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Mauro Corona: Di Maio un fantoccino, nessuno cambierà mai le cose

Foto @ Luigi Tassi 

Tra meno di un mese si va alle urne inauguriamo allora un piccolo spazio dedicato alle “voci di montagna”. Nomi che rivendicano, come Mauro Corona che leggerete di seguito, una dignità per le terre alte. Una politica non di assistenzialismo ma che si ricordi che il nostro Paese è un Paese di montagne.

Una persona con un minimo di cervello capisce che la politica non è più un lavoro. Non è più un farsi votare, un farsi eleggere per il bene della gente, per migliorare la situazione l’economia, la natura. Ormai è una lotta all’ultimo coltello per avere il potere”.

Per leggere le interviste alle altre “voci di montagna”, qui

Come cambiare le cose?

Non andare a votare. Bisogna che la gente reagisca e non vada più a votare. Se nessuno va alle urne vedi come cambiano le cose.

Io orami non vedo più nulla nella politica attuale. Per me dire che rimpiango la vecchia DC è l’apoteosi della riflessione. Avrei qualche leggera simpatia per i Cinque Stelle, ma in Di Maio vedo il fantoccino. Ormai sono certo che nessuno cambierà mai le cose. Vorrei quasi fare una scommessa per vedere se tra cinque anni saranno cambiate le cose. Mi giocherei entrambe le mani, che mi servono per lavorare

Esiste secondo lei qualcuno che si propone in difesa delle montagne?

Tempo fa votai la Serracchiani che mi promise un occhio di riguardo per la montagna morente. Ci sono paesi come Claux, Cimolais, Andreis luoghi su cui non ha investito nulla. La montagna dove non nevica firmato ha bisogno di un occhio di riguardo, ha bisogno di servizi. Anche se ci fosse solo un bambino bisognerebbe tenere l’asilo aperto.

Come averlo quest’occhio di riguardo?

Basterebbe avere delle idee. Qui ad esempio avevamo la distilleria del pino mugo. Una pianta che ora ha invaso tutte le campagne, i boschi. Perché allora non ricreare a Cimolais la distilleria e dar da lavorare alla gente? Perché non cerare percorsi nei boschi per i bambini che non conoscono più una pianta. Mandiamo artigiani, guide alpine, contadini, nelle scuole a insegnare.

Qui abbiamo boschi che sono stati tagliati l’ultima volta prima della guerra, boschi che andrebbero tenuti. Perché non rilanciare l’artigianato, la manualità? Perché non facciamo le strade? Non si può toccare nulla perché c’è l’UNESCO, perché c’è il parco, perché c’è il patrimonio naturale. Bisogna costruire, avviare aziende edili, dare lavoro. Qui invece non ho più visto nascere nulla. Tolgono i servizi, tolgono la posta, gli asili, le scuole.

Quanto tempo impiegano i ragazzi di Erto per andare a scuola?

I nostri figli prendono un pullman di operai. Partono alle sei e mezza del mattino per andare a Longarone dove prendono un treno per Belluno. In inverno bisognerebbe vederli. Escono che è buio per tornare di sera.

 Secondo lei cosa dovrebbe fare la politica per far rivivere queste zone?

Bisogna capire che la regola che vale a Milano, Torino o Roma non può valere nel paesino di montagna. Come in un posto come quello in cui vivo non può valere quella regola che vale a Cervinia o Cortina.

Il mio paese si chiama Erto e se la cava grazie ad un poco di turismo domenicale. Erto significa molto ripido, scosceso e ci ha costruito un campo da tennis. In un paese irto dove ti scappa la pallina e finisce nel Vajont.

 La montagna può essere centro d’integrazione per i migranti?

Sfonda una porta aperta con questa domanda. Qui un ragazzo si è messo in testa di gestire un vecchio albergo e allora aveva chiesto di poterci mettere dentro una decina di questi immigrati. Voleva pagarli al comune e fargli fare i lavori utili come preparare la legna per i vecchi, pulire i sentieri o togliere la neve. Lei mi crede non e riuscito ad averne uno? Ha provato ovunque, ma chi li ha non li cede perché sono soldi.

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