Sci alpinismo

Il protagonista della traversata delle Alpi del ’71: «Speravo in una ripetizione più ambiziosa»

La traversata delle Alpi da parte del team internazionale Red Bull Der Lange Weg 2018 – abbandonata da poco dall’altoatesina Tamara Lunger – è stata oggetto negli ultimi giorni di un dibattito scaturito dalla decisione di evitare molti passaggi ritenuti pericolosi dato l’elevato rischio valanghe, il forte vento e la nebbia. Una scelta di buonsenso che però ha dato vita ad una rilevante coda di polemiche.

Ma per quale motivo questa variazione ha aperto un tale vaso di pandora? Il motivo deriva dal fatto che la traversata di quest’anno ha avuto – fin dalla sua pianificazione – l’obiettivo esplicito di abbassare il tempo totale di percorrenza servito al team austriaco nel 1971 per attraversare le Alpi da est a ovest .

Klaus Hoi posa per la partenza della spedizione del 2018. Foto @ Red Bull

Se alla base di tutto c’è la sfida con i tempi dell’impresa del 1971, i detrattori chiedono che – alla luce delle variazioni – la sfida non venga ritenuta più valida.

A scatenare il dibattito era stato un post datato primo aprile della figlia di un membro della spedizione del 1971, Caroline, figlia di Klaus Hoi. Un post a cui sono seguiti moltissimi messaggi diretti a Caroline che, visto l’interesse verso l’impresa del 1971, ha deciso di rivolgere qualche domanda a suo padre (è possibile vedere il post originale dell’intervista in lingua tedesca nel gruppo Facebook ufficiale della spedizione 2018).

Una spedizione che nonostante i 47 anni passati rimane ben impressa nella mente di Klaus, guida alpina che ricorda «tutte le nicchie, gli attraversamenti ed i passaggi effettuati allora», forse anche grazie alle «200 mappe e ad un registro della via percorsa» che quest’anno Klaus ha messo a disposizione del team 2018, per permettere al team Red Bull di programmare la ripetizione della traversata.

Un percorso che Klaus vede molto cambiato, con molti tratti di «rete forestale che sono diventati giganteschi» e più percorribili e con «la nascita di molti impianti sciistici non presenti nel 1971, come quello di Sport Gastein e Goldried a Matrei». Oltre alla differenza di tracciato e di tecnologia, Klaus rileva anche una diversissima copertura mediatica odierna rispetto al 1971. Basti pensare che sull’impresa del ’71 sono stati sviluppati – in 47 anni – solo 5 brevi reportage tra cui un’intervista finale da Contes a Nizza.

Klaus ha poi spiegato di essere rimasto l’unico possibile portavoce di quella spedizione: «Robert Kittl e Hans Jörg Farbmacher purtroppo non sono più tra noi. Alois Schett è molto malato, mentre Hansele Mariacher preferisce passare il tempo nei boschi e nella sua falegnameria, preferendo non fare commenti ufficiali».

Un momento di pausa durante la traversata. Foto @ Red Bull

Alois Schett, anche se viene poco citato nel ricordare la traversata, occupa un posto particolare nei ricordi di Klaus, in quanto era il guidatore del bus Volkswagen che seguiva il team e «a cui dobbiamo in gran parte il successo dell’impresa, visto che ha guidato per 9630 km per riuscire sempre a supportarci». Emergono dall’intervista anche dei particolari sulle condizioni logistiche dell’impresa: «Non potevamo passare la notte sul bus e nemmeno ripararci all’interno, in quanto era pieno di attrezzature di riserva, cibo e mappe, a dire il vero non potevamo neanche entrarci».

La preparazione della traversata avvenne senza sponsor, pianificando gli obiettivi a grandi linee ed in maniera indipendente. Basti pensare che il gruppo di austriaci non conoscendo bene tutto il percorso e potendo solo abbozzarlo, aveva previsto 60 giorni di tempo necessario. Una stima rivelatasi poi generosa ma che rivela la disponibilità del team ad accettare eventi imprevedibili e non perfettamente calcolabili.

Klaus ho poi spiegato di essere stato colpito positivamente dalla volontà di ripetere il percorso del ’71: «Ho subito pensato che il percorso si sarebbe potuto arricchire di obiettivi alpinistici più ambiziosi, che richiedessero una qualità tecnica più elevata, come l’inserimento della traversata completa del Bianco e del Monviso, o il raggiungimento di altre vette, come Großvenediger, Hochfeiler, Ötztal Wildspitze, e Ortler».

La guida alpina crede infatti che la sfida con la spedizione del 1971 si sarebbe dovuta basare sul tentativo di migliorarla: «Solo in questo modo la traversata delle Alpi del 1971 sarebbe stata superata, di sicuro questo non può avvenire solo cercando di abbassarne il tempo di percorrenza!».

Il bus Volkwagen che li seguiva. Foto @ Red Bull

La decisione di ridurre il tempo di percorrenza, «va a discapito della qualità alpina dell’impresa, da cui deriva un percorso che – dove possibile – viene abbreviato. Questo ha portato alla definizione di regole rigide, che poi sono state però violate. Come il raggiungimento dellHoher Priel e Hoher Dachstein, che sono stati eliminati a favore di altre varianti più veloci».

L’impresa del team della Lunger ha però risvegliato moltissimi ricordi in Klaus, che segue questo tentativo con interesse: «Non disponevamo di cure mediche, ma abbiamo rispettato sempre il nostro corpo. Fortunatamente non sono insorte né malattie né problemi con le vesciche». Il clima che si trovarono davanti era rigido: «Fu un inverno molto freddo e nevoso, dappertutto ad attenderci c’era un metro di neve fresca, che ci ha accompagnato fino ad Ankogel».

Tra i membri del gruppo vi era una suddivisione di ruoli, con Alois Schett a fare da caposquadra e autista dell’autobus. Robert Kittl, ideatore dell’impresa, aveva invece il compito di programmare tutta la spedizione. Hans Jörg Farbmach era il punto di riferimento per le prestazioni da tenere, dato che era un ottimo sciatore e un biathleta di fondo. Mariacher supportava Schett nelle funzioni di caposquadra, «mentre a me è toccato il ruolo di responsabile dell’orientamento, dato che ero una guida alpina. A dire il vero ho affinato molte delle mia capacità durante la traversata, tanto che poi diventai il direttore dell’allenamento delle guide alpine austriache».

Gli scarponi utilizzati da Klaus Hoi nella traversata. Foto @ Red Bull

Il materiale a disposizione è ricordato benissimo da Klaus: «Avevamo sci di nuova concezione per l’epoca, lunghi 205 centimetri, con una larghezza sotto il pattino di 5 centimetri, ed una spatola di 6 centimetri. In realtà era il modello predecessore del Telemark, con il tallone quasi sempre libero».

Il gruppo aveva poi scarponi di cuoio e calze di lana. Un particolare curioso emerge però dalle parole di Klaus Hoi: «Il team aveva infatti a disposizione solo 5 rotoli di carta igienica per 40 giorni. Un quantitativo di certo non sufficiente, ma che bastò dato che l’assunzione di cibo era così modesta che metabolizzavamo tutto in maniera quasi completa, non avendo quasi mai bisogno di carta».

Un dettaglio che potrebbe far sorridere, ma che in realtà ci mostra chiaramente lo sforzo fisico al quale il gruppo di ragazzi austriaci fu sottoposto.   

 

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4 Commenti

  1. Che fine ha fatto lo sci di fondo escursionistico con quel tipo di sci, scarponi , attacchi e pelli di foca strette?

    1. esiste ancora , poco praticato in Italia per questioni di moda e di ambiente credo, sebbene vi siano un paio di ottimi produttori nello stivale. Forse è un’attività troppo poco gangsta per avere un risalto mediatico efficace

  2. Hanno ragione. Ha tutto senso tranne questa smania di abbassare il tempo. Metteteci il tempo che vi serve e godetevi questa opportunità straordinaria. Non ha senso sfidare un’epoca ormai passata, un’epoca di autentici eroi.

  3. concordo. parlare di ripetizione e dovere a tutti i costi abbassare il tempo è un errore
    (altrimenti che figura, nell’era del web, del gps e dell’attrezzatura iper.leggera…).
    di qui tante polemiche inutili, sul percorso, sulle punte mancate per il maltempo e il pericolo valanghe.
    signore performance atletiche, beninteso.
    ma lo erano anche quelle di 47 anni fa con gli scarponi in cuio, il maglione di lana e gli sci stretti…
    detto cioè seguo con piacere, è un bel modo di esplorare le nostre alpi.
    a pazienza per gli sponsor onni-presenti dall’organizzazione alle foto degli atleti…
    47 anni fa solo qualche articolo su carta, oggi su facebook aggiornamenti quasi in diretta…
    meno fascino e più polemiche da tastiera, che vanno anche oltre il rispetto dovuto

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