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Dario Viale: dal record sul Monviso alla corsa come piacere personale

Dario Viale, classe 1961, rappresenta la storia della corsa in montagna, delle corse su lunghe distanze. La sua passione per la disciplina, e un motore non indifferente, gli ha permesso di distinguersi nelle più prestigiose e difficoltose competizioni al mondo. Gli appassionati ricorderanno certamente la sua vittoria all’Himalaya Marathon nel 1987. A renderlo però veramente celebre tra le sue valli del basso Piemonte è stato il record sulla montagna di casa, il Monviso. Una realizzazione incredibile, datata 1986, con cui il corridore di Limone Piemonte, partito dalle sorgenti del Po a Pian del Re, raggiunse la vetta della montagna in appena 1h48’54’’. Un record che ha retto per oltre trent’anni fin quando altri due giovani piemontesi sono riusciti a far di meglio polverizzando quasi quel precedente tempo.

“Quando nel 1985 ho salito per la seconda volta il Monviso ho pensato al tempo che ci avrei potuto mettere se, anziché usare la pesante attrezzatura alpinistiche, avessi utilizzato quella leggera da corridore.

All’epoca non esistevano queste cose, è stata un’intuizione che mi ha portato a realizzare un tempo che retto per 31 anni e due giorni. Non ci avrebbe creduto nessuno”.

 

Ti spiace non essere più il detentore del record?

No, è giusto così. È durato davvero tanto e i gemelli Dematteis hanno fatto una grande prestazione. Loro erano certamente tra i pochi in grado di battere il mio record perché hanno sia il fiato che le capacità alpinistiche per affrontare la salita della Sud al Monviso.

Dario Viale in vetta al Monviso con i gemelli Dematteis

Ci racconti qualcosa dei tuoi inizi, come ti sei approcciato alla corsa?

È tutto nato dall’insoddisfazione giovanile, dall’irrequietezza. È successo casualmente quando avevo 17 anni, poi non ho più smesso. All’epoca correre era considerato qualcosa di strano e non normale, chi correva era uno sfigato. Con il tempo sono riuscito a realizzarmi e ho portato a compimento cose che ritenevo importanti.

Dai giorni della sua giovinezza è cambiato tanto il mondo della corsa?

Oggi è irriconoscibile. Un tempo c’era molta più competizione e meno spirito di partecipazione. Si correva con il coltello tra i denti e se non si correva bene non valeva la pena perderci tempo, non esisteva il motto “l’importante è partecipare”. Quel che contava era il piazzamento in classifica. Poi non c’erano donne, capitava molto raramente che qualche donna gareggiasse.

Dopo così tanti anni continui a correre, hai qualche consiglio da dare ai più giovani?

Dario in una foto d’epoca

Io continuo a correre per il mio piacere personale. Ho iniziato a correre quando il mondo della corsa su lunghe distanze in montagna era solo agli inizi. Nel corso degli anni però il mondo è talmente cambiato che oggi non saprei che dire, probabilmente mi ha sorpassato. I corridori oggi sono più consapevoli del piacere di correre e non credo che abbiano bisogno dei consigli di un vecchietto.

Quel che è importante è avere cura della macchina. Ho dovuto capirlo in fretta, anche prima dell’amico Marco Olmo. Lui ha una tenuta da dio, io un fisico così non l’ho mai visto.

Noi dobbiamo essere coscienti che la nostra macchina non ha pezzi di ricambio, dobbiamo capire quando è ora di mettersi in garage.

 

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