AlpinismoStoria dell'alpinismo

48 anni fa sul Nanga Parbat se ne andava un Messner

Era il 29 giugno 1970 e durante la discesa dopo la vetta del Nanga Parbat con il fratello maggiore Reinhold, Günther Messner venne travolto da una valanga e perse la vita.

La spedizione comprendeva numerosi alpinisti, tra i più forti dell’epoca: oltre ai giovani Messner (24 anni per Günther e due in più per il fratello), sulla montagna c’erano Karl Maria Herrligkoffer (capo spedizione), Michl Anderl, Gerd Baur, Wolf-Dietrich Bitterling, Werner Haim, Alice von Hobe, Max von Kienlin, Günther Kroh, Hermann Kühn, Felix Kuen, Gerd Mändl, Elmar Raab, Hans Saler, Peter Scholz, Peter Vogler e Jürgen Winkler.

L’obiettivo era quello di aprire una via sull’ancora inviolata parete Rupal – a sud-sudest, il più grande precipizio della Terra con i suoi 4.500 metri di altezza – con metodo classico ma senza ossigeno.

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Günther Messner

Gli ultimi giorni di giugno, a oltre un mese dall’inizio della spedizione, il team era ancora bloccato al campo base dal maltempo. La salita fino al campo 5 (7.200 m) avvenne per lo più sotto pesanti nevicate, spinta solo dal desiderio del gruppo di non veder andare in fumo tanti sforzi. Nei giorni a venire le condizioni migliorarono leggermente, ma le tempistiche erano state eccessivamente lunghe e i monsoni si avvicinavano. Per questo il team decise per un attacco lampo alla vetta, in cui Reinhold avrebbe dovuto proseguire in solitaria lungo il canalone Merkl e verso la vetta, mentre altri membri del gruppo avrebbero attrezzato la via per la discesa, al fine di realizzare l’obbiettivo e tornare al CB nel minor tempo possibile.

Dopo diverse difficoltà nel trovare la via migliore per salire, Reinhold si rende conto che il fratello lo sta raggiungendo sulla parete, così lo attende per proseguire insieme nel tratto finale dell’ascesa. Arrivati in vetta con grande fatica il 27 giugno, i due scattano molte foto e si congratulano a vicenda per la loro conquista, la terza salita assoluta del Nanga Parbat e la prima dalla parete Rupal, ma imboccano presto la via per la discesa perchè il buio sta già calando sulla montagna.

La fatica per portare a terminale salita è stata tanta e Reinhold si accorge che il fratello non è in condizioni di proseguire verso il CB: è stremato e comincia ad avere le allucinazioni. Così dopo un bivacco sulla forcella Merkl, al mattino decide di scendere da solo per chiamare aiuto da un punto vicino al canalone dove i compagni possano sentirlo. Kuen e Scholz stanno passando per il canalone in salita, i due e Reinhold si chiamano a gran voce, ma non riescono a comunicare. L’alpinista, di fronte all’impossibilità di farsi raggiungere, decide di lasciarli proseguire per la loro via e tornare dal fratello.

Le condizioni di Günther sono precarie, la discesa va fatta subito e il canalone è fuori discussione. Rimane solo il versante Diamir, spazzato da continue valanghe. La discesa è lunga e accidentata, ma Günther sembra essersi un po’ ripreso. Anche a Reinhold mancano le forze e inizia ad avere le allucinazioni, ma continua a portarsi avanti per cercare la via migliore e riesce in ultimo a raggiungere un tratto dove la pendenza comincia a diminuire.

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Il versante Rupal percorso dai due fratelli durante la salita

Un po’ rinfrancato l’alpinista si ferma per riprendersi, ma presto la preoccupazione per il fratello che non arriva diventa insopportabile e una ricerca febbrile lo riporta sui suoi passi, chiamando e gridando il suo nome fino a tarda sera, in vano. La notte prosegue tra richiami disperati e sonni agitati, interrotti dal freddo e dall’inquietudine. Gli unici punti certi per Reinhold sono a quel punto le tracce di una slavina caduta nelle ultime ore e il fatto che suo fratello Günther è sparito.

Molte critiche sono state mosse per anni all’alpinista circa le scelte compiute quel giorno, soprattutto per aver lasciato il fratello in pericolo andando avanti a cercare la via migliore per scendere. Il ritrovamento del corpo di Günther però, avvenuto da parte dei locali nel 2005 sulla parete Diamir, a circa 4.600 metri di quota, ha confermato una volta per tutte la versione di Messner e ripulito il suo nome da quelle accuse infondate. Oggi, 48 anni dopo quei terribili eventi, dell’affiatatissima cordata rimane solo il fratello maggiore, Reinhold Messner, che sulla montagna ha conquistato, ma ha anche perso moltissimo. 

Per chi volesse approfondire consigliamo il libroLa montagna nuda. Il Nanga Parbat, mio fratello, la morte e la solitudine“, scritto dallo stesso Reinhold (edito Corbaccio), che affida alle pagine i suoi tragici ricordi. Nel 2010 è uscito anche un filmNanga Parbat“, diretto Joseph Vilsmaier in stretta collaborazione con Messner, che racconta proprio la spedizione del 1970, che l’alpinista definì “Un film epico, un’avventura e una tragedia greca. Che racconta fatti e non interpretazioni“.

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