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Alessandra Boarelli, una storia di alpinismo femminile

Se la guida Bartolomeo Peyrot detto Peyrotte, in un giorno all’inizio di agosto del 1863, non avesse avuto poca voglia di scalare, la storia dell’alpinismo italiano sarebbe iniziata con una bella avventura al femminile. Invece Peyrotte non era in giornata.

“Gli venne talmente meno ogni specie di animo che, dopo molte difficoltà e tentennamenti, finì per rifiutarsi affatto a condurre la comitiva sul Monviso”, racconta con un sorriso Quintino Sella nel suo libro (in realtà una lettera a Bartolomeo Gastaldi) dedicato pochi mesi dopo alla montagna.

La comitiva, prosegue il fondatore del CAI, “non poteva non perdere animo per l’avvilimento del Peyrotte, e quindi rinunciò all’impresa”. Qualche pagina prima, senza farne il nome, Sella scrive che del gruppo partito da Verzuolo, oltre a “qualche nostro conoscente”, faceva parte “una gentilissima signora oriunda di Torino”.

La prima ascensione del Monviso

Sappiamo tutti com’è andata a finire. Il 12 agosto, una settimana dopo il tentativo fallito, lo stesso Quintino Sella, con i verzuolesi Paolo e Giacinto Ballada di Saint-Robert e il deputato calabrese Giovanni Barracco, effettuò la prima ascensione italiana del Monviso avvalendosi delle guide locali Raimondo Gertoux, Giuseppe Bouduin e Giovan Battista Abbà.

Il Peyrotte, che pure era stato cercato, non partecipò nemmeno questa volta all’ascensione. In vetta, pieno d’entusiasmo per la vittoria, Sella propose ai suoi compagni di ascensione, e poi con lettere o a parole a molti altri, di fondare il Club Alpino Italiano. Un’organizzazione che, almeno nei suoi primi decenni di vita, sarebbe stata esclusivamente al maschile.

Non possiamo sapere come sarebbe andata la storia dell’alpinismo italiano e del CAI se Bartolomeo Peyrot quel giorno non avesse esitato, e se quindi Alessandra Boarelli avesse fatto parte della prima cordata italiana sulla cima. Forse la signora piemontese, 35 anni e due figli, avrebbe potuto entrare tra i soci fondatori del CAI.

Linda Cottino racconta Alessandra Boarelli

Linda Cottino, giornalista e scrittrice torinese sempre attenta alle storie e ai personaggi femminili, nel suo Nina devi tornare al Viso (Fusta Editore, 168 pagine, 15,90 euro), non si lancia in ragionamenti su come avrebbe potuto nascere e crescere il Club Alpino dopo una pennellata rosa.

Sceglie invece di raccontare la signora piemontese e il suo tempo. Parla di montagna e alpinismo, ovviamente. Ma dedica pagine al dolore della giovane Alessandra per la morte prematura dei genitori, al matrimonio a diciott’anni con il trentacinquenne Emilio Boarelli, alla gioia per la nascita dei figli Isabella, Luisa e Clemente.

Portano il lettore in un’ambiente ben diverso dal Monviso le lettere (rigorosamente in francese) di Alessandra alle amiche, i menu dei pranzi e delle cene in casa Boarelli. C’è anche un omaggio a Verzuolo, “il paese che non ti aspetti”, una cittadina rurale che in quegli anni vede nascere otto filande e la Cartiera Burgo, anche oggi tra le più importanti d’Italia. A permettere questo sviluppo industriale è l’acqua del torrente Varaita, che scende (guarda un po’) dal Monviso.

L’alpinismo in rosa

Linda Cottino, che ha diretto a lungo il mensile Alp, sa di storia dell’alpinismo. E il suo capitolo dedicato alle donne che, negli stessi anni di Alessandra, percorrono vette, pareti e ghiacciai contiene una serie di interessanti ritratti.

Fanno parte dell’elenco Henriette d’Angeville e Marie Paradis, la nobile e la popolana che vincono per prime il Monte Bianco, l’inglese Isabelle Straton che si trasferisce a Chamonix dove sposa la guida alpina Jean Charlet, l’americana Meta Brevoort “zia e mentore di quel monumento dell’alpinismo che sarebbe stato William Brevoort Coolidge”.

Il riferimento fondamentale del libro è però Lucy Walker, che nel 1871 diventa la prima donna a calcare la vetta del Cervino, e continua la sua attività compiendo 98 ascensioni insieme alla fortissima guida svizzera Melchior Anderegg.

Finalmente in vetta

Un anno dopo il tentativo fallito, Alessandra Boarelli riesce a salire il Monviso. Prima di partire controlla nuovamente la lista delle vivande, degli abiti e degli accessori, che comprende “polli arrosto, una borraccia di orzata, un vestito con gonna morbida e nastro al fondo, un ampio cappotto foderato di pelliccia per la notte, un alpenstock e una boccetta di acqua di colonia”.

Poi si rimette in cammino, risale il ripido Vallone delle Forciolline, passa un’altra notte alla malga (qui si dice maita) dove ha dormito un anno prima, e che Quintino Sella e compagni le hanno ufficiosamente intitolato. Poi, un passo e un appiglio dopo l’altro, risale la morena, il ghiacciaio e le rocce fin sui 3841 metri della cima-simbolo del Piemonte.

“Il giorno 16 del corrente agosto una comitiva composta dalla signora Alessandra Boarelli torinese, dalla damigella Filia di Casteldelfino e dall’avv. Meynardi compiva felicemente la salita del Monviso”, scrive L’Opinione, quotidiano di Torino. “Il tempo, dianzi piovoso, si rasserenò come per cortese riguardo al bel sesso, che coraggiosamente s’avventurava per quelle roccie”.

Alessandra, chiacchierando con la giovane inglese Lizzie Flower, “aspirante eroina”, ha toni diversi dal giornale. “Essere arrivata lassù, dopo la sconfitta dell’anno precedente, fu un atto colmo di significati”. “Il sogno era divenuto realtà”. “Il Monviso è la montagna di tutta la mia vita”. 

Poi, prima di salutare l’ospite, la giovane signora Boarelli le fa assaggiare “una merenda estiva di crema allo zabaione, accompagnata da morbidi savoiardi”. Tra le rocce del Monviso e quel dolce c’è un bel pezzo del Piemonte d’antan.

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