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Valanga Pila, condannati tre istruttori del Cai. Torti: “Sentenza che sconcerta”

Omicidio colposo plurimo e disastro colposo, questi i reati per di cui sono stati ritenuti colpevoli dal giudice monocratico di Aosta sei istruttori del Cai. La condanna si riferisce ai fatti accaduti il 7 aprile 2018 sul colle Chamolé, vicino alla località valdostana di Pila, dove una valanga travolse quattro scialpinisti, uccidendone due (Roberto Bucci, 28 anni e Carlo Dell’Osso, 54 anni) durante una escursione nell’ambito di un corso del Club alpino.

Ad essere condannati in primo grado Vittorio Lega, di 50 anni, istruttore nazionale Cai di scialpinismo di Faenza e direttore del corso avanzato di scialpinismo della scuola Cai ‘Pietramora’ (delle sezioni di Cesena, Faenza, Forlì, Imola, Ravenna e Rimini), a cui sono stati inflitti due anni, mentre la condanna a un anno e sei mesi è stata comminata a Leopoldo Grilli (46), Alberto Assirelli (52), Paola Marabini (59), Giacomo Lippera (48) e Matteo Manuelli (45), questi ultimi due travolti e feriti.

Secondo la perizia, accolta dal giudice, gli istruttori del Cai fecero delle “scelte imprudenti” nello stabilire percorso, orario e numero di partecipanti. “Abbiamo scelto quella zona – si era difeso Lega in aula – perché mi era sembrata adatta al corso che stavamo facendo, io conosco bene la Valle d’Aosta. Quell’itinerario non lo avevo mai affrontato ma altri due istruttori sì. Abbiamo valutato tutte le condizioni, meteo comprese“.

La reazione del Club Alpino Italiano

Non è mancata la reazione del Cai alla sentenza di Aosta. Rammarico è stato espresso dal presidente generale Vincenzo Torti, che ha commentato la decisione del giudice con queste parole:

“Abbiamo preso atto con rammarico della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Aosta, che sembra contraddire inequivoche risultanze probatorie e valutazioni espresse dai più autorevoli esperti sentiti in corso di giudizio. Ancor più grave è l’aver esteso la più volte contestata responsabilità a tutti i soggetti coinvolti, assimilando al ruolo del direttore del corso quello dei volontari di mero supporto collaborativo, che, in quanto non titolati, non avevano alcuna funzione in ordine a valutazioni non di loro competenza.
Una scelta processuale accusatoria stigmatizzata sin dal primo momento, quella cosiddetta “a strascico”, che talora viene utilizzata in avvio di indagine, ma viene superata all’esito di approfondimenti che consentono di individuare ruoli e contributi causali.
Scelta ancor meno condivisibile, laddove ha portato, su tale errato presupposto, ad escludere qualsivoglia rilevanza al decesso del partecipante “qualificato”.
Per parte sua, il Club alpino italiano, proprio alla luce di quanto puntualmente accertato e che si confida possa trovare in sede di appello adeguata valutazione, conferma la piena solidarietà ai propri soci, ai quali non mancherà di assicurare la necessaria vicinanza e assistenza”.

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