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Finale ’68: quando finale non era ancora Finale

Maggio 1968, Jimi Hendrix atterra a Milano pronto per la sua italian experience. Nelle radio del Paese risuonano i ritmi nuovi, freschi e innovativi di Hey Joe, Foxy Lady, Red House e molti altri pezzi ai vertici delle classifiche mondiali.

Le stesse note risuonavano in tutta Italia in quel maggio 1968, anche sulle pareti di Finale Ligure dove stava avvenendo la “rivoluzione”. Non quella dei cortei e delle proteste di piazza, ma quella della montagna. È infatti in quel maggio di cinquant’anni fa che si scoprono le potenzialità di Finale, della Finale oggi patria dell’arrampicata sportiva. Quella dell’epoca però era un’altra storia, era un altro stile che troviamo oggi raccontato in una pellicola scanzonata, quasi irriverente della sacralità della montagna. Un film appassionato e coinvolgente che torna indietro nel tempo, fino a quel ’68 in cui si potevano vivere grandi avventure andando semplicemente dietro casa.

L’ideatore di questo racconto sincero e fedele nella ricostruzione storica è Gabriele Canu, filmmaker per caso verrebbe da dire a conoscere la sua storia. “Questa è la mia prima pellicola” ci ha detto lasciandoci stupiti in un pomeriggio trentino. “Prima mi ero dilettato unicamente in piccoli video, principalmente di scalate con gli amici”. Il ragazzo però si è messo d’impegno e, nonostante la poca esperienza, è riuscito a portare a casa un prodotto di tutto rispetto che, oltre a consigliarvi, cercheremo di raccontarvi attraverso le parole dell’ideatore.

 

Gabriele, perché raccontare la Finale del ’68?

Volevamo provare a raccontare la storia di Finale, ma non in modo tradizionale. Sarebbe stato troppo semplice fare il racconto di una singola via e magari farla nel momento migliore, con la luce migliore.

Volevamo mostrare una Finale diversa da quella che è oggi. Oggi è la patria dell’arrampicata sportiva e viene vista al cento per cento cosi, ma la realtà è che dietro c’è molto di più. Tutto dipende però da come lo si interpreta.

Quindi, qual era il vostro obiettivo?

Volevamo cercare di far vedere una Finale diversa da quella del sito di arrampicata più apprezzato insieme ad Arco. Volevamo svelare una storia sopita e ci abbiamo provato attraverso una piccola avventura che rappresentasse davvero il territorio, che raccontasse cos’era Finale prima delle difficoltà tecniche perché le prime vie aperte sulle pareti non sono assolutamente le più difficili.  Non sono le più estreme.

Conoscevi già questa Finale prima di fare il film?

Abito a 20 chilometri da Finale, però non l’ho mai frequentata assiduamente. Ho sempre preferito spendere il mio tempo libero in montagna. Le Dolomiti sono state sempre il mio terreno preferito nei momenti liberi.

Anche la falesia è però stata tra i miei interessi. Però, ogni volta in cui avevo occasione di andarci, mi trovavo affascinato dalle vie classiche, dalle forme della montagna, dalla storia più che dalle linee moderne.

Finale invece l’ho sempre vista solo come una falesia quindi, quando ho iniziato le ricerche per il film mi sono trovato di fronte ad un altro mondo, a qualcosa di affascinante.

Quanto tempo ha impiegato questa ricerca storica?

Io e Michele Fanni (autore di un libro dedicato alla storia di Finale) abbiamo parlato e dialogato con una quarantina di persone in tutto. Apritori di vie, ma non solo, anche vecchi climber. Personaggi che hanno frequentato Finale nei primi anni, che erano legati a quel periodo storico. Poi, ovviamente, abbiamo dovuto fare una selezione di chi mettere o meno in video, ma tutti questi dialoghi sono stati importanti per conoscere il background storico.

Per scrivere un libro o girare un film è fondamentale conoscere il periodo storico nel dettaglio, altrimenti si rischiano errori e inesattezze.

Alla fine sono solo 8 le persone in video…

Si, abbiamo scelto di inserire coloro che avevano salito per primi le vie che abbiamo ripetuto.

Trovarli è stato divertente. Abbiamo dato un volto a delle persone di cui abbiamo sempre letto sulle guide o nei nomi delle vie perché all’epoca le vie erano Titomanlio, Vaccari. Erano i nomi dei primi salitori.

È stato carino conoscere Titomanlio, Vaccari. È stato come incontrare la storia. Una storia limitata ovviamente perché non è quella di Cesare Maestri in Dolomiti o Gervasutti nel Bianco, però è la storia di Finale.

Il film è interessante. È la scoperta di una Finale ormai sconosciuta, sovrastata dalla modernità. È un viaggio lungo le tredici più famose pareti del finalese, lungo la prima via di ogni falesia. Un’avventura d’altri tempi, economica e vicino casa, dietro l’angolo. In quei posti dove non va più nessuno per paura di rimanere delusi o più semplicemente per mancanza d’entusiasmo perché l’esotico è più interessante di casa propria. Sarà forse per questo che è dovuto arrivare un “forestiero” come Gabriele per riscoprire la Finale del ’68.

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