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Markus Eder e quello sci senza regole

Classe 1990 Markus Eder è un ragazzo normale. Appassionato, pieno di energia, divertente e umile. La sua vera anima si rivela però quando aggancia gli sci ai piedi, sci larghi da neve fresca. Tutto cambia quando prende a scendere e a disegnare tracciati in luoghi dove non sembra essercene la possibilità. Il suo ultimo video, che in questi giorni impazza sui social, mostra perfettamente quella che è l’anima di questo ragazzo, nuovo arrivato nel team Vibram.

“In realtà non si tratta di un progetto partito da me, ma di un’iniziativa di Red Bull Germania portata avanti con Bene Mayr. A me han chiesto di partecipare, sapendo che abito in zona e che conosco molto bene quel territorio.”

È stata una discesa super interessante, incredibile. Ad essere sincero devo dire che all’inizio non riuscivo a immaginare questo tipo di percorso. Ho avuto una stagione abbastanza lunga che non mi ha permesso di capire bene l’idea fin quando sono arrivato sul posto. Il primo giorno ho visto la pista e ho pensato che non valeva la pena, cera pochissima neve ed era impossibile costruire il progetto. Ovviamente però ci abbiamo provato lo stesso e il puzzle pian piano ha preso forma.”

“Quando abbiamo iniziato a riprendere la parte alta del tracciato, sotto stavano ancora costruendo. Faceva caldissimo e ogni giorno fondavano 20 o 30 centimetri di neve. Il problema era che in alcuni punti c’erano solo 20 o 30 centimetri di neve” (ride).

 

Ci spieghi come nascono progetti di questo tipo, come le immagini le tue discese?

Tutto parte da un sogno, dalle cose che vorrei fare. Non sono quasi mai in cerca di progetti nuovi. Succede quasi per caso, viaggiando, vedendo montagne in giro per il mondo, imparando. Così ho l’opportunità di trovare sempre nuove idee e nuovi stimoli per delle sfide.

Torniamo indietro nel tempo. Oggi ti muovi sugli sci come fossero un prolungamento del tuo corpo, ma qual è  stata la tua prima volta?

Sono sempre stato attratto da questo mondo. La mamma mi ha raccontato tanto volte di quando avevo appena tre anni e andavamo a vedere le gare e gli allenamenti di mia sorella. Lei faceva sci alpino e io, da quel che mi han raccontato, mi sono appassionato talmente tanto da voler provare a tutti i costi a sciare. Alla fine mi hanno messo sugli sci in plastica di mia sorella e mi han “lanciato” sulla pista da fondo che correva di fronte a casa. Quella volta ho sceso una collina, rimanendo in piedi e subito volevo riprovare.

Poi?

Crescendo ho iniziato con lo sci alpino, l’ho praticato fino a 14 anni. Devo però ammettere che non mi è mai piaciuto granché, la mentalità dello sci in pista non è la mia. Da sempre saltavo verso il bordo della pista e mi divertivo di più quando non c’era l’allenamento. Infatti con il mio allenatore non c’è mai stato un gran rapporto. Alla fine poi ho deciso di smettere, non era la mia strada.

Dopo aver chiuso con lo sci alpino ho scoperto il freestyle. A farmelo conoscere è stato un film che mi ha regalato un amico. L’ho guardato tutta l’estate e, alla fine, mio padre è stato costretto a prendermi degli sci per la disciplina. Avrò avuto 15 o 16 anni quando ho iniziato.

Da lì in poi una carriera già scritta…

Carriera scritta magari no. Quando go iniziato il movimento era appena all’inizio e non avevo in testa di poter vivere grazie al freestyle. Solo pochi al mondo ci riuscivano. Io ero però molto appassionato e mi piaceva molto, al punto che non m’interessava la possibilità di guadagnare. Volevo solo continuare a sciare.

Il passaggio dallo sci alpino al freestyle è stato un cambio a 180 gradi. Due anni prima ero con lo sci club dove mi venivano date regole e mi veniva detto cosa fare. Di colpo mi sono invece ritrovato in mezzo a degli snowboarder senza regole, dove potevo fare quel che mi pareva (ride).

Il freestyle è stata la mia disciplina fin quando mi hanno invitato a partecipare a una gare in neve fresca. Non volevo nemmeno andare, perché non avevo fatto quel tipo di sci. Alla fine mi sono classificato secondo, in mezzo agli idoli che vedevo nei video. Così è iniziata tutta un’altra storia legata al freeride.

Molti pensano che per fare freeride sia necessario andare lontano, che sulle Alpi non ci sia più spazio…

Per me è il contrario. Più viaggio, più mi rendo conto della bellezza e delle possibilità che abbiamo sulle Alpi. Non è necessario andare in Canada, in Giappone o in Alaska per trovare neve da scendere.

Inoltre, le Alpi sono molto più facilmente accessibili grazie agli impianti di risalita e alle infrastrutture. Spesso, in Alaska o in Canada, per raggiungere i luoghi del freeride bisogna prendere la motoslitta o addirittura l’elicottero. Una discesa richiede molta più logistica e tanta organizzazione.

Con che attrezzatura ti muovi quando vai a fare una discesa?

Ovviamente con gli sci larghi da neve fresca e poi con tutta l’attrezzatura di sicurezza. Anche solo se vai dieci metri fuori pista perché c’è una bella discesa è indispensabile avere con se Artva, Pala e sonda. Spesso uso anche lo zaino paravalanghe.

A proposito di sicurezza, quanto rischio ti prendi durante una discesa?

Può essere tanto o poco. Il problema sta nel fatto che, anche se non scende una valanga, non sai mai quanto sei andato vicino al punto di distacco. Non puoi mai essere sicuro al cento per cento. Per questo ogni anno faccio vari corsi di formazione dedicati alle valanghe, imparando sempre qualcosa di nuovo. Non si smette mai di imparare.

Cosa consiglieresti a un ragazzo che si vuole approcciare al freeride?

Di andare per gradi, di non spingere troppo e di non cercare per forza subito la neve fresca. Gli consiglio inoltre di andare piano, di leggere la natura e cercare di capirne le condizioni. Importante è anche muoversi con amici che hanno esperienza e di cui si può fidare.

Non bisogna mai spegnere il cervello.

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