per l’ambiente, un aspetto sul quale forse non si investe ancora abbastanza. Se è vero che negli ultimi anni c’è una maggiore attenzione alla sostenibilità, non bisogna sottovalutare l’importanza di sensibilizzare l’opinione pubblica.
Pietro Ruggeri, parte del direttivo di Legambiente Valle D’Aosta, pone l’accento sull’impatto per l’ecosistema: “Il danno ambientale sull’area protetta sarebbe considerevole, visto che il progetto prevede anche una nuova pista che dovrebbe sorgere proprio nel Vallone delle Cime Bianche, in una zona in cui le normative vietano qualsiasi possibilità di edificare. Costruire la pista significherebbe alterare l’ecosistema e arrecare disturbo alla fauna. Questa grande opera è inopportuna proprio in considerazione della particolarità del Vallone delle Cime Bianche, ancora intatto e privo di infrastrutture e peculiare sul piano naturalistico e geologico”. Secondo Legambiente, che si è da subito attivata con ogni mezzo necessario per scongiurare quella che chiama “devastazione ambientale e spreco di denaro pubblico”, le alternative sono quelle del turismo dolce, le escursioni e le passeggiate tematiche in estate, le ciaspolate invernali. Da una parte gli oppositori dell’iniziativa ritengono che l’idea del collegamento sia unicamente un’operazione d’immagine, che sarebbe in realtà solo un carosello d’impianti, e sono convinti che pochi turisti sarebbero disposti a prendere cinque impianti per fare una sciata al Bettaforca e altrettanti per ritornare a Zermatt. Dall’altra parte i sostenitori vorrebbero realizzare un comprensorio sul modello del Dolomiti Superski, che però è nato nel 1974. I dubbi che questo nuovo progetto possa risultare anacronistico – alla luce del cambiamento climatico e del momento socio-economico che sta vivendo l’umanità – sembrano leciti.
Un geopark sostenibile
Reboulaz Piermauro, Presidente del CAI Valle d’Aosta ritiene che l’area coinvolta potrebbe diventare un geopark – o Geoparco, in italiano – ovvero un territorio che promuove la protezione e l’uso del patrimonio geologico in modo sostenibile e favorisce il benessere economico delle persone che vi abitano. “Di questi tempi immaginare di spendere, a quanto pare 66 milioni di euro, che saranno di sicuro di più, quando ci sono delle problematiche su molti altri impianti obsoleti, mi sembra quanto meno avventuroso. È vero, sarebbe un comprensorio molto grande, ma per farne cosa? Il gigantismo andava bene negli anni ’70 e non nego che l’incremento del turismo sia servito per lo sviluppo della Valle d’Aosta ma ora dobbiamo concentrarci sul migliorare l’offerta che abbiamo. In giornata sarebbe comunque impossibile fare tutto il percorso, che diventerebbe un mero trasferimento. Si potrebbero invece incentivare altre attività che portano turismo tutto l’anno: penso per esempio alla Via Francigena, che attraversa anche il nostro territorio. Inoltre il valore del patrimonio del Vallone Cime Bianche è inestimabile proprio perché è un territorio selvaggio e incontaminato, dobbiamo valorizzare questo ambiente, incentivando un turismo che lo rispetti. Non so se il turista “mordi e fuggi” che viene per vedere le montagne dall’alto sia quello che vogliamo. Credo che sarebbe più lungimirante investire per esempio in un geoparco, per toccare davvero con mano gli aspetti della geologia della Valle d’Aosta: la sua creazione porterebbe lo stesso posti di lavoro ma in una direzione di maggiore consapevolezza e attenzione nei confronti del territorio, anche per le prossime generazioni. Ed è solo una delle molte possibilità che offre quello spazio. Penso anche al Sentiero Italia, che potrebbe iniziare a essere vissuto come un’opportunità anche in Valle d’Aosta, perché permette di avere una frequentazione di persone che si avvicinano con rispetto e una voglia di conoscenza e valorizzazione maggiore verso una montagna vissuta in maniera più lenta e rispettosa. Quei 66 milioni di euro potrebbero essere utilizzati anche per sistemare gli impianti vetusti e abbandonati presenti. Inoltre si ignora il problema della neve che invece si presenterà in maniera sempre più forte”.
Cime Bianche: l’ultimo vallone selvaggio e baluardo di wilderness del Rosa
Il Vallone Cime Bianche è attualmente l’ultimo del suo genere nell’intera Val d’Ayas, ancora privo d’impianti, strade, insediamenti o strutture ricettive. Racchiude svariate unicità in ambito naturalistico, geologico, ambientale, ed è stato indicato come biotopo particolarmente meritevole di conservazione a livello nazionale, proprio in virtù della sua straordinaria biodiversità. Innegabilmente un immenso valore naturalistico, un ambiente alpino ancora intatto. Marcello Dondeynaz, socio di Mountain Wilderness e Coordinatore del Comitato “Ripartire Dalle Cime Bianche” sottolinea che: “Andremmo a sacrificare sull’altare degli investimenti per lo sci una ricchezza naturale unica – rappresentata dal patrimonio di quel vallone – che è straordinaria e inestimabile, solo per una questione di immagine. Sarebbe una perdita impagabile, mentre quella zona potrebbe diventare un volano per lo sviluppo economico della Val d’Ayas, un’operazione di marketing ancora più importante e contemporanea dello sci, di richiamo internazionale. L’attualità ci impone di riflettere seriamente sulle monoculture dell’offerta turistica: la montagna che vive esclusivamente di turismo è snaturata, non ha più un equilibrio sociale. La bellezza del nostro territorio deriva dall’interazione millenaria che c’è stata tra la cultura rurale con la montagna stessa. L’eredità di questo passato – che rischiamo di perdere per sempre – sono i pascoli, le radure, i villaggi, i sentieri, le mulattiere, gli antichi mulini. La montagna deve vivere di un turismo sempre più diffuso, il contrario dello sci, che si sposta sempre più in alto, ed è centralizzato. Bisogna offrire una proposta turistica che valga tutto l’anno, puntando a valorizzare gli aspetti specifici di ogni realtà. Si diventa vincenti se si differenzia, non con l’omologazione. Con questo progetto si vogliono collegare due realtà che sono molto differenti tra di loro. Breuil-Cervinia, dove in estate la maggior parte degli alberghi sono chiusi perché c’è una monocultura dello sci, mentre in Val d’Ayas e nella zona di Gressoney tutti gli hotel sono aperti, c’è una frequentazione estiva che fruisce delle particolarità dei luoghi. Nell’area protetta del Vallone delle Cime Bianche è anche vietato cacciare, quindi in sostanza è già un’area Parco Naturale, solo che non è gestita, e non c’è nessun investimento sulla manutenzione dei sentieri, delle baite, né sostegno all’agricoltura. Ecco come si potrebbero investire i 60 milioni previsti per il collegamento, che è sostanzialmente un’operazione di immagine, con una portata oraria molto bassa, quindi anche con ritorno economico aleatorio. Tra Zermatt e Cervinia ci sono 250 km di piste, chi passerebbe un’ora e mezza sugli impianti per venire a fare una sciatina in Val d’Ayas? Le persone si stufano di stare ore sugli impianti. Inoltre si scia di meno che in passato. Ci potrebbe essere un ritorno economico a breve termine ma andando a distruggere un vallone che potrebbe invece favorire un ritorno economico sul lungo periodo. Ne vale la pena? Il comprensorio attuale non ha carenze di piste, anzi, al massimo ha qualche impianto da sostituire”. Se da un lato il referendum ha decretato che la maggior parte degli abitanti sono favorevoli all’iniziativa, dall’altra una petizione ha mobilitato i cittadini in difesa del Vallone delle Cime Bianche, raccogliendo 11.500 firme (dato aggiornato al momento in cui è stato scritto questo articolo ma in continuo aumento). I promotori della petizione affermano che “in questo specifico caso è del tutto impossibile conciliare la protezione ambientale con la realizzazione di una grande opera di questa portata”. Il Vallone delle Cime Bianche diventerebbe “simbolo vivo della battaglia per la tutela dell’integrità superstite dell’ambiente alpino, sempre più minacciato dall’antropizzazione incontrollata e da politiche predatorie che vedono la montagna come mera risorsa da sfruttare”.
Il futuro inizia oggi
Secondo Bruce Mcneill, Presidente Comitato Cervino Monterosa Paradise “Questo progetto ha due risvolti positivi: uno riguarda la stagione estiva, l’altro quella invernale. Tutti gli impianti di questo comprensorio sarebbero sopra i 1.600 metri. Paesi come Alagna e Gressoney avrebbero l’opportunità di poter lavorare durante tutto l’anno grazie a un turismo intervallivo. Si avrebbe l’opportunità di vedere trentotto vette sopra i 4.000 metri in un unico giorno. L’obbiettivo è proporre un’offerta simile al Dolomiti Superski: una vera e propria esperienza di montagna. Questo comprensorio permetterebbe di visitare diverse valli senza dover usare l’automobile, quindi si inquinerebbe meno. Inoltre si aprirebbe un nuovo mercato, proponendo un’offerta di servizi anche per chi non scia, destagionalizzando, lavorando tutto l’anno e ampliando l’offerta, penso per esempio al mercato della bici e bici elettriche, in grande espansione. Da uno studio è emerso che sul turismo del futuro incideranno notevolmente le persone provenienti dall’Asia, che non sciano, ma vogliono vedere le Alpi: bisogna rispondere a questi clienti. In più bisogna considerare che Zermatt è già una delle principali destinazioni turistiche del mondo, quindi ci confronteremo con un livello alto di qualità e di offerta. È chiaro che aree che hanno investito su un altro mercato, legato ad attività più slow e a contatto con la natura, vadano preservate e protette, c’è spazio per tutti. In una zona già predisposta a un turismo che offre dei servizi questo collegamento può davvero rappresentare una garanzia per il futuro di queste zone. Lo studio che è stato realizzato prevede di poter rimuovere completamente l’impianto a fine vitasenza lasciare traccia di quello che c’è stato: si farà di tutto per salvaguardare l’aspetto ambientale. Bisogna mettere sul piatto della bilancia i vari aspetti, scegliendo responsabilmente”.
Voglio vedere quanti potranno permettersi un giornaliero da 70/80€ nei prossimi anni coi tempi che corrono…..Come sempre totale mancanza di lungimiranza e totale asservimento cieco alle logiche del “tutto subito” . Ricordiamoci tutti che la maggioranza degli impianti esistenti sopravvive grazie agli interventi a fondo perduto delle regioni perche’ sono perennemente in perdita! Non dico di abolire lo sci da discesa ma di cominciare a incrementare tutte quelle attivita’ che permettono di vivere la montagna tutto l’anno ed eventualmente ammodernare e/o smantellare i vecchi impianti non piu’ economicamente usufruibili……….”mia utopia”!!!
Se con l’attuale tecnologia fossero capaci di diminuire i costi per chi paga i biglietti per usare gli impianti, allora penso che si potrebbe fare, vorrebbe dire che sono capaci di costruire qualcosa di economicamente significativo.
Altrimenti per me è il solito spreco di risorse a favore di qualcuno o qualcosa.
Mi sembra di capire che lei è favorevole alla distruzione del vallone delle Cime Bianche solo se pagasse meno il giornaliero, gli altri aspetti del problema non lo toccano minimamente…spero di essermi sbagliato….
Era mia intenzione affermare in maniera provocatoria l’impossibilità di procedere con nuove strutture se si è gente seria e onesta che non vive alle spalle della comunità.
Per dirla chiara: il tutto per me è totalmente dissennato, poco intelligente e basato esclusivamente su interessi economici personali o di gruppo….. sfruttando la convinzione di moltissima gente che sciare in piste obbligate sia libertà e sia divertente fare quello che il gregge fa.. 🙂
Mi chiedo solo,ma tutti i promotori di questo progetto assurdo dove vivono? Non hanno imparato niente dalla pandemia che da più di un anno ci affligge? Non sanno che da tempo è in atto un cambiamento climatico? E che i ghiacciai sono destinati a sparire! Non hanno mai sentito parlare di economia circolare con riduzione degli sprechi, stabilizzando i flussi commerciali?
Eh niente,per queste persone esiste solo cemento, legato a interessi economici.
Bisognerebbe spiegare loro che la Terra è solo una….
Cito: “L’impianto a fune, se quando viene progettato viene previsto di smontarlo una volta che non viene più utilizzato, è il sistema di trasporto che ha meno impatto ambientale in assoluto.”
Senza addentrarsi in altre considerazioni, già qui casca l’asino di chi vuole massacrare una delle ultime valli intonse delle Alpi: quando mai un im pianto è stato rimosso!
Quella delle sementi studiate con l’Università di Torino poi, fa sbellicare dalla risate: ma che bello! su un territorio stravolto nella morfologia del terreno e pure nella sua composizione e consistenza naturale, ci mettiamo le erbe che c’erano prima, come fare un intervento di plastica facciale a chi non si rassegna alla vecchiaia
Lasciamo perdere che è meglio, prima di scrivere commenti offensivi!
Veramente! …E tra l’altro se ad un impianto a fune viene associato l’innevamento programmato dobbiamo considerare che la montagna viene sventrata da dentro per costruire i relativi bacini artificiali, le stazioni di pompaggio e le condutture….tutte cose smontabili!
Il progetto è talmente fuori di senno che, secondo me, ha ottime probabilità di riuscire. E’ certo che, in uno stato come il nostro dove le decisioni vengono prese quasi sempre da persone incompetenti che non sanno assolutamente per cosa decidono ma si basano solo sull’interesse di parte sia politico che economico, varrà il solito principio di fare una leggina ad hoc che spazzi via le”normative che vietano qualsiasi possibilità di edificazione in un biotipo particolarmente notevole di conservazione”. I fautori di questo nuovo monumento dell’inutile evidentemente non leggono, o se leggono non capiscono, quello che autorevoli esperti da tempo affermano e cioè che fra non molto non vi sarà più neve e quindi si dovrà sparare quella che serve con costi elevatissimi che inevitabilmente ricadranno sulle spalle dei contribuenti come già ricadono quelle degli attuali impianti che viaggiano in deficit ripianati dalla Regione. Questo è quanto accadrà e vedrete che alla fine si farà. quanto previsto.
“Una questione da non sottovalutare è legata all’educazione dei turisti al rispetto per l’ambiente, un aspetto sul quale forse non si investe ancora abbastanza” …interessante….con impianti e funivie?!
Ho fatto più di 40 settimane bianche sull’arco alpino dagli anni ’70 al 2010, devo dire che mi sono divertito, e ho sempre ammirato l’imprenditorialità del Superski Dolomiti.
Pensavo che quella del Trentino Alto Adige fosse la direzione giusta per dare un futuro alle montagne.
Poi riflettendo sullo squallore della neve artificiale sparata, dell’affollamento delle piste di sciatori mediocri (gli sci moderni son più facili da guidare) che ti possono ammazzare un figlio, sullo squallore di viadotti e gallerie che hanno trasformato l’angusta val Badia, ho capito che quella strada non va bene.
Presto tutto quell’artificiale verrà abbandonato alla ricerca del “wild”, del verace, del selvaggio.
Ora mi gratifica di più una passeggiata nel più (senza offesa, anzi con ammirazione) “primitivo” Abruzzo in compagnia di fauna selvatica.
Ci mancava un altro impianto! Possibile che gli enti locali siano così miopi da non accorgersi che lasciare intatte le valli rende di più che costruire altri impianti. Mi auguro (per il bene di tutti) che il Vallone delle Cime Bianche sia lasciato così com’è.
Un progetto totalmente insensato, ci sono già abbastanza piste ed impianti, si pensi al massimo a modernizzare quelle senza crearne altre.
Bisogna incominciare a proporre servizi ed attrattive alternative ai turisti, così anche da “educarli” ad un certo modo di vivere la montagna.
Perché pensare sempre a “quello che ci chiede il turista” e non a “quello che possiamo proporre?”