Valanghe e ghiaccio, le cause di tanti incidenti e cosa fare per prevenirli
La stagione invernale sulle Alpi e Appennini è stata caratterizzata da numerosi incidenti, che hanno causato ad oggi 14 decessi. Un numero importante se si considera che la media riferita all’intero inverno è di circa 20 vittime. Il numero di travolti e salvati è già il doppio rispetto agli anni passati.
“L’incidente da valanga uccide mediamente il 60-70% delle persone coinvolte nell’evento, mentre l’incidente d’auto causa il decesso solamente del 4% dei coinvolti. I nefasti e ripetuti eventi verificatisi durante le festività natalizie dapprima sul versante teramano del massiccio del Gran Sasso d’Italia, quindi sul Monte Terminillo poi nell’alta val Senales e gli ultimi sulle Dolomiti del Brenta e sul Ruitor derivano da una concomitanza di più fattori meteorologici e umani” ha spiegato Massimiliano Fazzini, Responsabile del Gruppo Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA), geologo, docente dell’Università di Camerino.
Nelle Alpi
“Sulla catena alpina, l’inizio della stagione è stato caratterizzato da nevicate molto abbondanti – ha continuato Fazzini – e ripetute che si sono inizialmente accumulate su un suolo ancora decisamente caldo, visto il prolungarsi di elevate temperature anche a quote elevate e sino alla meta del mese di novembre. Condizione questa che deve sempre essere presa in seria considerazione e monitorata per l’innesco di valanghe”.
In Appennino
Diverso il discorso per quanto riguarda l’Appennino, dove il pericolo di incidente non è dettato dall’abbondanza di neve. “Nel caso specifico degli ambiti appenninici è stata ancora una volta smentita l’identità ‘poca neve – basso pericolo’. Oltre alle condizioni d’innevamento e termiche, dove un forte gradiente termico verticale può di fatto destabilizzare uno scarso innevamento, il vero “nemico” del frequentatore della montagna innevata è il vento. Imprevedibile, caratterizzato da repentine variazioni di velocità e direzione di provenienza, è il vero costruttore delle strutture “a lastrone” che possono poi scivolare naturalmente, o sovraccaricate, verso il basso travolgendo inesorabilmente tutto ciò che incontrano lungo il loro percorso con conseguenze spesso devastanti e drammatiche” ha spiegato Massimiliano Fazzini, che ha aggiunto: “Nei giorni antecedenti ai tragici incidenti in Appennino, i miti venti di provenienza occidentale avevano più volte superato i 120 km/h di velocità raggiungendo nelle giornate del 20 e del 21 punte sino a 160 km/h; provocando di fatto accumuli più o meno spessi sui versanti sottovento (nella fattispecie i contrafforti principali e secondari esposti soprattutto a est ma localmente su tutti i versanti). Nei domini appenninici, si è aggiunto l’effetto di rigelo dello strato superficiale del manto nevoso, determinato da forti escursioni termiche diurne che tra il 16 e il 19 hanno ripetutamente fatto oscillare le temperature dell’aria sopra e sotto lo zero sin oltre i 2000 metri di quota“.
Come prevenire
Determinate le cause che rendono il terreno montano così complesso da affrontare in questi giorni, la questione da affrontare è come poter contenere il numero degli incidenti.
“Il primo elemento è la pianificazione. A livello di pianificazione territoriale, occorre rapidamente completare e aggiornare la cartografica tematica basata sul calcolo quantitativo dei tracciati valanghivi da modelli fisico matematici mono e bidimensionali che per determinati tempi di ritorno forniscono le caratteristiche del movimento, con relative pressioni d’impatto e altezze di accumulo in zona di arresto, i così detti Piani di zona esposti a valanghe (PZEV). Se lungo la catena alpina tali documenti sono completati, sull’Appennino solo ora tali progetti iniziano a essere conosciuti” ha dichiarato Antonello Fiore, Presidente Nazionale della SIGEA. “Il secondo elemento sono la consapevolezza, la preparazione e l’autoprotezione: i frequentatori della montagna devono avere consapevolezza degli ambienti che frequentano e un’esperienza tale da valutare con attenzione i percorsi da seguire in ambiente innevato; seguire le regole di base di autoprotezione quali essere sempre in compagnia di esperti alpinisti o guide alpine, sapere utilizzare alla perfezione gli strumenti e le tecniche di autosoccorso in caso di travolgimento proprio o di altri“.
il primo elemento è l’osservazione e la conoscenza del terreno di gioco,conoscere d’estate dove sipassa con la neve è essenziale per capire anche cosa c’è sotto,osservare le dinamiche meteo nivologiche dei giorni precedenti lo è altrettanto,così come informarsi da chi vive in luogo le dinamiche precedenti , guide , gestori impianti etc.IL bel sole non fa una gita sicura e nemmeno la forza fisica ne tanto meno la giovane età,La sicurezza s’intende per un rischio implicito accettabile,e questo è dato dalla conoscenza.Fare 250 Km per salire e scendere in giornata un percorso non conosciuto e privi delle conoscenze del terreno su cui si opera significa elevare esponenzialmente la componente di rischio endogeno poi vi è il contorno al cui rischio può incappare anche il risiedente a 29 km ma che non poteva sapere che li in quel canale il vento ha portato una quintalata di neve.E poi vi è la vulgata come in autostrada auto nuova sicura tanti in giro non succede ni nulla ..fino a prova contraria….. la legge dei grandi numeri
Ho digitato:”Trentino carta geologica valanghe storiche “e ci sono arrivato…zona per zona…con mappe tematiche e varie scelte .
Oltre ai consigli, basta non passare sotto alle colate schematizzate.Poi ci sono le valanghe anomale…che possono sempre entrare nell’elaborazione aggiornata.
Non metto il link ,ci possono riuscire tutti.