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Diario di Giulia, giovane biologa, al Laboratorio Piramide

Mi chiamo Giulia, ho 26 anni e sono dottoranda in Biologia, vivo a Parigi, città che mi ospita per il mio percorso di carriera da ormai 3 anni. 

Quest’anno ho avuto la possibilità di realizzare un sogno che da tanto avevo in mente: andare in Nepal, camminare per le valli per raggiungere ed ammirare la tanto imponente catena montuosa del Himalaya. Il trekking verso il campo base dell’Everest dura circa sei giorni: si vede la natura cambiare intorno a te, si vedono persone che vivono una realtà completamente diversa dalla nostra, si vede tanta bellezza naturale e umana. Quando la valle si stringe, gli alberi spariscono e i picchi più alti del mondo iniziano davvero ad incombere dall’alto, il sentiero mi porta ad un bivio, subito dopo il villaggio di Lobuche. Qui un cartello indica che a sinistra si può raggiungere ‘The Pyramid International Laboratory – Observation’; è un posto di cui ho sentito parlare, ne ho cercato immagini su internet e che ho inserito nel mio tragitto (so che hanno stanze a disposizione dei viaggiatori). Il cartello dice 5 minuti, all’inizio non vedo nulla, poi, dietro una sporgenza, compare la punta della piramide, con le sue belle bandiere colorate sventolanti. Faccio ancora qualche passo e compare tutta: si trova all’interno di una conca, mi stupisce l’aspetto nuovissimo, sia della Piramide, con i suoi eleganti pannelli solari, che del lodge, ai piedi di essa. Non stona con l’ambiente, anzi sembra che le montagne abbiano nascosto questa chicca, come per darle uno spazio riparato dove crescere indisturbata.

Entro e visito il lodge, mi spiegano che una volta le stanze erano adibite ai ricercatori, ora i progetti di ricerca sono bloccati, quindi questi spazi vengono concessi ai viaggiatori di passaggio. L’ambiente dentro è caldo, nettamente meno spartano rispetto a tanti lodges visti sulla strada, si vede come sia stato ideato per far sentire a casa i ricercatori che prima lo abitavano (pur mantenendo qualche tocco locale). L’ambiente circostante è straordinario: da un lato  si vede un ghiacciaio scendere da un’imponente montagna e esattamente alle spalle della piramide, con uno spettacolare gioco di geometrie, svetta la cima innevata del Pumori.

Mi siedo nell’accogliente dining room, mentre sorseggio un bollente ginger tea mi faccio spiegare da altri viaggiatori, che di qui sono già passati, la storia del posto: fino a pochi anni prima la Piramide era al culmine del suo splendore, vissuta da eccellenti ricercatori che avevano a disposizione sofisticati e moderni macchinari per svolgere le loro ricerche geologiche, mediche o meteorologiche in un luogo unico per i loro interessi scientifici. Poi succede qualcosa: un taglio ai finanziamenti e questa eccellenza italiana rimane congelata, i ricercatori spariscono e la struttura è costretta a sostenersi come meta di passaggio per i visitatori. La storia mi fa un po’ rabbia, forse perché narra una storia già sentita: quella di fondi alla ricerca che vengono tagliati, ma anche di questa capacità, apparentemente tutta italiana, di investire denaro in qualcosa di straordinario, come la Piramide, per poi non raccogliere i frutti di ciò che si è seminato. Questo tocca delle corde anche per me e di tanti come me che, una volta formati come menti dalle università italiane, ci troviamo a fuggire verso altri paesi, che sanno meglio sfruttare questo materiale, non riuscendo così a portar valore al nostro paese, nel nostro paese.  

Alla mattina esco fuori per continuare il mio cammino, guardo ancora una volta la Piramide e mi dispiaccio di non averla vista operativa, sarei stata curiosa di chiedere ad ogni ricercatore di cosa si occupava e magari di mostrarmi sismografi e camere iperbariche. Spero che un giorno questo posto possa ritrovare il suo splendore e che gli italiani possano sentirsi fieri nel nominarla.

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