Film

“Vajont – Per non dimenticare” – Mountain and Chill

Questa settimana il consiglio di Mountain and Chill è di alzarvi dalla poltrona di casa e andare al cinema. Il 9 ottobre 2019 sarà una data da segnare in agenda. In occasione del 56° anniversario della tragedia del Vajont uscirà nelle sale italiane una serie dal titolo “Vajont – Per non dimenticare”.

Due docufilm per una durata totale di 140 minuti, con la regia rispettivamente di Andrea Prandstraller e Nicola Pittarello.

Parte I: Vajont ’63, il coraggio di sopravvivere

(52′, 2008 – regia di Andrea Prandstraller)

Si inizia con il racconto della tremenda frana che alle 22:39 del 9 ottobre 1963 si staccò dal monte Toc (1.921 m) sulle Prealpi Bellunesi. 270 milioni di metri cubi di terra precipitarono nell’invaso artificiale della diga del Vajont, costruita da pochi anni ed ancora in fase di completamento.

La tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso coinvolse prima Erto e Casso, due centri abitati sulle sponde del lago artificiale. A seguire, un’onda alta oltre cento metri scavalcò la diga, piombando su Longarone e le frazioni di Rivalta, Pirago, Faè, Villanova e Codissago di Castellavazzo. Furono quasi 2000 le vittime.

Il film è costruito basandosi su materiale di repertorio. Molti i filmati inediti. Tra le molteplici testimonianze contenute nel documentario rilevante è quella di Giampaolo Pansa, all’epoca degli eventi inviato della Stampa.

Parte II: Vajont, una tragedia italiana

(87′, 2015 – Regia di Nicola Pittarello)

Il secondo docufilm della serie è incentrato sul processo legato alla tragedia del Vajont. Dall’ideazione della diga, fortemente voluta dalla SADE, azienda elettrica privata, alla ricostruzione di come si sia potuti giungere a una delle più grandi tragedie della storia italiana del dopoguerra.

Il film mostra immagini delle indagini processuali, delle deposizioni degli indagati. Come nella I parte, anche in questa seconda molti documenti e testimonianze risultano inedite, come quella del dottor Mario Fabbri. giudice istruttore del processo Vajont.

Il processo fu portato a termine in quasi sette anni e mezzo dal disastro, chiudendosi 14 giorni prima di cadere in prescrizione. Un procedimento giudiziario che deluse i sopravvissuti a causa di lievi condanne degli imputati (pochi anni di carcere). Troppo lievi se rapportate al numero delle vittime.

Di positivo ci fu che la giustizia riconobbe la prevedibilità dell’evento, accusando la SADE (poi Enel) e lo Stato stesso di essere responsabili del disastro.

Osservare a posteriori la dinamica dell’ideazione e costruzione della diga del Vajont pare una scelta da scellerati. Lo stesso nome del monte Toc, dal bellunese “pezzo, cadere a pezzi”, avrebbe dovuto rappresentare un indizio delle potenziali conseguenze di una simile costruzione. Pendici interessate da secoli da eventi franosi. Di certo la natura non avrebbe potuto portare da sola a un distacco completo come quello verificatosi a seguito della costruzione della diga. Un’opera colossale che andò ad alterare il delicato equilibrio della montagna, con infiltrazione delle acque del lago artificiale negli strati argillosi e conseguente perdita di stabilità dei versanti.

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