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Ötzi sapeva come sopravvivere in ambiente alpino, lo dimostra il suo ultimo pasto

Nuove informazioni su Ötzi, la mummia di Similaun dell’età del rame rinvenuta nel 1991 tra i ghiacci delle Alpi Venoste. Grazie ai risultati delle analisi compiute durante lo studio internazionale coordinato dal centro Eurac Research di Bolzano e pubblicato da Current Biology, possiamo oggi sapere qual è stato l’ultimo pasto dell’iceman e, di conseguenza, raccogliere indizi sull’alimentazione dell’epoca.

Il dato più rilevante dello studio è certamente la varietà dei resti di carne rinvenuti. Si tratterebbe di stambecco e cervo reale, fresco oppure essiccato, al quale i ricercatori sono risaliti analizzandone le biomolecole. Da questo si può ipotizzare che l’uomo dell’età del rame avesse già individuato gli alimenti grassi come fonte di energia. Ovviamente non si trattava ancora di una conoscenza degli elementi nutrienti, ma di una comunque sorprendente comprensione del ruolo della carne animale nella dieta quotidiana. Avere una costante fonte energetica era una necessità primaria per la sopravvivenza di Ötzi; dalle ricostruzioni pare infatti che l’iceman abbia vissuto a circa 3.210 metri sul livello del mare.

Il pasto comprendeva anche una componente vegetale. Si trattava di farro monococco, secondo gli studiosi uno dei primi cereali addomesticati dall’uomo e quindi piuttosto comune, e felce aquilina tossica. Le ipotesi la inquadrano come un tentativo di curare i parassiti ritrovati nel suo intestino durante uno studio precedente, oppure un semplice errore dovuto al fatto che la conformazione delle foglie di felce la rende adatta, una volta piegata, ad essere usata come contenitore per vivande o utensili.

Dall’analisi dei resti gli studiosi hanno anche potuto constatare che il cibo era stato correttamente preparato e conservato. Il pasto è stato consumato da due ore fino a mezz’ora prima della sua morte, informazione che avalla l’ipotesi di un iceman in fuga e forse colpito da una morte improvvisa.

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