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La pioggia può spostare le montagne?

Nelle ultime settimane è rimbalzata sulle testate nazionali e internazionali la notizia di una scoperta scientifica che lascia un po’ a bocca aperta. Ovvero che la pioggia possa spostare le montagne. L’espressione decisamente poetica, dal sentore quasi metaforico, che riporta alla mente il titolo di un celebre romanzo di Reinhold Messner, è stata scelta dall’Università di Bristol per sintetizzare i risultati di un progetto di ricerca focalizzato sull’erosione delle vette himalayane.

Come la pioggia modella vette e valli

Il titolo dello studio, pubblicato di recente sulla rivista scientifica Science Advances, tocca ammetterlo, è molto meno poetico e accattivante per il pubblico dei lettori: “Climate controls on erosion in tectonically active landscapes” (Controllo del clima sull’erosione in paesaggi caratterizzati da processi tettonici attivi).

In estrema sintesi, la ricerca ha portato gli scienziati a trovare risposte chiare sul come e quanto le precipitazioni possano modificare i paesaggi montani in aree in cui siano attivi processi tettonici, che concorrono all’innalzamento delle catene montuose. Ovvero a chiarire il legame tra clima e tettonica. “Mentre risulta facile realizzare come l’innalzamento di vette possa influenzare il clima di una zona e la circolazione atmosferica, i processi mediante i quali il clima possa influenzare l’innalzamento delle montagne sono meno intuitivi”, si legge nell’introduzione dell’articolo scientifico.

I ricercatori anglosassoni sono riusciti, grazie a tecniche innovative, a calcolare con precisione l’impatto della pioggia sul rimodellamento dei versanti, favorendo la comprensione di come, in milioni di anni, si siano originate le valli e le vette del Pianeta. Lo studio è stato condotto, come anticipato, sulla catena dell’Himalaya. Nel dettaglio in Bhutan e Nepal, una delle aree oggetto di intensa erosione più studiate al mondo.

Pioggia, fiumi, erosione e orologi cosmici

“Potrebbe risultare intuitivo che un gran quantitativo di pioggia possa modellare le montagne, alimentando corsi d’acqua che vanno a scavare la roccia più velocemente – spiega nel comunicato ufficiale dell’Università il dottor Byron Adams, autore principale del paper – . Ma gli scienziati hanno a lungo ritenuto che la pioggia possa erodere velocemente un paesaggio anche risucchiando le rocce dal terreno, così da spingere verso l’alto le montagne”.

Il dottor Adams e i suoi collaboratori della Arizona State University (ASU) e della Louisiana State University hanno dunque cercato di approfondire la relazione tra pioggia, fiumi ed erosione. Si sono pertanto avvalsi dell’utilizzo degli orologi cosmici contenuti nei granelli di sabbia per misurare la velocità con cui i corsi d’acqua erodono la roccia sottostante. Fermiamoci un attimo e cerchiamo di capire cosa sia un orologio cosmico.

“Quando una particella cosmica raggiunge la Terra dallo Spazio, è possibile che colpisca i granelli di sabbia dei pendii mentre questi vengono trascinati per effetto erosivo verso i corsi d’acqua – spiega Adams – . Se ciò accade alcuni atomi contenuti all’interno del granello di sabbia possono trasformarsi in un elemento raro (Berillio 10). Contando il numero di atomi di questo elemento presenti all’interno di un sacco di sabbia, siamo in grado di calcolare quanto a lungo la sabbia sia rimasta esposta ai raggi cosmici e, di conseguenza a quale velocità il paesaggio sia stato eroso”. 

Ricerca di un modello matematico per analizzare i dati

“Una volta raccolti così i tassi di erosione riferiti a tutto il range di montagne in analisi, abbiamo tentato di comparare le varie zone tenendo conto della ripidità dei corsi d’acqua e della quantità di precipitazioni – prosegue lo scienziato, evidenziando quanto un simile confronto possa risultare problematico in termini di analisi statistica. Il team ha cercato di risolvere il problema di definire matematicamente come si comporti l’erosione sui pendii combinando tecniche di regressione e modelli matematici.

“Abbiamo testato un ampio spettro di modelli matematici per scegliere il più idoneo a riprodurre i pattern erosivi rilevati in Bhutan e Nepal. Soltanto un modello si è infine dimostrato in grado di predire in maniera accurata i tassi di erosione”. Tale modello si basa su una relazione non lineare tra pendenza del corso d’acqua ed erosione, lineare tra erosione e precipitazioni annuali. “Se non fosse per gli effetti del monsone, le montagne del Bhutan sarebbero ancora più scoscese di come non appaiano oggi”, si legge in maniera esemplificativa nel paper.

Utilità applicativa dello studio

In termini pratici, quali sono i risvolti di tale studio? Gli scienziati spiegano che la possibilità di modellizzare e quindi quantificare il tasso di erosione può portare a vantaggi nel campo della gestione dei terreni, della manutenzione delle infrastrutture e nella valutazione dei rischi di una determinata area.

In Himalaya è sempre presente il rischio che alti tassi di erosione possano drasticamente incrementare la sedimentazione in corrispondenza delle dighe, compromettendo il funzionamento delle centrali idroelettriche. I risultati suggeriscono inoltre che ingenti precipitazioni possano indebolire i versanti, aumentando il flusso detritico e il conseguente rischio di frane. Molte delle quali potrebbero invadere i corsi d’acqua, legandosi ad un secondo rischio, ovvero quello delle esondazioni.

“I nostri dati e le nostre analisi rappresentano uno strumento importante – spiega ancora il dottor Adams – sia  per stimare i pattern di erosione in ambienti montani come l’Himalaya, sia per comprendere meglio i rischi che coinvolgono centinaia di milioni di persone che vivono sulle pendici e alla base delle montagne”. 

Dall’Himalaya ai vulcani

Le ricerche della Bristol non si fermano però all’Himalaya. Il medesimo “strumento” è in corso di applicazioni in ambienti vulcanici, per analizzare come i paesaggi rispondano a eruzioni vigorose.

“Con le nostre tecniche di misurazione dell’erosione e delle proprietà della roccia, sarà possibile comprendere come fiumi e vulcani si siano reciprocamente influenzati nel passato – afferma Adams. Obiettivo è riuscire ad anticipare i potenziali effetti sul paesaggio delle future eruzioni vulcaniche, così da essere anche in grado per tempo di prevedere e affrontare le potenziali conseguenze sulla popolazione che viva nei dintorni del cratere.

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