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Ghiacciai della Sforzellina e dei Forni in forte regressione

Legambiente: "Black carbon e microplastiche segnali dell’invadenza dell’uomo"

La terza tappa della Carovana dei Ghiacciai di Legambiente ha confermato uno stato di sofferenza anche per i ghiacciai lombardi della Sforzellina e dei Forni. Al pari di quanto già osservato nel settore occidentale delle Alpi: “una tendenza alla riduzione della massa glaciale in linea con la situazione del settore meridionale delle Alpi”.

Evidente regressione dei ghiacciai lombardi

Una perdita di spessore di circa un metro l’anno e un ingente ritiro di 500 metri tra il 1925 e il 2020 (5 metri l’anno) caratterizzano il ghiacciaio dello Sforzellina. Il ghiacciaio dei Forni, il secondo più grande in Italia per superficie, riporta un regresso frontale di 2 km negli ultimi 150 anni, passando dai 13,2 km di superficie del 1981 agli 11 km attuali. È questo, in estrema sintesi, il risultato del monitoraggio.

“Anche il vastissimo ghiacciaio dei Forni si sta inesorabilmente riducendo – dichiara Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente – . Insieme allo Sforzellina questi ghiacciai ci rammentano quanto abbiamo già osservato nel settore occidentale delle Alpi: una tendenza alla riduzione della massa glaciale in linea con la situazione del settore meridionale delle Alpi. La presenza di black carbon, di tracce di microplastiche e di vari inquinanti qui, come su tutti i ghiacciai del pianeta, è un altro lampante segnale dell’invadenza dell’impatto antropico sulla terra. Il ghiacciaio dei Forni, grazie agli studi svolti dall’Università e dal Politecnico di Milano non solo ci racconta gli effetti del cambiamento climatico ma diventa anche testimone dell’impatto dell’uomo sulla qualità dell’ambiente”.

“Con la  campagna Carovana dei Ghiacciai – conclude Bonardo – vogliamo  accendere  i riflettori sugli effetti che l’emergenza climatica sta già avendo anche sul nostro Paese ribadendo l’urgenza di mettere in campo misure e politiche ambiziose sul clima per arrivare a emissioni nette pari a zero al 2040, in coerenza con l’Accordo di Parigi”.

Ghiacciaio della Sforzellina

Il ghiacciaio della Sforzellina, il primo dei due ad essere stato osservato lo scorso 23 agosto dalla Carovana dei ghiacciai, è tra i più importanti per quanto riguarda la completezza della raccolta dati. Poiché è tra i pochi ghiacciai italiani che vantano una serie trentennale di misure del bilancio di massa, ovvero la differenza tra l’accumulo e le perdite per fusione di neve e ghiaccio.

Dagli studi effettuati si evince che la perdita di spessore è di circa un metro all’anno, con un’accelerazione evidente nell’ultimo decennio. Inoltre, è facilmente quantificabile la deglaciazione avvenuta dopo la Piccola Età Glaciale, (periodo freddo iniziato nel quattordicesimo secolo e concluso nella metà del diciannovesimo), le cui morene non sono in genere così evidenti. Nel caso della Sforzellina sono facilmente individuabili e ci dimostrano concretamente quanto il ghiacciaio sia arretrato in questo ultimo secolo e mezzo. La successione delle misure mostra un ingente ritiro che assomma a 500 metri circa tra il 1925 ed il 2020, dimezzando la lunghezza che aveva negli anni 20.

In questi ultimi anni, a causa della contrazione del corpo glaciale e dell’aumento di copertura detritica, la misurazione della fronte sta perdendo di precisione e quindi di significatività, in quanto essa risulta difficilmente individuabile. Infatti anche lo Sforzellina si sta trasformando  da ghiacciaio “bianco”, privo di copertura detritica (debris free glacier), a ghiacciaio “nero” (debris covered glacier).

Per quanto riguarda il ciclo del ghiacciaio si rileva che in questi ultimi anni, in conseguenza dei cambiamenti climatici, gli apporti provenienti da valanghe invernali prevalgono su quelli derivanti dalle precipitazioni nevose.

“Da diversi anni gli operatori glaciologici registrano nei ghiacciai lombardi marcati ritiri delle fronti, con lievi inversioni di tendenza solo negli anni ‘70 del secolo scorso – dichiara Marco Giardino, Segretario Comitato Glaciologico Italiano – . Anche l’analisi multitemporale delle immagini storiche mostra evidenti riduzioni areali e volumetriche. La visita dei ghiacciai di Sforzellina e Forni ha permesso di apprezzare chiaramente sia l’entità totale del regresso lineare delle fronti dalla Piccola età glaciale, sia l’accelerazione dei fenomeni di deglaciazione negli ultimi decenni: frammentazione degli apparati glaciali, comparsa di copertura detritica, proliferazione di crepacci e collassi di cavità di ghiaccio. Tutto ciò giustifica lo sforzo dei ricercatori del settore lombardo di approfondire con analisi quantitative di dettaglio lo studio delle relazioni fra clima e ambiente glaciale”.

Ghiacciaio dei Forni

Il ghiacciaio dei Forni, con i suoi 11 km2 è uno dei maggiori ghiacciai italiani, secondo per superficie solo all’Adamello-Mandrone. La salita e il monitoraggio sono stati effettuati dalla Carovana dei ghiacciai di Legambiente lunedì 24 agosto. Classificabile come “ghiacciaio vallivo a bacini composti o confluenti”, è costituito (o meglio era costituito) da tre bacini collettori dai quali scendono altrettante colate con vasti seracchi che confluiscono in una zona centrale, formando un’unica lingua. In realtà nell’ultimo decennio le colate provenienti dai bacini superiori si sono sempre più assottigliate e frammentate, tanto che attualmente solo il bacino centrale è in grado di alimentare compiutamente la lingua.

In questi ultimi anni il ghiacciaio si è avviato rapidamente ad una frammentazione in tre individui distinti, due dei quali (Orientale e Occidentale) si stanno trasformando in ghiacciai di circo. La separazione del bacino orientale dalla lingua centrale è avvenuta nell’estate 2015. Grazie anche all’installazione nel 2005 sulla lingua a 2700 metri della prima stazione meteorologica automatica italiana sul ghiacciaio, tuttora funzionante, attualmente si stanno portando avanti da parte dell’Università di Milano ricerche sulla velocità di fusione del ghiacciaio in base all’energia solare e  atmosferica disponibile.I dati della stazione permettono anche di quantificare la capacità del ghiacciaio di riflettere la radiazione solare. Questa proprietà chiamata albedo sta diminuendo sempre più a causa dell’annerimento dei ghiacciai. La quantità di acqua di fusione è quantificata anche grazie alla rete Idrostelvio, una rete di monitoraggio idrologico sviluppata dal Parco dello Stelvio con la collaborazione dell’Università e del Politecnico di Milano che in punti chiave  del parco misura la portata di torrenti alimentati dalla fusione di neve  e ghiacciaio. E’ evidente che il ghiacciaio e il parco sono un vero proprio laboratorio a cielo aperto.

Dal 1925 le misure del Comitato Glaciologico Italiano sul ghiacciaio dei Forni diventano sistematiche e delineano una intensa e continua fase di regresso fino all’inizio degli anni 70, periodo in cui si registra una lieve inversione di tendenza, come per quasi tutti ghiacciai dell’arco alpino. Il fenomeno si interrompe però rapidamente e inizia l’attuale fase di regresso generalizzato che ha provocato la frammentazione del ghiacciaio. In totale il regresso frontale del ghiacciaio è di circa 2 km negli ultimi 150 anni. Questa regressione è accompagnata da una serie di variazioni morfologiche che stanno modificando il paesaggio: collassi di intere porzioni della lingua a causa dell’erosione del torrente subglaciale con formazioni di grandi caverne; aumento della copertura detritica superficiale nel settore frontale; sviluppo di laghi dalla durata effimera; apertura di “finestre “ rocciose nelle zone più ripide.

La superficie totale del ghiacciaio è passata da 13,2 km2 nel 1981, a 12,9 km2 nel 1991, a 12 km2 nel 2003, a 11,3 km2 nel 2007, a 11,1 km2 attuali. Anche questo ghiacciaio sta diventando sempre più scuro negli ultimi anni. Tuttavia, ciò non è dovuto unicamente all’aumento della copertura detritica. Un altro fenomeno che lo interessa è per l’appunto quello dei black carbon, costituito da polveri derivanti dall’inquinamento atmosferico di origine antropica proveniente da incendi e da inquinanti che arrivano dalla pianura. Questa componente, al contrario di ciò che avviene per effetto di una copertura detritica di un certo spessore, fa sì che il ghiacciaio fonda più rapidamente.

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