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Sale la febbre per il Giro: domani la Cima Coppi

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APRICA, Valtellina — E’ la tappa più attesa. Quella dove nascono le leggende del ciclismo. Domani il Giro d’Italia affronta la Trento-Aprica. Oltre 210 chilometri che mettono in sequenza salite da brivido, su cui si sono costruite le epopee di questo sport: Tonale, Gavia, Mortirolo e Aprica.

Striscioni, bandiere, addobbi. Da giorni Aprica e la vicina San Pietro di Corteno si stanno vestendo a festa. Lungo il viale d’arrivo si mescolano ai nastri rosa e alle tele di tante nazioni, i vessilli di saluto all’eroe Alex Bellini (di ritorno dall’impresa atlantica), quelli gialli della Granfondo Pantani (in programma il 25 giugno, 2500 partecipanti) e un po’ più a est, i cartelloni che annunciano le celebrazioni per il centenario del Nobel Golgi.
 
Gli appassionati, del resto, già pregustano la giornata e l’interminabile salita della carovana
rosa alla Cima Coppi (Passo Gavia, 2618 m), con tanta neve a fare da cornice. E poi sulle
angoscianti rampe del Mortirolo, che sebbene terminino come una liberazione “già” ai 1854 metri di Passo Foppa, sono un’infinita serie di veri e propri scalini al 20 per cento, capaci di sfiancare gli ungulati che abitano i boschi della zona.
 
Qui, tra Adamello, Bernina e Orobie, lo spettacolo delle Alpi e della fatica raggiunge il suo apice, spesso tinto di toni epici. Così potrebbe essere anche quest’anno, con l’anticipo della corsa di una settimana rispetto al solito. Il sogno è quello di una gara avvincente,magari con un arrivo in solitaria della maglia rosa sotto l’arco ligneo di Corso Roma. Proprio come fece nel 1991 Coppino Franco Chioccioli, con la sua fantastica cavalcata solitaria di 70 km, Mortirolo compreso.
 
Ivan Basso (che tra l’altro ha parenti in Valtellina, precisamente a Bianzone, paese dei nonni materni), o Cunego, o Savoldelli, o un ispanico, o tutti insieme, faranno certo in modo di gratificarci d’una bella impresa. Come il tappone merita e come merita Aprica, che dal 1990 ha inanellato ben sei arrivi di tappa sei, senza contare quello del 1962. Se questo non è credere nel ciclismo!
Antonio Stefanini

 

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