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La valanga a Pian dei Fiacconi deve far riflettere sul futuro della Marmolada

Il 14 dicembre scorso una valanga staccatasi dal Sass Bianchet sotto Punta di Rocca ha danneggiato gravemente il rifugio Pian dei Fiacconi a 2626 metri, sul versante nord della Marmolada, oltre alla stazione d’arrivo dell’attigua cestovia, peraltro dismessa dal settembre 2019.

Titolare del rifugio, insieme a tre soci, è Guido Trevisan che, dopo averlo acquistato una ventina di anni fa’, lo aveva migliorato ed ampliato e stava finendo di pagare il mutuo relativo agli investimenti fatti. Una campagna di solidarietà è partita per aiutare Guido Trevisan, che si è sempre battuto per tentare di salvare la Marmolada dall’invasione degli impianti di risalita, ossia dalla sua integrazione nel lunapark del superski dolomitico. Il suo rapporto con la storica cestovia che portava clienti al suo rifugio in estate e in primavera, oltre che essere utilizzata per i rifornimenti, era però controverso, lo si potrebbe definire di amore-odio. Da quando, nel 2019, i nuovi proprietari gardenesi, i fratelli Mahlknecht (prima la cestovia era della Graffer trentina, che l’aveva costruita nel 1974), decisero di non effettuare la revisione generale per un rinnovo decennale della concessione ma di dismettere l’impianto, Guido Trevisan si è in fatto promotore di una campagna per sradicarne le strutture al più presto e ha affermato di aver lavorato bene, nell’estate 2020, anche con l’impianto chiuso. Chi scrive sarebbe invece stato favorevole a rimettere in funzione la cestovia, ultimo baluardo per evitare nuovi impianti in Marmolada: una cordata trentina di affezionati alla cosidetta “cestovia romatica” stava tentando questa operazione disperata. Il vecchio impianto, oltre ad essere poco impattante, aveva infatti un valore storico, era uno degli ultimi impianti leggeri del passato che potevano essere presi come esempio per un futuro del turismo montano in Dolomiti un po’ più sobrio di quello attuale. Ma questo è un altro discorso, intanto ci ha pensato madre natura a risolvere il problema, distruggendo oltre al rifugio anche la cestovia.

Probabilmente la valanga farà riflettere sull’opportunità di attuare il progetto che prevede la costruzione di una moderna cabinovia con stazione di arrivo sulla cresta che sovrasta di una cinquantina di metri il Pian dei Fiacconi, in un punto strategico per poter continuare con un secondo impianto con arrivo al Sass Bianchet, circa 150 metri sotto l’arrivo della funivia che sale dal versante veneto di Malga Ciapela. Una soluzione peraltro invisa a Mario Vascellari, patron di questa funivia, che teme in questo modo di perdere passaggi sui suoi impianti, in base al diabolico sistema di divisione dei ricavi da skipass proprio del Consorzio Dolomiti SuperSki.

Per quanto riguarda il rifugio sarà opportuno, se lo si ricostruirà, trovare un’ubicazione più sicura oppure, se si deciderà di restaurare quanto rimasto di quello danneggiato, prevedere una seria opera di difesa dello stesso dalle valanghe, ora del tutto mancante. Da notare che la Capanna Ghiacciaio, 70 metri sopra il rifugio distrutto, gestita dallo stesso Guido Trevisan, non ha subito danni grazie ad un rudimentale paravalanghe.

Valanghe in Marmolada, non una novità

Prima di decidere sul da farsi e buttar via un fiume di quattrini per costruire nuovi impianti e nuovi rifugi sarebbe però auspicabile che tutte le parti in causa si rendessero conto che le valanghe disastrose in Marmolada non sono affatto manifestazioni di un destino avverso e di un castigo divino, come si è tentato di far credere. Esse si sono infatti verificate puntualmente in passato più o meno negli stessi punti, fra cui proprio quello del rifugio e della cestovia danneggiati e, particolare ora da non sottovalutare, anche nel punto sulla cresta sovrastante dove, come detto sopra, si prevede di far arrivare il nuovo impianto. Quest’ultima valanga è infatti transitata proprio di li, prima di piombare sul rifugio di Pian dei Fiacconi. I rischi che ciò si ripeta sarebbero addirittura superiori rispetto al passato, così almeno la pensano alcune persone che questa montagna la conoscono bene.

Alcune testimonianze

Carmelo Bortolotti, eccezionale impalmatore di cavi funiviari della Graffer, ha lavorato come capo servizio per gli impianti che salivano da Fedaia a Pian dei Fiacconi dal 1969 al 2005. Prima per la seggiovia monoposto del 1963 e poi per la cestovia che la sostituì nel 1974. Bortolotti ricorda che “già nel 1946 il rifugio di Pian dei Fiacconi fu completamente distrutto da una valanga. Venne ricostruito predisponendo una serie di cassoni di pietra per difenderlo, poi eliminati nel 1974 in quanto si pensò che, con l’abbassamento del ghiacciaio di parecchi metri, il rischio di valanghe fosse venuto meno. In realtà l’eliminazione fu fatta per realizzare una terrazza da cui poter ammirare il ghiacciaio. Nel 1976 ci fu un’altra valanga simile a quest’ultima del dicembre 2020. La massa di neve causò seri danni alla centrale elettrica della cestovia mentre il rifugio si salvò per miracolo”. Da notare che, continua Bortolotti, “la vecchia seggiovia del 1963 aveva una stazione di arrivo più sicura, in quanto posta più a est, ovvero sull’altro lato del rifugio”. Sempre secondo Carmelo Bortolotti “l’abbassamento del ghiacciaio ha reso le pareti più ripide e quindi più soggette a distaccamenti di grandi dimensioni, in grado di assumere molta velocità. La massa nevosa dell’ultima valanga, staccatasi dal Sass Bianchet, ha infatti superato senza difficoltà la cresta morenica che delimita il ghiacciaio per poi piombare sulle strutture sottostanti”.

Marco Margoni, capo servizio e anima della cestovia nei suoi ultimi dieci anni, prima della cessione dalla Graffer di Trento ai fratelli Machbecht di Ortisei, ricorda che “i lavori di protezione della stazione di arrivo della cestovia, eseguiti dopo la valanga del 1976, furono fatti a risparmio, utilizzando mattoni prefabbricati anziché cemento armato. Inoltre si costruì un muro protettivo piatto anziché a forma di cuneo, soluzione che avrebbe permesso di smaltire la valanga”. Margoni ricorda anche che “le valanghe investono regolarmente anche il rifugio Cima Unidici, poco sopra la partenza della cestovia”.

Aldo De Toni, classe 1943, già responsabile tecnico degli impianti veneti che da Malga Ciapela salgono a Punta di Rocca, non si dimostra affatto stupito dell’accaduto. Secondo De Toni, però, “l’abbassamento del ghiacciaio ha portato si a un maggior rischio di grosse valanghe ma tale rischio dovrebbe essere compensato dalla maggiore altezza assunta dalla cresta in fondo al ghiacciaio, che rappresenta un vero paravalanghe naturale. In ogni caso – continua De Toni – l’unico progetto sicuro per raggiungere Punta di Rocca dal versante trentino, era quello elaborato dell’ing. Mario Pedrotti, depositato presso il Comune di Canazei, che non faceva passare l’impianto per Pian dei Fiacconi ma per Cima Undici, proprio nel centro del ghiacciaio, unico punto sicuro dalle valanghe su tutto il versante nord della montagna. Su Cima Undici sarebbe stato realizzato un grande pilone di sostegno”.

In conclusione, tutto il versante nord della Marmolada e non solo Pian dei Fiacconi presenta un alto rischio valanghe. A tale riguardo De Toni ricorda che “ai tempi dello sci estivo sul ghiacciaio, una delle tre sciovie Habegger che venivano montate sull’allora parte veneta del ghiacciaio, è stata più volte portata via dalle valanghe che si staccano con una certa regolarità dalla costiera di Serrauta. Anche la nota Capanna Bill, sulla pista di rientro a Malga Ciapela, è stata colpita da una valanga staccatasi dal Serauta nel 2014”. Tutto questo per dire che in Marmolada con le valanghe non si puó proprio scherzare, soprattutto quando si tratta di localizzare rifugi e progettare nuovi impianti. Aldo De Toni gestisce ora con i figli la Funimont di Alleghe, una società ben nota per il montaggio e la manutenzione di impianti a fune in tutto il mondo (Leitner e Dopprlmayr sono suoi clienti abituali). Particolare interessante su cui riflettere, De Toni è scettico sulla sicurezza dei moderni impianti a agganciamento automatico, come quelli che si vorrebbero costruire in Marmolada. Le vecchie seggiovie e i vecchi skilift sono infatti, secondo lui, molto più sicuri.

Il futuro quale sarà?

Altri importanti punti di riflessione sul passato e sul futuro della Marmolada ce li offre Aurelio Soraruf, architetto e titolare dello storico rifugio Marmolada Castiglioni (ubicato vicino alla diga del lago artificiale di Fedaia, non distante dalla stazione di partenza della dismessa cestovia) nonché di Capanna Punta Penia a 3340 metri. Anche secondo Soraruf “la valanga che ha fortemente lesionato le strutture indifese del rifugio di Pian dei Fiacconi non è una novità, pur tenendo conto che i tempi di ritorno possono variare parecchio. Questa volta la valanga non era neppure gigantesca, un filmato della guida Luigi Felicetti di Campitello di Fassa dimostra che aveva un fronte di appena un centinaio di metri, figuriamoci cosa sarebbe successo se avesse interessato gli ampi e ripidi pendii tra Punta di Rocca e Punta Penia. Se così stanno le cose sembra davvero assurdo che nel 2015 la Giunta Provinciale di Trento abbia approvato un programma di interventi in Marmolada che prevede un impianto con stazione di arrivo proprio sulla cresta superata da questa periodica valanga, prima di piombiare sul rifugio e sulla cestovia. Quella cresta – prosegue Aurelio – sembra essere un luogo davvero infelice per l’arrivo di un nuovo impianto e l’eventuale partenza di uno successivo. Risolvere il problema con la costruzione di un mastodonte di cemento armato alto undici metri su cui realizzare la stazione, ammesso che sia sufficiente, mi sembra una soluzione sul cui impatto ambientale è meglio soprassedere”.

Malgrado tutti queste valutazioni negative è probabile che la cabinovia, prima o poi, si farà. Così almeno sperano i fratelli Mahlknecht, con l’appoggio della Provincia di Trento che non sembra poter fare a meno di un moderno impianto sulla Regina delle Dolomiti. Troppi interessi, troppe miopie. Nemmeno le valanghe sembrano in grado di far cambiare idea. Giunti a questo punto sarebbe invece opportuno limitarsi a liberare la montagna dalle macerie di un passato di interventi che sono stati tutto sommato sostenibili, senza prevedere la realizzazione di nuovi impianti pesanti e di rifugi blindati che sostenibili non lo sono per nulla. Semmai bisognerebbe pensare ad un ritorno ad impianti leggeri, come gli skilift mobili Habegger dello sci estivo degli anni del dopoguerra, quando in Marmolada si correva la libera “Direttissima” lungo la favolosa Lydia e il “Gigantissimo” lungo la Bellunese. Impianti poco impattanti per un grande sci. E forse più sicuri, come afferma uno specialista come Aldo De Toni.

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6 Commenti

  1. Funivia fino a Punta Rocca con stazione “volante” a Pian di Fiacconi o da qualche parte sopra e piloni lontani dalle possibili valanghe…. poche campate, ma non c’è pendenza come in Veneto.
    Rifugio da sistemare con “spoiler paravalanghe” non mostruoso, ricoperto di sassi, sopra per proteggere anche la stazione volante.
    Per non spendere tanti soldi spostando e rifacendo tutto.

    LA FOLLIA UMANA NON HA LIMITI !

  2. Calcolo delle Probabilità . esercizio.Si troverà qualche ingegnere o geologo che firmera’ il progetto e la perizia che dara’ il via al “si fara’ “?
    Qualcuno si e’ sempre trovato… e magari troveranno tutte le tutele o escamotage legali dare colpa alla “fatalita’”
    Poi presupponendo sicurezza totale, quanti passaggi paganti si prevedono su tutti gli impianti e rifugi della zona , al fine di rientrare degli investimenti e cominciare a guadagnarci?Sotto una certa soglia, si va in perdita…e qualcuno ha calcolato anche quanto dovrebbe essere la frequentazione …per non dover poi andare a piangere presso qualche ente pubblicoe chiedere di riappianar bilanci.
    Si indovina anche la motivazione:”noi ci rimettiamo ma l’indotto mosso frutta molto di piu’ alla comunita’ di valle o comprensorio”.

  3. Grazie signor Giorgio, analisi perfetta.
    Invito chi avesse a cuore la causa a leggere anche questo articolo:
    https://www.ildolomiti.it/cronaca/2021/dopo-la-valanga-che-ha-distrutto-il-rifugio-pian-dei-fiacconi-la-lettera-del-gestore-non-posso-nascondere-rabbia-e-tristezza?fbclid=IwAR0pjlhXut0h1o1qdueolZ0KUvxl7yW-pEZnkv22XMrAl8g1F9AQVXwGp9g
    Se, come lei scrive, alla fine il grande impianto si farà, non si rischia di andare in conflitto con i principi di controllo e conservazione che portarono nel 2009 la Marmolada ad essere uno dei gruppi dolomitici che ottennero il riconoscimento di patrimonio dell’UNESCO?
    I migliori auguri al gestore Guido, perchè trovi presto una soluzione alla ricostruzione del rifugio, in un contesto sostenibile e condiviso. Ho contribuito anche io alla raccolta fondi per sostenerlo.
    Speriamo di essere in tanti a farlo.
    Lo merita.

  4. Unesco o non-Unesco vedo che opere anche impattanti verso l’ambiente vengono comunque fatte: Unesco alla fine altro non è che un marchio per vendersi meglio, un po’ come avere un capo firmato. E tutta questa pubblicità su Dolomiti patrimonio Unesco mi fa solo ridere! Apprezzo molto di più la definizione “parco naturale” dove le restrizioni per nuove iniziative sono forse più severe.
    Il nuovo impianto si farà? Si, si farà, perché fino a quando ci sarà un metro quadro di neve su cui sciare la gente ci andrà. E forse ci andrà a sciare anche quando in futuro (forse non troppo lontano) il versante nord sarà rigoglioso di erba e prati. Il gestore Guido Trevisan si metta il cuore in pace, il nuovo rifugio verrà ricostruito come e dove vorranno ‘gli altri’.. anzi stia attento che non gli tocchi pagare i lavori di smantellamento del vecchio! E lo dico con rabbia e rassegnazione, non per volerne al sig. Guido che ammiro per l’impegno di tutti questi anni, ma perché questo è il mondo in cui viviamo: il pesce grosso mangia sempre il pesce piccolo! Non mi stupirò neanche quando vedrò l’ultimo pilone di nuovi impianti messo al posto della croce di vetta di punta Penia, perché questo sarà!

  5. Forse si stanno facendo i conti senza l’oste, senza tener conto cioè del progressivo e rapido ritrarsi del ghiacciaio. A mio parere, visto che si parla di futuro, ogni piccolo o grande progetto deve tener conto dell’impatto che questo fenomeno avrà in tempi relativamente brevi sull’appetibilità turistica della zona nel suo complesso, sul destino stesso del lago, e interrogarsi quindi sul senso, sul non senso direi, di proporre investimenti per interventi inutilmente devastanti oggi e di dubbia resa domani.

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