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Nepal: il monte Chulu, la cima per (quasi) tutti

Alto “appena” 6.584 metri, non è una star delle ascensioni. Ma è perfetto per gli alpinisti in cerca della prima esperienza himalayana.

Testo di Christian Roccati, tratto dal numero di Meridiani "Nepal".

Il suo nome è poco noto e la sua sagoma difficile da identificare. Nelle immagini più celebri dell’Himalaya non si vede mai. Per la scalata dei sogni gli alpinisti di mezzo mondo vanno altrove.

 Ma che altro potrebbe fare il monte Chulu? In Nepal quasi passa inosservato, circondato com’è da otto dei 14 monti del pianeta che sorpassano gli ottomila metri d’altezza. Se ne sta là sotto, duemila metri più in basso, roccioso e imbiancato di neve come tanti altri. Eppure anche lui ha le sue qualità. Prendiamo il Monte Bianco, secondo convenzione il più alto d’Europa: i suoi 4.810 metri sono comunque più bassi del campo base del Chulu. Per non parlare del Kilimangiaro, il più alto dell’Africa, esotico e gigantesco eppure poco sotto i seimila. Il Chulu invece si gode i suoi 6.584 metri, ma soprattutto quella caratteristica che le guide di montagna raccontano con vanto: «Tutti gli alpinisti possono scalarlo».

Sono molto democratici i seimila metri del Chulu, così a portata di mano per gli scalatori abituati ai quattromila delle Alpi. E non c’è da temere che ad altri venga la stessa idea: a raggiungerlo sono ancora in pochi, non certo come accade con il trekking dell’Everest o il circuito dell’Annapurna, dove è possibile trovare un po’ di folla. In tanti alpinisti si chiederanno: «Ma il mio fisico è in grado di sorpassare i seimila metri?». La risposta delle guide è sempre la stessa: «Sì, a patto che ci si voglia impegnare in un allenamento a lungo termine». La scalata è infatti adatta sia per chi ha 18 anni, sia per chi ha già sorpassato i 60. Le storie di chi l’ha tentata riuscendoci lo dimostrano: vale per la signora vicentina di cinquant’anni che temeva di affaticarsi con lo zaino sulle spalle o il medico genovese in cerca di una salita memorabile, ma non troppo dura, per la sua compagna. L’importante – è il consiglio principale – «è essere pronti a uno sforzo prolungato nel tempo. Anche perché a seimila metri non si usa l’ossigeno supplementare».

La preparazione

Per chi programma la scalata intorno a ottobre l’allenamento è molto semplice. Tra maggio e giugno basta qualche trekking tra i due e i tremila metri per allenare la parte aerobica, alternando salite brevi e intense per i meccanismi anaerobici e la gita in montagna della domenica. A luglio e agosto bisogna invece dedicarsi ai quattromila delle Alpi. Chi invece intende andare in Nepal intorno ad aprile, può avvicendare le ciaspolate invernali alle escursioni sull’Appennino. L’importante è un mix di esperienze, un buon modo di muoversi in natura e tanta passione per la montagna.

La salita

A questo punto non resta che un volo per Kathmandu, una giornata di bus per Besisahar e ancora un po’ di jeep per l’Annapurna Conservation Area. Il viaggio per il Chulu comincia con un trekking che dal paesino di Dharapani porta in villaggi circondati da bambù, pini e rododendri e da lì sino a Yak Kharka, nome che nelle vallate himalayane indica genericamente i pascoli degli yak. Si sale quindi al campo base del Chulu e poi al campo alto, a 5.350 m, dove si dorme un’ultima notte con una vista strepitosa sulla vetta Far East (6.059 m) il cui colle dà accesso al Chulu East (6.429 m), vicino alle cime West (6.419 m) e Central (6.584 m).

Per gli alpinisti che non vogliono arrampicarsi sulla neve o sul ghiaccio l’ideale è la vetta East, paragonabile a una salita su un quattromila delle Alpi senza corde fisse. L’ascensione al Chulu Far East, la cima più impegnativa e quindi più ambita, conduce al colle alto con qualche corda “a mancorrente” sino a 5.500 metri, punto d’arrivo per i trekker esperti. Da lì in poi è terreno per alpinisti: la linea di scalata è lunga 700 metri, di ghiaccio in primavera e di neve polverosa in autunno. Dopo un po’ di corda fissa e una pendenza di 45 gradi con qualche frangente più ripido e una cresta facile finale, la vetta è raggiunta. Una delle condizioni per riuscirci è riconoscere i propri limiti e prima di partire chiedersi con onestà: sono in grado di andare in due giorni alla Capanna Margherita, a 4.554 metri sul Monte Rosa? Un secondo test potrà essere comunque fatto al campo base del Chulu, dove bisogna essere in grado di giocare senza difficoltà una partita di calcio. Se è così, la cima è a portata a mano.

Altri approfondimenti sul numero 253 di Meridiani “Nepal”.

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