Arrampicata

Stefano Ghisolfi in azione sul secondo crux di Change

Nel terzo episodio della serie “Way to Change” avevamo lasciato Stefano Ghisolfi al termine dell’arduo primo passaggio chiave del 9b+ di Flatanger. L’avventura prosegue sul secondo crux.

A differenza della prima parte di Change, sulla seconda Ghisolfi afferma di essere riuscito ad allinearsi col beta definito da Adam Ondra nella prima salita.

Verso il secondo crux

La seconda parte di Change inizia con un tetto non troppo complesso da affrontare, al termine del quale ci si può riposare un istante con un aggancio di ginocchio. Non estremamente comodo, tanto da non consentire il distacco di entrambe le mani, ma un punto di sosta in ogni caso utile per ricaricarsi e prepararsi ad affrontare il secondo passo chiave. Un tetto da affrontare decisamente ostile, in cui il posizionamento errato del tallone o di un dito del piede può causare una caduta. Il tutto condito da appigli pessimi per le mani.

Come per il primo pitch, anche in questo caso il movimento cruciale è uno swing. “Ma non è finita qui”, sottolinea Ghisolfi. Dopo il primo tratto essenzialmente orizzontale si inizia a salire, e le prese umide rendono il tutto molto complicato.

“Al primo tentativo ho dovuto usare lo jumar per salire e asciugare il più possibile con dei panni”, con la speranza di aver tempo di scendere e ripartire con un tentativo serio senza che gli appigli venissero nuovamente invasi dall’umido. Speranza abbastanza vana, come racconta Stefano. Soprattutto due risultano essere gli appigli più insidiosi, che si è ritrovato ad asciugare persino con la t-shirt.

Un altro movimento complesso è dato da un tratto di parete estremamente verticale, con elevato rischio di scivolamento, oltrepassato il quale si può dire di essere a metà via.

Si potrebbe pensare che è quasi fatta? Niente affatto. Anche se il tratto di via restante, protagonista del prossimo episodio, risulta essere meno complicato, la lunghezza lo rende una vera sfida di resistenza.

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