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Nell’Appennino parmense “spunta” un rettile del Mesozoico

Nei giorni scorsi sull’Appennino parmense è “spuntato” un rettile marino vecchio di 100 milioni di anni. Si tratta di un ittiosauro, vertebrato del Mesozoico, nello specifico di un Platypterygius, il cui fossile ritrovato nel Comune di Neviano degli Arduini (PR) rappresenta uno tra i più importanti del Nord Italia.

L’eccezionale rinvenimento è avvenuto nell’ambito del Progetto Inter Amnes, costola del più vasto Programma S.F.E.R.A., del quale l’Università di Parma è capofila, durante una campagna di ricerca condotta sul territorio parmense e reggiano.

Ricerche dirette da Alessia Morigi, docente di Archeologia classica al Dipartimento delle Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali – DUSIC dell’Università di Parma. E coordinate sul campo dagli archeologi Francesco Garbasi e Filippo Fontana, con il coinvolgimento degli studenti delle discipline di Archeologia classica e Archeologia del paesaggio dell’Ateneo.

Archeologia di comunità

Come si legge nel comunicato ufficiale dell’Ateneo parmense, le tappe del rinvenimento rispondono a una vera e propria “archeologia di comunità”, nella quale la cittadinanza è direttamente coinvolta nella gestione del patrimonio culturale di cui si assume la responsabilità”.

La segnalazione della presenza di alcune anomalie nel terreno riscontrate durante le arature è infatti giunta dalla comunità. Tale testimonianza ha permesso agli archeologi di intervenire e riconoscere in maniera tempestiva la presenza di ben 10 grandi vertebre fossili.

Un ittiosauro in Appennino

I resti sono stati subito riconosciuti come quelli di un ittiosauro, animale marino preistorico appartenente a un gruppo di rettili estinti dall’era mesozoica. Le 10 vertebre, integre e in buone condizioni, presumibilmente appartenevano alla coda dell’animale. Le prime analisi permettono di stimare la lunghezza dell’ittiosauro tra i 5 e i 7 metri di lunghezza. E, da un preliminare studio sulla geologia delle rocce che formano l’area del ritrovamento, si può assegnare ai resti un’età di circa 100 milioni di anni.

Gli ittiosauri erano rettili marini con un corpo affusolato e idrodinamico, simile a quello dei delfini. A differenza, però, di questi mammiferi marini, che hanno soltanto le pinne anteriori e coda orizzontale, gli ittiosauri mostrano due paia di pinne pari corrispondenti ai quattro arti tipici dei rettili e coda disposta verticalmente. Grazie a reperti eccezionali scoperti in Nord Europa, è stato possibile determinare che il loro adattamento alla vita acquatica era così avanzato da rendere possibile la nascita dei piccoli in mare qualificando gli ittiosauri come ovovivipari. Se si considera che essi abitarono i mari dal Triassico inferiore fino al Cretacico superiore, l’esemplare di Neviano pare corrispondere a uno degli ultimi esponenti di questo tipo di rettili marini.

Un ritrovamento eccezionale

Gli eccezionali rinvenimenti rappresentano il primo fossile di vertebrato marino del Mesozoico scoperto nella Provincia di Parma e tra i più importanti e completi dell’Italia del Nord, ove i fossili di rettili marini mesozoici sono rarissimi e restano, per questo, una fonte insostituibile per la ricerca archeologica.

Nell’ottica interdisciplinare che contraddistingue il Programma S.F.E.R.A., il reperto è attualmente in fase di studio da parte dei paleontologi coinvolti nel progetto Inter Amnes Simone Cau e Alessandro Freschi, prima allievi e ora collaboratori del Dipartimento di Scienze chimiche, della vita e della sostenibilità ambientale dell’Università di Parma. Una volta perfezionato lo studio, i risultati si affiancheranno a quelli raggiunti dai progetti su Parma, Reggio Emilia e sul territorio parmense e reggiano, che rappresentano l’asse portante del Programma S.F.E.R.A. e che sono in corso ormai da una decina d’anni come manifestazione dell’interesse prioritario dell’Università per il territorio dove opera.

Il progetto Inter Amnes

Il Progetto Inter Amnes, parte del più vasto Programma S.F.E.R.A., è finanziato da Fondazione Cariparma ed è finalizzato a individuare, digitalizzare e studiare tutte le emergenze archeologiche delle valli di Enza, Parma e Baganza rendendole successivamente disponibili alla comunità in termini di ricerca, sviluppo e trasferimento tecnologico ed entro le linee di azione della Riserva MaB Unesco dell’Appennino Tosco-Emiliano.

La presenza costante dei ricercatori sul territorio ha permesso la scoperta di diverse decine di importanti siti archeologici con il metodo del survey archeologico, cioè della perlustrazione diretta del terreno, che si conferma come il più efficace metodo di lavoro per la sua capacità di apportare oltre il 95% di dati nuovi alla ricerca e di studiare territori molto estesi nella loro stratificazione insediativa, ben oltre la prospettiva assai più ristretta offerta dallo scavo archeologico.

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