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Gli alpini oggi. Intervista al generale Claudio Berto, comandante in capo delle Truppe Alpine

In occasione del centenario dell’Associazione Nazionale Alpini (Ana) e dell’adunata nazionale che si sta tenendo a Milano da oggi fino al 12 maggio, Meridiani Montagne è in edicola con un numero speciale interamente dedicato a questi particolari frequentatori della montagna: gli alpini.

Anticipiamo qui una parte dell’intervista fatta dal direttore Marco Casareto al loro comandate in capo, il generale di corpo d’armata Claudio Berto. Classe 1958, torinese, nel suo curriculum, oltre a una laurea e un master in Scienze strategiche, c’è un numero impressionante di corsi di specializzazione (paracadutismo militare, pattugliatore scelto, perfezionamento sciistico e alpinistico), missioni all’estero (Bosnia, Kosovo, Afghanistan) e comandi (Battaglione “Susa”, 9° Reggimento, Centro addestramento alpino, Brigata “Taurinense” e, dal febbraio 2018, tutte le Truppe Alpine).

 

Il generale Claudio Berto, comandante in capo delle Truppe Alpine. Foto © Esercito Italiano

Generale, chi sono gli alpini oggi?

“Gli alpini sono una componente dell’esercito specializzata a vivere e combattere in montagna. Ma non facciamo solo questo: ci dedichiamo anche alle attività di supporto in caso di calamità o emergenze. Con i cingolati BV-206 possiamo raggiungere ambienti innevati dove altri mezzi non arrivano. Abbiamo elicotteri specializzati nel volo in montagna, anche notturno. Come militari abbiamo in dotazione strumenti ad alta tecnologia, quali visori a infrarossi e notturni, che possono servire per la ricerca di dispersi in caso di valanga. Noi siamo a disposizione di quanti operano in montagna. E pronti a intervenire ovunque ci siano emergenze importanti su tutto il territorio nazionale. Di recente abbiamo simulato contemporaneamente tre calamità in tre diverse regioni: un’inondazione in Piemonte, un terremoto nel Veronese e un altro nell’Aquilano. È vero che è improbabile che si verifichino tutte e tre insieme, ma la mentalità militare è quella di prepararsi ad affrontare anche gli scenari peggiori”.

Rispetto a chi ha fatto il militare trent’anni fa, cos’è cambiato?

“Quand’ero comandante di compagnia a Paluzza, in provincia di Udine, un ragazzo di leva mi disse: ‘Capitano, vorrei dormire in quella camerata, su quella branda, perché lì ha dormito mio padre. Questo episodio descrive bene il senso di attaccamento al Corpo degli Alpini e lo spirito della leva. Un mondo di ragazzi generosi che facevano quello che si chiedeva loro in un momento in cui, come esercito, eravamo meno ricchi, avevamo meno dotazioni. Nell’esercito professionale di oggi l’equipaggiamento è più all’avanguardia, abbiamo la tecnologia, che non si può insegnare in pochi mesi di servizio militare. La differenza è che ora i ragazzi che si arruolano negli alpini da tutta Italia si trovano a lavorare nelle stesse zone, ma con una coscienza diversa. Prima c’era tanto entusiasmo, ma meno consapevolezza”.

In cosa consiste l’“alpinità” per lei?

“Quando le persone vanno in montagna, le distanze tra i ruoli si accorciano. E così è anche per gli alpini: là fuori siamo tutti uguali. Non c’è tenda più bella o più brutta, distinzione di grado. La ‘truna’ è la stessa per tutti. Gli unici soldati che possono arrivare in cima a un monte e dire ‘Che bel panorama!’ sono gli alpini”.

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