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L’acclimatazione di Simone e Tamara, una rivoluzione per l’alpinismo

Rotazioni in quota, notti da trascorrere in gelide tende posizionate su piazzole risicate, difficoltà a fondere la neve per idratarsi. Sono questi e altri i disagi a cui si sottopongono gli alpinisti per abituarsi alla quota, per adattare il proprio corpo a “vivere” sopra i seimila metri. Quante volte, nel corso delle passate stagioni, gli alpinisti hanno sacrificato le prime finestre di bel tempo in cui sarebbe stato possibile andare in vetta a causa della poca acclimatazione? Tutto questo potrebbe non più accadere, grazie all’innovativo sistema che stanno testando Simone Moro e Tamara Lunger in vista della loro prossima spedizione in Karakorum.

I due alpinisti, in collaborazione con il centro di ricerca bolzanino Eurac Research, si stanno preparando all’interno del TerraXcube, un laboratorio high tech in cui è possibile simulare le condizioni estreme che si possono incontrare in Antartide, in Patagonia, o sulle più alte vette del Pianeta, anche nel periodo invernale. “All’interno di questa camera è possibile regolare temperatura, da -40  a +60 gradi; controllare l’umidità; ricreare venti fino a 120 chilometri orari; far piovere o nevicare. Cosa più interessante per questo studio, possiamo creare artificialmente le condizioni dell’altissima quota andando a indurre una condizione di ipossia e variando la pressione atmosferica” ci spiega Giacomo Strapazzon, medico vicedirettore dell’Istituto per la Medicina d’Emergenza in Montagna di Eurac.

Giacomo, partiamo dall’inizio, quando e con quali finalità è nato il progetto TerraXcube?

“Abbiamo iniziato a pensarci nel 2011. Un’idea nata dall’esigenza dell’Istituto per la Medicina d’Emergenza in Montagna di avere un ambiente controllato in cui svolgere studi medici e fisiologici. Questo perché quando noi andiamo a fare delle analisi sul campo abbiamo sempre la componente ambientale che da un lato ci serve, ma dall’altro crea spesso del rumore nell’interpretazione dei risultati, oltre a rendere molto più difficile la parte logistica. Il primo passo per minimizzare queste problematiche è stata la creazione di laboratori sul posto. Vedasi a esempio l’eccellenza italiana del laboratorio piramide ai piedi dell’Everest voluto da EvK2CNR.”

Con TerraXcube è stato fatto un passo in più…

“Esattamente. Quando siamo in zone remote non possiamo accedere a tutte le facility mediche che vorremmo avere per ottenere il miglior output dei risultati. Ecco allora che nasce l’idea di una struttura in cui fare ricerca avendo a disposizione tutto il necessario per lavorare ad alti livelli.

Dato che il nostro istituto non si occupa solo di alta quota, ma anche di valanghe, ipotermia e molti altri fattori si è pensato di combinare in un unico strumento la possibilità di simulare l’altissima quota e le condizioni ambientali più estreme che si possano trovare in ambiente montano.”

Com’è avvenuto il contatto tra Eurac, Simone e Tamara?

Si tratta di un concept interessante, nato da una serie di contatti e sinergie che sono sempre esistiti tra Eurac e il mondo alpinistico. Quando Simone e Tamara hanno preso contatto abbiamo pensato che sarebbe stata l’occasione per fare qualcosa di diverso e interessante sia per loro che per noi.”  

Quali delle funzionalità di cui ci ha parlato verranno impiegate per il progetto che vi vede al fianco dei due alpinisti?

“Si tratterà principalmente di simulare un ambiente di alta quota, in condizioni ipossiche e ipobariche. Sarà molto diverso rispetto a quando un alpinista si trova al campo base di una montagna: in condizioni ambientali d’alta quota il corpo subisce non solo un adattamento all’altezza, ma anche deperimento a causa delle condizioni climatiche estreme a cui viene sottoposto. Inoltre, fare un acclimatamento prima di arrivare al campo base della montagna, soprattutto in stagione invernale, permette di ridurre i tempi e migliorare potenzialmente le prestazioni. Permette di poter approfittare anche di quelle finestre di bel tempo che si verificano a inizio inverno e che solitamente non sono sfruttabili per la vetta.”  

Quindi quando partiranno in spedizione saranno già pronti per arrivare a quota ottomila?

“Questo è un argomento molto dibattuto nella medicina di montagna: fino a che punto si può arrivare è una grande domanda. Per questo il nostro impegno come Eurac sarà quello di raccogliere dati che in futuro ci possano essere utili ad approfondire questa branca della ricerca scientifica.

Si tratta di una spedizione molto esplorativa, non solo dal punto di vista della montagna, ma anche da quello scientifico. Passare un mese nella camera è già di per se una spedizione.”

Come funzionerà questo mese?

“Intanto è stato preparato un progetto e scritto un protocollo insieme a Simone e Tamara. Si sono unite le loro competenze come alpinisti d’elite alle nostre conoscenze mediche, quindi siamo partiti con il progetto.

La fase pratica ha preso avvia circa a metà novembre. Il comitato etico di Bolzano ha approvato il protocollo scientifico e siamo partiti.

In questa prima fase i ragazzi stanno vivendo un’esposizione intermittente: trascorrono la notte nella camera mentre di giorno sono liberi di condurre la loro vita normale allenandosi, preferendo una fase di recupero alla notte in ipossia. Decidono loro, nulla viene imposto. Noi li monitoriamo dandogli consigli su come migliorarsi in modo sicuro.”

Da intermittente diventerà più regolare?

“Si, la fase può essere intermittente perché ci troviamo a una quota inferiore ai 5550 metri. Aumentando l’altezza saranno previsti periodi continuativi all’interno della camera. Parliamo di giorni, li porteremo a quote più elevate per più tempo, permettendo al corpo di abituarsi.”  

In che modo vengono monitorati?

“Hanno fatto uno screening basale molto accurato, con esami che vanno dall’ecografia alla risonanza magnetica. Nel corso dell’acclimatazione verranno poi riesaminati tutti i parametri per capire se tutto va come previsto.

Tutto questo è molto pionieristico. Solitamente la pre-acclimatazione si svolge nelle tende ipossiche normobariche dove non c’è variazione di pressione. È invece molto importante considerare anche la variazione di pressione atmosferica che il corpo subisce raggiungendo quote elevatissime. Ipossia più ipobarica a quote superiori ai 4mila metri hanno entrambe degli effetti sul corpo.”

Cosa succederà al temine della fase di acclimatazione a Bolzano?

“Saranno effettuati degli esami finali, quindi starà a Simone e Tamara cercare di minimizzare il più possibile il tempo tra l’uscita dalla camera e il ritorno in quota.”

I risultati ottenuti da questo studio a cosa potrebbero servire?

“L’idea finale è quella di pubblicarli rendendoli fruibili alla comunità scientifica. Sappiamo che sono solamente due i soggetti di studio, quindi non costituiscono un campione statistico, ma i concept raccolti sono molto importanti. La variazione dei parametri tra dentro e fuori dalla camera sono tutti dati che aiuteranno a creare i protocolli di ricerca del futuro. Di certo ci daranno tanti input importanti per migliorare la ricerca nel campo della medicina di montagna.”

Oltre a voi quali sono gli altri partner del progetto?

“C’è il CIMEC (Centro Interdipartimentale Mente/Cervello), dell’Università di Trento che ci supporta nella parte riguardante le risonanze; l’Università di Innsbruck con il dipartimento di medicina dello sport; l’Università di Zurigo che ci coadiuva con una tecnica di analisi innovativa sui capillari; l’azienda ospedaliera di Padova che supporta il progetto per la parte ecocardiografica.”

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